Capitolo 7. Colpa per quello che siamo

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Umberto Valchiri è il primogenito della nobile casata dei Valchiri, nota per la loro influenza ed egemonia in tutta la Sicilia Orientale. Non hanno propriamente origini catanesi, anzi, a dirla tutta i loro antenati provengono dal Nord Europa e infatti tutti i loro discendenti sono biondi e dai lineamenti delicati. Lo so perché prima della mia Cerimonia dell'Ascolto, papà mi aveva dato lezioni di storia sulle dodici nobili casate italiane, tra cui, appunto, i Valchiri. Perciò sono sorpreso quanto Antonella di sapere che uno di loro abbia avanzato una proposta di matrimonio nei confronti di una casa minore.

Difatti, mia sorella non l'ha presa bene. Zia Teresina è costretta a portare la piccola Sofia di sopra, mentre grida e piatti volano contro le pareti. Mamma cerca di calmarla, ma solo dopo un breve momento di imbarazzo generale, quando tutti si alzano lasciandoci soli, che si riesce a parlare con lei.

«Io non sposerò nessuno di loro», ripete Antonella per l'ennesima volta.

«Non possiamo rifiutare, lo capisci?», la incalza mio padre disperato.

«Sei un bugiardo!», grida Antonella. «C'è sempre una scelta! Io sto con Giuseppe, noi due siamo già fidanzati».

Papà la fissa con l'espressione più fredda del mondo: «Allora dovrai lasciarlo».

«Cosa...».

Nonna Rosalba, che tra tutti i parenti è l'unica a essere rimasta qui presente, ritorna ai fornelli mettendo su una nuova padella sul fuoco. «Non è una questione che riguarda solo te. È la legge».

Mia sorella punta i suoi occhi scuri contro le spalle di nonna: «È una legge del cazzo».

«Antonella!», la rimprovera papà.

«Mamma...», la implora mia sorella tra le lacrime. «Tu non dici niente?».

Mamma le prende le mani e le porta a sé. «Tesoro mio, lo sai, sono dalla tua parte. Troveremo una soluzione...».

«Non c'è alcuna soluzione da trovare. Non possiamo rifiutare un invito dei Valchiri. Rischieremmo di offenderli e io potrei perdere il lavoro e la casa...».

«Quindi sacrifichiamo la mia vita e la mia felicità?».

Antonella mi spezza con queste parole. La sua voce è come un ago pungente che si perde nell'oscurità. E sento il peso di questa situazione sulle mie spalle. Come se una colata di merda mi fosse appena caduta addosso.

«È tutta colpa mia, non è vero?».

Quando parlo, smettono improvvisamente di urlare e tutti gli occhi della stanza si piantano su di me. È così, non c'è altro da aggiungere. Che favola che mi ero raccontato per il mio compleanno, che illusione che mi ero fatto! Non ho mai avuto una seconda opzione, non era mai stata contemplata. E avrei dovuto capirlo dai modi più freddi delle ultime settimane, all'avvicinarsi del mio quindicesimo compleanno. Eppure non ci ho voluto credere, sognando una famiglia che mi avrebbe accettato e amato allo stesso modo anche se fossi stato un senza-voce.

Ma non è così.

Mio padre evita di parlarmi, mamma non sa nemmeno che dirmi e ora... ora Antonella mi odia perché costretta a sposare un uomo che non ama e che non ha mai conosciuto. È colpa mia. Può cercare di dissimularlo, ma vedo le sue iridi marroni, irrigidirsi per la rabbia.

Mi fa così male, come qualche anno fa, quando i ragazzi a scuola mi prendevano in giro per il mio aspetto. Non ero altro che una palla di lardo che camminava, un pagliaccio che stava lì tra i corridoi per il diletto altrui. Non c'era giorno in cui non smettevano di ricordarmelo e ho odiato così tanto me stesso e il mio corpo da rifiutarmi persino di mangiare.

1 - L'Erede della FeniceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora