7. Scommettiamo? - Karter

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𝄞 Yes Or No - Jungkook

«Signor Baine, al suo servizio», recitai aprendo la portiera della mia macchina a un meraviglioso Parker. Si era vestito di tutto punto per la nostra uscita e, se di solito era bello, quel sabato era decisamente illegale. Quei jeans larghi e la camicia alla coreana calzavano perfettamente il suo fisico da ballerino. Mi chiesi come sarebbe stato strapparglieli di dosso.
«Mi stai trattando da donna?» si preoccupò con un cipiglio adorabile.
Io risi e richiusi la portiera, prendendo posto al lato guida. «Ti sto trattando da fidanzato», risposi ovvio.
«Non sapevo avessimo definito il nostro rapporto.»
Mi allungai sul sedile e gli presi il mento con una mano. Lo baciai. La mia lingua si insinuò in fretta nella bocca di lui per ritrovare la sua. Gli strinsi una mano nella coscia e ticchettai con le dita all'interno di essa. Sentirlo gemere mi riempì d'orgoglio; vederlo stordito dal mio allontanamento improvviso ancora di più. «Da oggi sì.» Non ci avevo nemmeno riflettuto più di tanto, era nato in quel momento e mi piaceva da pazzi. In questo modo non sarebbe stato più solo il ragazzo che baciavo negli ascensori.
Parker si ricompose sul sedile e aprì lo specchietto che aveva davanti per darsi una sistemata ai capelli, non che ne avessero bisogno; la sua chioma bionda era perfettamente impomatata all'indietro e aveva messo talmente tanta cera da non avere nemmeno un filo fuori posto.
«Non avresti dovuto chiedermelo, prima?»
«Quei tempi sono passati, Parker. Non vuoi che chieda la mano a tuo padre, vero?»
Parker negò con un cenno del capo, orripilato dal pensiero di me in ginocchio davanti al padre.
«Ottimo», risposi. «Spero che non aspetti di arrivare al matrimonio per consumare.»
Si voltò a guardarmi con gli occhi larghi e un sorriso nascosto. «Quindi, fammi capire bene. da stasera sei il mio ragazzo?»
Annuii.
«Poteva andarmi peggio», mormorò leccandosi le labbra seducenti.
Distolsi lo sguardo impedendomi di fantasticare su cosa riuscisse a fare con quella bocca. Non sarebbe stato saggio, visto che dovevo guidare. «Dimmi che non aspetterai il matrimonio», lo supplicai, avviando il motore della Maserati.
«Mi aspetteresti?»
Lo guardai di traverso, soppesando la sua richiesta - ditemi che non ci stava pensando davvero - e mi lasciai andare a un sospiro. «In manicomio, forse.»
Parker rise. «Come sei tragico!»
«Quella che vuoi infliggermi è una tortura; non sono tragico, per niente.»
Fece spallucce e si concentrò a guardare fuori dal finestrino. «Non ho mai detto di volertela infliggere. Volevo solo capire cosa saresti disposto a fare per me.»
«Hai bisogno di rassicurazioni?» domandai. Gli afferrai una mano, lasciandoci un bacio sul dorso e lui tornò con gli occhi su di me.
«Io, rassicurazioni?» Inarcò un sopracciglio, con un sorrisino storto.
«Così sembra.»
«Karter, non ho bisogno di alcuna rassicurazione. Sono solo curioso e mi piace sapere se la persona che ho accanto vale la pena di essere vissuta», spiegò in fretta.
Non mi convinse del tutto e, il modo in cui staccò la mano dalla mia, confermò il mio pensiero. Aveva paura. Non sapevo bene di cosa ma ne aveva, e parecchia.
«Ne valgo la pena o no?»
«Sto ancora cercando di capirlo.»
Bene, avevo appena scoperto di essere sotto esame da quello che era appena diventato il mio fidanzato. Non che me ne importasse qualcosa, mi piaceva essere me stesso a discapito dei rapporti relazionali che potevano andare bene o meno. Mostrarsi diversi da come si è realmente è il primo passo verso il fallimento e io non avevo nessuna intenzione di fallire con Parker.
«Passeremo una serata senza la rossa», si lasciò sfuggire lui.
