3. La prima notte

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Marlene non riusciva a dormire.
Non era la prima notte che passava fuori casa, naturalmente. Un paio di volte era andata a dormire da James con Peter, anche se spesso erano rimasti svegli fino a tardi a giocare a Gobbiglie, o a Sparaschiocco, o semplicemente a chiacchierare.
Dormire ad Hogwarts però era diverso. Era in una stanza con delle ragazze che conosceva appena, era a chilometri di distanza da casa e il giorno dopo non sarebbe tornata da Danny e dai suoi genitori. Non si sarebbe nemmeno nascosta con Peter sotto al letto di James o nell'armadio per non tornare a casa, anche se quel pomeriggio si sarebbero rivisti.
Sentì un movimento nel letto alla sua sinistra. Si girò su un fianco, puntandosi su un gomito.
"Mary, sei sveglia?"
L'altra ragazza fece un lungo sospiro, come se fosse senza fiato, e rispose con un breve "Sì".
Seguì un altro sospiro, più breve, e un singhiozzo soffocato.
"Mary, stai piangendo?"
La ragazza non rispose, così la bionda si alzò e andò ad abbracciarla.
"Cosa c'è?"
"Non ho... mai... passato...una notte così lontana da casa." Le sue parole erano interrotte da singhiozzi. "Qua è tutto così... silenzioso. Da me no: siamo in tanti e... e... si sente sempre un... bambino... che piange... e... io... io dormo con... mia sorella... nello stesso letto..."
Marlene si sdraiò di fianco a Mary nel letto e la abbracciò.
"Potrei essere io tua sorella."
"Grazie mille Marls."
Anche così, però non dormirono. Mary raccontò a Marlene di casa sua, della sua famiglia e del suo quartiere, della scuola in cui aveva studiato e dei nonni in Giamaica, mentre Marlene le raccontò di Danny e di James e Peter, dei pomeriggi dai Potter, della gentilezza della mamma di James e dei suoi ottimi dolci, delle loro partite a Quidditch in giardino.

Anche Lily era sveglia. Sentiva le altre due ragazze parlare a bassa voce, ma era troppo su di giri per preoccuparsi di ciò che stavano dicendo.
Un anno da sola, lontana da casa, lontana dalle aspettative dei suoi e dalle occhiatacce di Petunia a tavola.
Un anno da sola, ma con Sev, il suo migliore amico, l'unico che non avrebbe mai voluto abbandonare, l'unico che rendeva ogni giornata più leggera.
Lui non era un Grifondoro. In quel momento era infatti nel dormitorio di Serpeverde, e Lily si chiese cosa stesse facendo. Probabilmente dormiva.
Nonostante la differenza di casa, però, avrebbero comunque potuto passare del tempo insieme, come facevano a Cokeworth.
Anzi, sarebbe stato ancora più facile vedersi, pra che vivevano sotto lo stesso tetto.
A meno che Severus non si fosse trovato altri amici, tanto più simpatici da sostituirla completamente. Ma non era da Severus: lui non era mai stato un tipo socievole... tra i babbani.

Nel dormitorio maschile Remus sentiva il lieve russare di James e il respiro profondo e regolare di Peter. Nel letto accanto al suo, Sirius era sveglio.
Remus si girò su un fianco, proprio verso il letto con le tende chiuse, sperando in qualcosa; un piccolo scostamento delle tende, una parola, un sussurro, ma niente. Vedeva una luce accesa, dietro quelle tende, e per un attimo si chiese se Sirius volesse dare loro fuoco. Poi sentì odore di carta e di inchiostro, e capì che stava scrivendo qualcosa. Era per la sua famiglia? O per qualche amico?
Remus ebbe un colpo di tosse, e la penna si fermò. Accettando il fatto che probabilmente non sarebbe riuscito a dormire, si alzò e andò in bagno.
Era un posticino piccolo, con una doccia, un gabinetto e un lavandino con tanto di specchio e mobile ad ante. Ne aprì una e ci trovò dei tubetti di dentifricio e degli spazzolini, e solo in quel momento si ricordò che eccitato com'era dalla scuola e con la scusa che Peter aveva occupato il bagno per grand parte della sera non aveva lavato i denti. Così, prese uno spazzolino e un dentifricio (di una marca mai sentita, probabilmente un dentifricio da maghi) e rimediò in fretta, ricordando quanto sua madre ci tenesse, alla sua igiene orale, e come mezz'ora dopo ogni pasto lo mandasse a lavare i denti.

Quando uscì per tornare a letto, Sirius decise di rivolgergli la parola.

"Hey. Remus, sei tu?"
"Sì."
"Sai che ore sono?"
Remus scrutò l'orologio. "Mezzanotte."
"Cosa ci fai in piedi?"
"Non riesco a dormire. Tu?"
"Nemmeno. Vieni qui."
Scostò una delle tende così che Remus potesse entrare e sedersi a gambe incrociate di fronte a lui.
"A chi scrivi?" Chiese.
"A... a nessuno. Non... non le invio queste lettere. Le tengo per me."
"Come un diario?"
"Uh... circa. Forse. Sono per riordinare i pensieri."
"Anche mia madre fa così. A volte la sua mentre va troppo veloce e le inizia a girare la testa, così si siede, prende un foglio e inizia a scrivere. Io e papà non possiamo mai leggere cosa scrive, ma tiene ognuno di quei fogli in una scatola di latta nascosta sotto al letto."
"Perché la nasconde, se tu sai dov'è?"
"Be'... lei non sa che io lo so. Non so nemmeno più se è lì. Una volta ho visto la scatola sotto al suo letto e pensando che contenesse dei biscotti l'ho aperta. Poi ho visto che erano dei fogli scritti a mano, quindi l'ho rimessa al suo posto."
"E non hai letto cosa c'era scritto?"
"No, ho pensato che fosse sbagliato. Dal'altronde, penso che sia giusto che abbia qualcosa di privato. Non bisogna sempre condividere tutto. Tutti hanno dei segreti."
"Tu hai dei segreti, Remus?"
"Certo. Voglio dire, ci conosciamo da poche ore. Per quanto tu possa sembrare una brava persona, non posso raccontarti ogni cosa su di me subito."
"Pensi che un giorno mi racconterai ogni tuo segreto?"
"Forse, se dimostrerai di essere affidabile."
"Certo che lo farò. Io sono super affidabile."
"Tu, invece, hai qualche segreto?"
"Sì. Più di quanti tu possa immaginare, più di quanti mi piaccia ammettere. Come dici tu, non posso raccontarti tutto subito. Magari un giorno, però, mi conoscerai meglio di chiunque altro." Fece una breve pausa. Quando riprese, la sua voce sembrava più debole, come sul punto di spezzarsi. "Non che sia difficile. In questo momento, credo che nessuno mi conosca davvero. Neanche io."

Quelle ultime, deboli parole continuarono a riecheggiare voetivando nella testa di Remus fino a quando, finalmente, non si abbandonò al sonno.
Come ci si sentiva a non conoscere se stessi? Come si faceva a non conoscersi?
Cosa si vedeva allo specchio?

Remus conosceva se stesso. Lui sapeva di essere un mostro. I suoi genitori gli dicevano sempre che era il loro bambino, il loro tesoro, il loro cucciolo, e da piccolo ci credeva pure. Ma, crescendo, aveva scoperto che i genitori non sempre dicevano la verità ai loro figli. Soprattutto se era una verità dolorosa.

Quando, una manciata di minuti prima, aveva detto a Sirius di non aver letto i fogli scritti da sua madre, aveva mentito. Ma, come i suoi genitori, l'aveva fatto per il suo bene.
Remus, in realtà, aveva letto solo alcune frasi di quei fogli. Solo quelle su cui era caduto il suo occhio. E tutte dicevano la stessa cosa.
Tutte parlavano della paura di sua madre che potesse succedergli qualcosa, o peggio, che potesse fare qualcosa di male a qualcuno.
Remus, il Remus di tutti i giorni, naturalmente, non avrebbe mai fatto male a una mosca. Ma il mostro dentro Remus era così? A quanto pareva no, altrimenti sua madre non si sarebbe preoccupata.
Solo dopo aver letto quelle lettere (che non dicevano mai le parole "Lupo" o "Licantropo" e nemmeno "Mostro", solo "Creatura") Remus aveva notato la difficoltà di sua madre di pronunciare il problema di Remus e la faccia che suo padre faceva ogni volta che aveva una nuova cicatrice, o dopo le trasformazioni, o quando aveva degli scatti improvvisi nei periodi vicini alla luna piena: la faccia di un uomo spaventato, inorridito, come se in suo figlio ci fosse qualcosa di sbagliato, ma anche dispiaciuto, in colpa, come se fosse merito suo, ma questa, probabilmente, era solo una sciocca immaginazione di Remus e della parte di lui che aveva solo bisogno di essere compatita. Come se te lo meritassi rispondeva acidamente un'altra vocina nella testa di Remus, ogni volta che questo tipo di pensieri si presentavano, I mostri non meritano compatimento, solo disprezzo.

Era per quello che aveva smesso di vedere altri bambini da quando le trasformazioni mensili erano iniziate.
Era per quello che sua madre inizialmente non voleva mandarlo a Hogwarts.
Era per quello che suo padre si era allarmato alla vista dell'uomo dalla lunga barba bianca, Silente, alla sua porta. Sapeva cosa avrebbe voluto chiedergli.
Perché chi potrebbe mai volere un mostro?
In quella scuola nessuno conosceva la vera natura di Remus, ma solo perché era arrivato da poche ore e nessuno aveva fatto caso a lui. Probabilmente, oltre ai ragazzi che in quel momento condividevano la sua stanza, tutti si erano già dimenticati il nome di Remus Lupin.
Ma non appena si fosse saputo tutto, ogni singola persona ad Hogwarts avrebbe ricordato il suo nome. Remus Lupin. Il mostro che si aggira tra i corridoi di Hogwarts.
Perché questo era l'unico aspetto interessante di Remus.
Non aveva nient'altro.

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