CAPITOLO 1/1

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                         ARTISTI ARTIFICIALI







Napoli, Italia, 27 giugno, 2035





Nel cuore pulsante di Napoli, sotto il sole cocente che elevava la temperatura a 32°C, un faro di luce proiettato dal Castel dell'Ovo segnava nel ciel sereno del lungomare di Napoli le ore 15:00. La storica città, un tempo culla di arte e cultura, adesso era avvolta in un manto di tecnologia avanzata che la assimilava alle altre grandi metropoli globali. Tuttavia, in Piazza Bellini, l'atmosfera era tutt'altro che ordinaria: rabbia, dolore, speranza.

Si trovavano di fronte all'ex Biblioteca Universitaria di Napoli - un edificio che un tempo era stato un faro di conoscenza e ora non era più che un simbolo di resistenza contro l'oblio imposto dall'avanzamento tecnologico - un centinaia di giovani e non, riuniti da un unico movente.

Era in corso una manifestazione, organizzata da un gruppo di studenti liceali, che nel tempo si erano fatti conoscere - e non in maniera positiva - per il loro essere scomodi, col loro movimento dal nome 'Artisti Artificiali'.

"Per Pako, per la nostra cultura!" era uno degli slogan che risuonava potente, mentre cartelli e bandiere danzavano al vento, ognuno portatore di un messaggio di protesta contro l'oppressione digitale: "La vita oltre lo schermo", "L'arte non è algoritmo".

Al centro della manifestazione, dove una volta si entrava per arricchire la mente di sapere, ora c'era solo una barriera di agenti, i volti nascosti dietro a caschi avanzati, i corpi protetti da scudi elettromagnetici, con l'ordine di stanare quella manifestazione.

Queste forze dell'ordine però - integrate con l'ultima tecnologia di controllo della folla - portavano un peso enorme, erano loro il fulcro della manifestazione, non potevano commettere nessun passo farlo.

Il ricordo di Pako Storaci, il ragazzo il cui sorriso era stato spento troppo presto - da un impulso inaspettato di un repulsore delle forze armate - divenne il catalizzatore di un'energia indomita. Il suo nome era diventato un simbolo, un martire per la causa della libertà di espressione e contro l'imposizione di un futuro dominato dall'artificiale.
La sua storia, triste eco di un'ingiustizia, era sulle labbra di tutti: "Giustizia per Pako!", un grido che non cercava solo vendetta ma chiedeva un cambiamento, un futuro in cui la tecnologia servisse l'umanità e non la soffocasse.

In un mondo radicalmente trasformato dall'ascesa dell'intelligenza artificiale, l'arte e la cultura, insieme a mestieri umili tradizionali come il falegname, il panettiere e il calzolaio, hanno visto un declino senza precedenti. La capacità delle macchine di operare autonomamente, senza la necessità di una supervisione umana costante, ha riscritto le regole dell'industria e del lavoro, relegando queste antiche professioni a reliquie di un passato ormai lontano.

La promessa dell'automazione era quella di liberare l'umanità dalle fatiche e dalle routine, consentendo agli individui di dedicarsi a occupazioni più creative e appaganti. Tuttavia, questo sogno di liberazione si è rivelato per molti un'illusione, poiché la tecnologia avanzata ha progressivamente eroso non solo posti di lavoro ma anche le espressioni culturali e artistiche che definiscono la nostra umanità.

L'arte, una volta celebrata come l'apice della creatività umana, si trova ora in bilico tra l'autenticità dell'espressione personale e la precisione fredda e calcolatrice delle macchine che possono replicare capolavori o creare nuove opere senza il tocco umano. Musei e gallerie, che erano templi del sapere e della bellezza, sono un lontano ricordo, che le nuove generazioni non avranno mai conosciuto.

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