«Si chiama Joanne.»
«Quattro ore», specificò Parker, senza prestare particolare attenzione al mio commento.
«Si può cambiare il mondo in quattro ore.»
«Tu puoi farlo, Karter. Io ho bisogno dei miei tempi», replicò.
Respirai a fondo e mi fermai nel primo fast food dell'Upper East Side per mangiare hot dog e patatine che ci servirono a un tavolino alto.
«Ho fatto una pessima scelta nel lasciarti carta bianca per questo appuntamento», borbottò Parker, guardandosi intorno. Era un posto anonimo e con pochi avventori e le sue assi di legno scricchiolavano sotto i nostri piedi. Un paio di corna da cervo spuntavano dietro il bancone, sembravano messe lì apposta per infilzare i dipendenti.
«Il cibo è buono», risposi mangiando una patatina; quelle di Joanne erano più buone. «E poi il bello verrà dopo», ammiccai mordendomi il labbro inferiore.
Lui sorrise sorpreso e avvicinò lo sgabello al mio. «Se non altro c'è poca gente», disse prima di infilarsi una patatina in bocca, invitandomi a prendere l'altra estremità.
Da dove gli usciva tutta quell'audacia improvvisa? Davvero era importante saperlo? No! Assolutamente no! Enne. Oh. Mi protesi in avanti e fui tanto vorace da mordere anche le sue labbra, sgraffignando più di quanto mi aveva concesso.
«Vacci piano, Hill», mi rimproverò.
«Puoi chiedermi tutto, ma non questo», lo provocai.
Parker boccheggiò, spalancando gli occhi. «Cosa vuoi dire?»
Risi, senza riuscire a trattenermi.
Mi passò due dita ai lati degli occhi e lo fece con una delicatezza lenta e dolce. Sentii il mio cuore prigioniero di una strana danza rigida ma esplosiva. Smisi di ridere e fissai i miei occhi nei suoi. Quelle due sfere blu erano surreali, mai visti occhi così belli e grandi e...
«Perché hai smesso?» domandò, facendomi perdere il filo del mio commento mentale sui suoi occhi.
«Di fare cosa?»
Toccò il punto che aveva sfiorato poco prima. «Di ridere. Sei adorabile, quando lo fai. Ti si formano delle rughette, proprio qui.»
Di nuovo, avvertì il frantumarsi della mia pelle e mille schegge investirla, sotto quelle dita eleganti. «Hai smesso di fare la tua smorfia da santosubito; era quello che mi faceva ridere», mormorai allungando una mano verso di lui.
«Io non faccio smorfie del genere», bofonchiò.
Respirai a fondo e ripresi il controllo di me stesso. «Scommettiamo?»
«Qual è la posta in gioco?»
«Se vinci tu, io sarò il tuo premio. Se vinco io, tu sarai il mio. Comunque vada, ci guadagniamo entrambi», ammiccai spavaldo.
Parker soppesò le mie parole e scosse la testa, divertito. «Mi dispiace, Hill. Sono il figlio di un imprenditore di un certo calibro e le statistiche mi suggeriscono che questo è un pessimo investimento di tempo.»
«Anche io lo sono e le mie statistiche dicono il contrario.»
«Non faccio smorfie del genere», ribadì convinto.
Mi guardai intorno e, assicurandomi che tutti si stessero facendo gli affari propri non prestando caso a noi, gli passai una mano sulla coscia, infilandola nello strappo dei jeans.
Parker spalancò gli occhi e la sua espressione da santosubito tornò a irrigidire i suoi bei lineamenti.
«Ho vinto!» esultai.
«Non avevo accettato la scommessa.»
«Le tue statistiche avevano ragione: sapevi che avresti perso e hai preferito rimanere nella tua comfort zone.»
Lui spalancò la bocca per ribattere e la richiuse in tempo record.
Sorrisi e finii di mangiare, annegando tutto con una birra.
Parker si limitò a bere dell'acqua, nel caso io non riuscissi a guidare, cosa improbabile con una sola birra, ma il mio ragazzo era fatto così.

Quando uscimmo dal fast-food filai dritto a Broadway, al teatro New Amsterdam sulla 42nd St.
«Posso sapere cosa ci facciamo qui?» chiese Parker, prima di scendere dall'auto.
«Mi sembra così ovvio», risposi con un sorriso. «Siamo qui per amoreggiare in una loggia come due amanti clandestini.» Imitai dei gestacci osceni con la lingua e lui scoppiò in una risata enorme e fragorosa. Era un suono bellissimo che avrei registrato volentieri. Lui era bellissimo, dannazione!
«O scendiamo o giuro che ti sbatto su quel sedile», lo minacciai avvicinandomi pericolosamente a Parker che smise di ridere all'istante.
«Scendiamo.» E senza darmi il tempo di ribattere fu all'altro capo della strada, accalcato in mezzo alla folla che attendeva di entrare a teatro.
Ok. quella reazione era strana - cosa di Parker non lo era? - ma volevo godermi la serata, quindi la archiviai insieme alla voglia che avevo di fare sesso con lui.
Entrammo dopo una fila interminabile e finimmo con il raggiungere la nostra loggia quando le luci erano state già abbassate e la musica di sottofondo faceva presagire l'inizio imminente dello spettacolo.
«Hai scelto un buon posto», disse sistemando la giacca sul balconcino.
«Il miglior posto è sul palco», obiettai convinto.
Parker mi fissò, mentre il cast di Aladin si faceva avanti ballando e l'orchestra lo accompagnava con musica dal vivo. «A suonare a un musical della Disney?»
«Cosa ci sarebbe di sbagliato?» risposi con un'altra domanda.
«Sul serio vorresti usare il tuo Stradivari da migliaia di dollari per dare vita a un musical per bambini con la pancia dipinta di blu come un puffo?»
«Ci sono famiglie», precisai. «E sì, non ci sarebbe niente di male. Hai idea di quanti turisti vengano solo per guardare questi spettacoli?»
«Spero non ci sia troppa gente stupida in giro.»
Sbuffai. Vedeva tutto in bianco e nero, senza sfumature e io amavo le sfumature. Amavo le pennellate fuori posto e i colori che non avevano senso di esistere, ma esistevano lo stesso, tipo il verde bile. Che razza di essere umano paragona un colore a un liquido vischioso che circola dentro il nostro corpo?
«Non fare così, Karter. Dico solo che potresti suonare all'Opéra di Parigi, insieme a una compagnia di danza. Sarebbe più serio e meno deprimente.»
«Ma non sarebbe divertente.»
«L'arte non deve esserlo. La mia disciplina mi impone rigidità, è vero. Ma in generale il mio pensiero rimane quello», disse.
Feci una smorfia. Joanne avrebbe apprezzato quello spettacolo e avrebbe gioito della mia sola compagnia al suo fianco, in quella loggia. «Ok, ho sbagliato a portarti qui. Se vuoi andiamo via e fine appuntamento.»
«Non voglio che finisca», obiettò Parker. «Sto solo dicendo che, la prossima volta, ti porto all'Opéra di Parigi.» Mi prese una mano e la strinse, incrociando le nostre dita. «Ti immagini al centro del palco con il tuo violino e io che ti seguo danzando?» Le sue iridi scintillarono emozionate. Dopotutto, il re del gelo, provava sentimenti.
«Non credo di riuscire a suonare con te in calzamaglia», lo informai, piazzandomi dietro di lui. Parker era alto e aveva due belle spalle allenate, ma io riuscivo a coprirlo senza fatica. «Voglio dire, con tutto quel ben di Dio in mostra... Come pensi che possa concentrarmi?»
«Non lo so, Karter», bofonchiò a disagio.
Il mio corpo aveva aderito perfettamente al suo e il mio mento era poggiato sulla sua spalla. Speravo non fosse la mia vicinanza ad agitarlo, ma finché sarebbe rimasto non mi importava. «Sei agitato?» soffiai al suo orecchio.
«No.»
«Sicuro?»
Parker si voltò tra le mie braccia e mi guardò. «Sono eccitato.»
«Possiamo andarcene, se vuoi», rinnovai l'invito. Non avrei avuto nulla in contrario in quei termini.
«No.»

Firts Girly LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora