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Quando uscirono di casa, Simone era sconvolto e, nonostante Manuel reputasse un errore – lui stesso l’aveva definita grandissima cazzata – andare da Mattia, non avrebbe lasciato per nessun motivo al mondo che Simone andasse da solo.

Anche se lui stesso era il motivo della discussione.
Anche se la distanza tra la dimora di Simone e quella di Mattia era percorribile a piedi in meno di dieci minuti.

«Siamo arrivati» disse Simone, con un filo di voce.
«Io t’aspetto qua, Simò. Andrà tutto bene, so’ sicuro. Magari adesso ‘a prenderà male, ma poi capirà e le cose se sistemeranno, mh?»

Simone annuì flebilmente, ché lui non era affatto convinto che tutto sarebbe andato apposto e che Mattia lo avrebbe perdonato.

In fondo, lui era ancora convinto di volerlo lasciare, ma erano altre le circostanze in cui lo avrebbe voluto fare, non certo nel bel mezzo di una tempesta mediatica che si stava abbattendo, violenta, su entrambi.

Nonostante il macigno sul petto, a tratti, gli impedisse di respirare, Simone si incamminò verso l’abitazione di Mattia e suonò il citofono.

Come era prevedibile che fosse, non ottenne risposta.

Provò nuovamente, deciso a farlo fin quando non avrebbe avuto un riscontro.

Al terzo suono, una voce lo fece sussultare.

«Chi è?»
«Sono Simone, ti prego, fammi salire. Ho bisogno di parlarti»
«Io non ho niente da dirti. Vattene»
«Ti prego, lasciami spiegare. Ti giuro che poi ti lascio in pace. Te lo giuro»

Probabilmente fu quel te lo giuro pronunciato con la voce rotta dal pianto a convincere Mattia ad aprire il portone e permettere che Simone salisse.

Una volta arrivato al piano, trovò la porta già aperta.

La attraversò, sussurrando un flebile permesso prima di trovarsi davanti la figura di Mattia.

Il giovane, esile e di corporatura normale, in quel momento, agli occhi di Simone, apparve come un gigante la cui ombra, addirittura, era in grado di sovrastarlo.

Le braccia, poi, tenute conserte per sottolineare l’atteggiamento di chiusura nei suoi confronti, rendevano tutto ancora più cupo.

«Allora? Che vuoi?» chiese, duro, Mattia.
«Volevo…voglio chiederti scusa, io…non volevo e…sì, lo so, è colpa mia, ma anche tu-»
«Ma anche io cosa? – gridò – Lo sapevi quali erano i patti, te l’ho detto chiaro e tondo otto mesi fa che io non ero pronto a far sapere a tutti che sono gay. E tu pensi bene di farti filmare mentre mi dici che non mi hai tradito. Bella mossa del cazzo, Simone»
«Tu mi hai chiamato il mio ragazzo nello stesso momento, probabilmente, se non avessero ripreso me, avrebbero ripreso te e la tua stessa ammissione»
«Fammi capire: sei venuto qui per scusarti o per addossarmi la colpa?»
«Per scusarmi, ma è vero che abbiamo sbagliato entrambi»
«Sì, Simone, io ho sbagliato otto mesi fa a mettermi con te, ecco dove ho sbagliato. Comunque io delle tue scuse non me ne faccio niente. Se ti sei scaricato la coscienza e la farsa è finita, puoi anche andare. Io di te non voglio sapere più nulla, devi sparire dalla mia vita»

Non ebbe la forza di ribattere Simone che, per quanto potesse sentirsi in colpa ed essere consapevole delle responsabilità che aveva riguardo l’accaduto, non sentiva di meritare tutte quelle parole al veleno che Mattia gli aveva riservato.

Lo aveva amato senza riserve per otto lunghi mesi.
Lo aveva amato rimanendo sempre nell’ombra.
Lo aveva amato sopportando le risate e i sghignazzi, suoi e dei suoi compagni di squadra, agli eventi pubblici.

Ed era bastato il minimo – seppur dalle conseguenze gravi – errore per cancellare tutto.

Si voltò, Simone, senza neanche salutare, e scappò di corsa verso le scale.

Portami dove non serve sognareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora