Capitolo 3

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Quante lune avevano rincorso l'orizzonte nel proprio perpetuo cammino, scandendo lo scorrere inesorabile di un tempo che sembrava non elargire alcuna influenza sulla statura minuta di Rosalyn, Eliza non avrebbe saputo dirlo. Nonostante i svariati anni trascorsi, le sue fattezze si erano mostrate del tutto indifferenti all'eternità. Qualche centimetro e nulla più.

Obbedendo al consiglio della madre che l'aveva messa in guardia dal mondo esterno, la fanciulla finì per trascorrere le sue giornate nascosta dall'occhio indiscreto delle altre creature notturne, che avrebbero potuto sfruttare con opportunismo la ...

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Obbedendo al consiglio della madre che l'aveva messa in guardia dal mondo esterno, la fanciulla finì per trascorrere le sue giornate nascosta dall'occhio indiscreto delle altre creature notturne, che avrebbero potuto sfruttare con opportunismo la sua esigua altezza. Nel suo giaciglio di vimini intrecciati e petali sfioriti sognava sprazzi di libertà, sbirciando i ritratti che si alternavano nel mondo esterno dalla sbiadita finestra della propria stanza; i vetri che lasciavano trasparire appena il pallore di una luna che finiva unicamente per baciarle il volto con la propria luminescenza.

Una sera, mentre la madre contemplava i sogni nel proprio riposo, si levò dal suo giaciglio da cui non trovava sufficiente sonno e, contrariamente alla ragione che la invitava a desistere dal rischio delle proprie ambizioni, si alzò di scatto per dischiudere una volta per tutte le vetrate della finestra.
I palmi premuti contro la superficie raggelata del vetro, i piedi che tremavano contro il gelo del balcone; lo sguardo che si spalancava sull'inchiostro nero della notte, nel firmamento d'argento sbiadito appena dal pallore sfumato della luna, tutto la indusse a trattenere il fiato per la sorpresa, il respiro che veniva meno senza che potesse nemmeno rendersene conto.

Lasciò andare il capo all'indietro, l'attenzione subito catturata da una luminescenza troppo intensa per essere paragonabile ad una stella. Poi la folgore di un lampo, come di una cometa che perdeva il suo trono nel cobalto quasi assoluto della volta notturna, per avvicinarsi rapidamente. Per schiantarlesi contro.

Si ritrasse di scatto, ritirandosi dietro i battenti della finestra, per poi accovacciarsi dietro di essi.

«Milady non fuggite vi prego!» Per tutta risposta si ritrovò ad ascoltare una voca dalla musicalità squisita, tale da intorpidire i sensi e ammansire i timori che avevano dimorato nel cuore della fanciulla fino a qualche istante innanzi. «Oh milady vi prego! Non nascondetevi ai miei occhi».

Rosalyn esitò, indecisa sul da farsi, rimuginando su ogni possibilità che la mente le offriva

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Rosalyn esitò, indecisa sul da farsi, rimuginando su ogni possibilità che la mente le offriva.
Poi contrariamente alla ragione che la invitava a desistere agli impulsi dettati dal cuore, si sporse in avanti, sollevandosi dal nascondiglio che l'aveva riparata fino a quel momento. Un passo dopo l'altro, con una lentezza che lasciava presagire i pensieri con cui si ritrovava a dibattere, inchiodando i piedi subito dopo alla vista di ciò che le si era parato davanti.

«Milady non abbiate timore, non volevo spaventarvi. Potete riporre massima fiducia nelle mie intenzioni».
Un paio d'occhi, che conservavano la tempra del cristallo più pregiato e che assumevano la sfumatura più mite del cobalto, l'inchiostro della notte trapunto di stelle, la fissavano immobili con una luminosità tale da far dolere anche l'anima. Le sue fattezze, paragonabili soltanto a quelle minute della ragazza, inibirono anche l'ultima esitazione.

«Chi siete?» Domandò lei infine, contrariamente ad ogni propria aspettativa.

«Perdonate la mia irruenza milady: mi ha impedito di rivolgervi le comuni cortesie che si riservano ad una conoscenza appena acquisita. D'altro canto, la vostra bellezza non mi ha concesso altrimenti.»

In fiotto di calore improvviso risalì ad imporporarle il volto, lasciandola del tutto spaesata, costringendola a mascherarsi in una riverenza e nascondere così l'espressione ritratta in viso. Il cuore che mancava di far sentire qualche battito.
«Voi mi lusingate».

«Nessuna lusinga, solo la realtà dei fatti». E così dicendo le labbra di lui si schiusero in un sorriso di una beltà tale da farle tremare anche il cuore. «Permettetemi di presentarmi: sono Kassian, il futuro erede al trono della Reggenza dei Liliam.»

«Siete dunque un Liliam?» La fanciulla si ritrasse, ricordando le favole oscure che la madre le narrava sul far della sera, con le palpebre che si abbassavano rapidamente, le ultime parole pronunciate che sfumavano nel sogno e che ritraevano i Liliam come creature diaboliche; il sangue demoniaco che scorreva loro nelle vene che li rendeva capaci di qualsiasi crudeltà.

«Lo sono, non lo nego, ma non scappate da me! Vi prego.» Come una creatura di tenebra potesse raccogliere così tanto ardore nella propria voce, lei non avrebbe saputo dirlo. «I Liliam sono i cosiddetti Figli di Lilith, madre di tutti i demoni, lo so. Tuttavia io, assieme alla mia famiglia e alla nostra corte, siamo ciò che rimane della nostra stirpe: creature che vantano di poter sfidare l'eternità per la discendenza demoniaca certo, ma che conservano nelle vene sangue umano. Noi non siamo come i nostri avi.»

La fanciulla esitò, incerta sul da farsi.
«Milady riconoscetemi almeno la possibilità di dimostrarvi la mia umanità.»

«Come?»

«Concedetemi di esser vostro cavaliere per questa notte: una passeggiata a lume di stelle, non chiedo altro, sotto questa luna che freme per baciare il vostro volto con la propria luminescenza. O almeno accordatemi la conoscenza del vostro nome, o il rammarico di avervi lasciato andare senza saperlo mi tormenterà in eterno».

Silenzio. Silenzio giù di traverso per vene e arterie. Silenzio fin nelle ossa, con il cuore che batteva a precipizio e che avrebbe potuto esploderle nel petto da un momento all'altro. Il solo pensiero di reclinare l'invito ricevuto che provocava quasi un dolore fisico.

«Sarà per me un onore vostra altezza» disse lei infine e per tutta risposta Kassian allungò il braccio, protendendolo verso quello di lei, in un tacito invito che la esortava ad intrecciarvi il suo. Senza troppa esitazione, sciogliendo la riverenza che si addice alla consuetudine, sporse in avanti la mano, allacciandosi a quella di lui. Con gli sguardi rilegati da un'intesa già palpabile nell'aria, slittarono via nel buio, in volo, lasciandosi cullare dalla discrezione della notte.

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