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Cinquecento ottanta.

Un numero qualsiasi.

Un numero qualsiasi ma non per Manuel.

Non per Manuel che, da quando aveva saputo di dover accompagnare Simone Balestra, sempre quel Simone Balestra, alla Milano Fashion Week, non faceva che ripetere quel numero nella sua testa.

Cinquecento ottanta.

Non un numero qualsiasi.

Cinquecento ottanta erano i chilometri che separavano casa di Simone dal luogo in cui si sarebbe tenuta la Fashion Week.

Più precisamente, cinquecento ottanta erano i chilometri che Manuel avrebbe dovuto percorrere condividendo lo stesso ossigeno con – parole sue – quella palla a ‘r piede de Simone Balestra.

Era la prima volta che lo rivedeva da quando lo aveva lasciato a piedi, anzi, più precisamente, da quando Simone aveva fatto cadere lo smoothie sul sedile posteriore.

A pensarci bene, Manuel si era anche un po' pentito di averlo contattato in privato, forse non era stato molto professionale, ma il rimprovero subito dai vertici dell'azienda, in fondo, giustificava il suo gesto.

E proprio come fosse una punizione, poi, il capo lo aveva assegnato nuovamente a Simone.

E non per un viaggio di breve durata.

Sei ore di viaggio e cinquecento ottanta chilometri.

Ed era per quel motivo che, quella mattina, Manuel si trovava sotto casa di Simone, alle 6.45 in punto – nonostante l’appuntamento fosse per le 7.00 – con un thermos pieno di caffè e una scorta di pazienza che non aveva idea neanche lui di dove l’avesse presa.

Le lancette dell’orologio sul polso correvano e di Simone neanche l'ombra e Manuel ne sorrise, ché oggi j’ho faccio io ‘r predicozzo pe’ il ritardo.

Soltanto alle 7.10 la figura di Simone comparve davanti al portone di quel palazzo d'epoca e Manuel non perse occasione per redarguirlo.

«Hai dieci – e lo sottolineò persino mostrandogli le dita – minuti de ritardo. Oggi ‘n vai de fretta?»
«Buongiorno – rispose Simone, pacato – ho avuto un contrattempo»
«Immagino. Piuttosto, principi’, ‘o scherzetto de ‘r bibitone su ‘r sedile m’è costato ‘n cazziatone e tre ore passate a strofina’, e mo è come l’inchiostro simpatico, se vede ‘a macchia solo se accenni ‘a luce. Vedi de ‘sta più attento»
«Non ho bevande con me, se questo può consolarti. E non chiamarmi “principino”, ho un nome che conosci bene»
«Ecco, menomale, l’hai capito» rispose Manuel, senza curarsi dell’ennesima lamentela e dando inizio al viaggio.

Quelle sei ore di viaggio trascorsero tutt'altro che in tranquillità.

Manuel stuzzicava Simone.
Simone trovava qualsiasi quisquilia pur di provocare Manuel.

Manuel respirava – con piacere – il profumo di Simone.
Simone fissava Manuel – e il petto lasciato leggermente scoperto dalla camicia – dallo specchietto.

E quando giunsero a destinazione, né Simone né Manuel erano mai stati così felici, uno di assistere ad una sfilata e l’altro di visitare una città che non fosse la sua Roma.

«Se rivedemo stasera dopo ‘r party» disse Manuel a Simone dopo avergli aperto lo sportello del van e averlo fatto scendere proprio davanti all'ingresso dell’edificio.
«Quale onore! Oggi, addirittura, davanti all’ingresso»
«Hai visto, sì? Ogni tanto ‘a faccio pure io ‘na cosa giusta» rispose, mentre chiuse lo sportello.

E di nuovo senza salutarsi, entrambi andarono per la propria strada che, neanche a dirlo, era una l'opposta dell’altra.

***

Portami dove non serve sognareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora