[STORIA COMPLETA]
Un retelling di una fiaba senza tempo, di una creatura infinitamente piccola; una fiaba oscura raccontata da occhi diversi dalla protagonista in una versione che sa di gelo e buio. E allo stesso tempo è anche uno spinoff, come si...
In un passato troppo remoto per essere ricordato...
Miti e leggende, dicerie popolari sussurrate sul far della sera, per ammansire i pargoli che antepongono i loro capricci alla beatitudine del sonno. O verità dissimulate dallo scorrere inesorabile dei secoli, nessuno può dirlo con esattezza.
Si narra di un tempo in cui tutto era diverso da come lo conosciamo, in cui il sole si concedeva lungimiranti pause dal suo perpetuo pellegrinaggio oltre l'orizzonte: il fascino della notte perdurava indisturbato per interi decenni, a volte secoli, e la natura diveniva sterile, ammantata da una esangue veste di ghiaccio e neve. Le creature delle tenebre, solitamente rilegate all'oscurità più assoluta, potevano fuoriuscire dai loro nascondigli in tutta libertà, senza più temere la morte nell'incontro col sole. La specie umana andava via via estinguendosi.
Diverse reggenze, dinastie guidate dalle specie più disparate, si spartivano i villaggi, strappandosi a vicenda lembi di questa terra riarsa dal gelo. Fu proprio in uno di questi che la nostra storia ebbe inizio. A Tovel, in una di quelle tante terre sottoposte al dominio delle creature notturne.
Sul limitare della vegetazione, tra le mura fatiscenti in cui la povera Eliza si era ritrovata a vivere. In cui si era ritrovata di continuo a pensare che non avrebbe mai potuto farcela. Nonostante i poteri indicibili che le scorrevano via rapidi nelle vene e l'eternità conferitagli dalla sua natura di Artemisia, si era convinta che non avrebbe mai potuto superare quella stagione del tutto innaturale; non tra quelle mura fatiscenti, confitte in prossimità della superficie raggelata del lago, che sapevano delle temperature incivili tipiche dell'inverno e della solitudine straziante che di giorno in giorno era solita distruggerle l'anima.
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Ma il Fato non era rimasto indifferente al destino toccatole in sorte; fece il possibile invece affinché il sentiero della sventurata ragazza potesse allacciarsi a quello di una creatura di incommensurabili poteri. La somma sovrana della sua stessa stirpe, nella sua nobile discendenza, vantava capacità del tutto strabilianti, che la rendevano capace di tutto, anche di distruggere il mondo. Un incontro fortuito, un favore da ricambiare.
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«Ecco» rispose questa con una dolcezza che, come le maldicenze del paese riferivano, non le era mai appartenuta. E così dicendo sollevò il braccio, la mano stretta a pugno, le dita che si schiudevano pian piano rivelando al loro interno un piccolo grumo rinsecchito che sembrò quasi tremare al contatto con la gelida folata di vento a cui fu improvvisamente esposto. «Vi porgo in dono questo bulbo di fiori selvatici, come soluzione finale del vostro tormento».
Un atto di pura benevolenza, contrariamente a ogni aspettativa. Forse più per riscattare la propria redenzione perduta nei secoli, che per esclusiva bontà.
«Concedetelo in custodia alla terra» proseguì. «In silente riposo sotto il manto di neve e gelo che riveste questo atrio di mondo. Quattro lune dovranno poi varcare la volta del cielo, attraversando con la loro gelida luminescenza il velluto blu della notte. Solo all'aurora della quinta luna la mia magia troverà compimento e potrete contemplarla in tutto il suo splendore e potenza. Le vostre pene incontreranno la loro fine».
Un attimo di silenzio, in quelle parole incomprensibili in cui la stava lasciando a dibattere.
«Perdonate la titubanza onorabile sovrana» disse Eliza, quando non le fu più possibile trattenersi. «Ma come può un fiore, delicato e temprato unicamente per il calore della primavera, permettersi di sbocciare, incurante di questa terra riarsa dal gelo?»
Un lampo di luce indefinibile attraversò lo sguardo della sovrana, una scintilla improvvisa che non lasciava presagire nulla di buono.
«Misera creatura della notte» quasi ringhiò, furibonda, ferita nella fragilità del proprio orgoglio. «Tu che vanti l'unica capacità di sfidare l'eternità, come puoi porre dubbi sul mio sconfinato potere?»
«Vi chiedo umilmente perdono onorabile sovrana» si mortificò Eliza, una breve riverenza per congedare l'incertezza con la completa sottomissione che la strega bramava. «Che possiate accettare le mie più sentite scuse».
«Rammenta» continuò quell'altra, senza minimamente dar seguito alle mortificazioni della ragazza. «Il tuo atto di egoismo troverà compimento solo in riscossione di un equo compenso».
«Tutto ciò che volete...ricchezza? Gioielli?»
«Non c'è oro che possa dissetare la mia vanità, né ricchezza che possa essere il giusto compendio per l'esclusività di quanto vi porgo in dono» rispose l'altra sprezzante. «Ricordate: una vita per una vita, questo il prezzo che riscuoterò a tempo debito, nel modo in cui più mi aggrada. Ma non datevene pena in questo momento, ve ne accorgerete da voi quando sarà il momento».
Un ultimo palpito d'esitazione, prima di cogliere l'attimo e congedarsi rapidamente da quell'infima creatura piena unicamente di sé, della sua beltà perdurante nei secoli. Prima che potesse ripensarci due volte. Una riverenza per poi sgattaiolare via, imboccando pensierosa la via del ritorno. Un sentore di autentica diffidenza anelava ancora tra i suoi pensieri, ma non si concesse di darvi troppo seguito. Tra le mani, tra le dita strette fino a fare male nel timore di perderlo, il sepolcro delle sue pene.
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