19. Ghigliottina Studentesca

4 2 1
                                    


𝄞
Opportunity - Sia

L'auditorium era gremito di studenti di ogni anno.
Quella mattina eravamo stati convocati tutti dal preside e l'ansia generale si era formata sulle nostre teste come una cappa di fumo. Non temevo espulsioni o punizioni e poi, cose del genere andavano ragionate in privato. Quel che dovevano dirci era sicuramente più importante e di grande impatto. Non avevo idea di cosa potesse essere ma me ne sarei preoccupato a tempo debito. Stessa cosa non potevo certo dire di Joanne che, nel tragitto dalla residenza alla scuola, aveva elencato le tragedie shakespiriane più improbabili.
«Credo che ci sarà un espulsione di massa», disse, torturandosi i poveri ricci. «Una sorta di ghigliottina studentesca», proseguì, traballando da un piede all'altro.
Risi alla sua espressione tirata e la attirai a me con un braccio solo, prendendole il mento con una mano. «Jo, anche se fosse non è detto che debba essere tu a perdere la testa», la tranquillizzai, accarezzandole il fianco.
«Chi altri? Sono la peggiore qui dentro!»
«E che mi dici di Steve Anderson?» tentai, buttandomi sul peggiore di tutti davvero.
Le labbra di lei si aprirono in una piccola O. «D'accordo, vengo subito dopo lui», biascicò agitata. «Ricordo ancora il dolore alle orecchie quando fece stridere tutta l'attrezzatura in un grido mistico.»
«Io lo avevo scordato e avrei preferito non ricordarlo», inorridì. «Comunque, dovresti stare serena. Mr Smith ha ritirato i provvedimenti e tutto sembra messo a tacere. La gente non ricorda già più di quella serata al locale.» Le poggiai la fronte sulla sua, con un sorriso sincero che lei, stranamente, non ricambiò. Si staccò da me, più agitata di prima, se possibile. Di solito riuscivo a calmarla con la mia sola vicinanza, ma la mia presenza sembrava turbarla. Erano giorni che il suo atteggiamento mi lasciava perplesso e non ne capivo il motivo. «Non vorrei essere ripetitivo ma, va tutto bene?» domandai per l'ennesima volta.
«Se con tutto bene intendi che verrò cacciata a calci nel sedere, sì, va tutto alla grande!» rispose alzando i pollici in su. Ovviamente non aveva afferrato il vero senso della mia domanda. Comunque, smisi di pensarci nel momento in cui vidi entrare Parker con il suo trench e le mani infilate nelle tasche. Per un momento mi parve di vedere la scena a rallentatore come in una di quelle pubblicità di modelli stratosferici. Sollevò una mano per salutare alcuni ragazzi e spalancò la bocca in un sorriso smagliante, facendomi quasi mancare il respiro. Il mio ragazzo era di sicuro più bello di qualsiasi modello avessi mai visto nelle riviste. Mi sbracciai, segnalando la mia posizione, e quando i suoi occhi incrociarono i miei ebbi la netta sensazione di venire risucchiato da quelle iridi color cielo. Da quando avevamo approfondito il nostro rapporto le cose stavano migliorando. C'era più simpatia tra noi, e cavolo, il sesso ci rendeva più empatici l'uno verso l'altro. «Buongiorno, signor Baine», lo salutai, stuzzicandomi il labbro con la lingua. Lui non era ancora pronto per prendermi e baciarmi in contesti del genere, con tutta quella folla a circondarci. Parker non mi si avvicinava mai più del dovuto, se c'era troppa gente, e io soffrivo maledettamente la distanza con la sua bocca.
«Buongiorno», replicò, sfiorandomi le dita di nascosto. «La rossa sembra sul punto di vomitare; è il caso che mi sposti?» Lanciò un'occhiata a Joanne e poi si rivolse a me, facendo un passo indietro. Quella lontananza la odiavo. Avevo vissuto bene, fino a poche settimane prima, senza di lui. Ma ora mi ritrovavo ad avere un bisogno esagerato e costante di Parker nella mia vita. Mi avvicinai a lui, spalla a spalla, e mi bastò quel leggero contatto per tornare a respirare. Gli strinsi un braccio, cercando di apparire più amichevole possibile agli occhi degli altri, quando invece avrei solo voluto spingerlo contro una dannata poltrona e baciarlo fino a consumargli le labbra. «Non vomiterà», dissi convinto. «È solo che si fa troppi film mentali.»
«Tuttavia, questi film sono tutti plausibili», ribadì lei, poggiando le mani sulla spalliera di una poltrona rossa che strizzò, facendosi sbiancare le mani.
«Sul vocabolario, sotto la parola panico, c'è la tua faccia», la derise Parker.
Joanne si voltò di scatto, ruotando la testa, e lo incendiò con uno sguardo. «Qui non abbiamo tutti le tue doti da ballerino provetto.»
«Basterebbe impegnarsi a studiare di più.»
Ecco che ricominciavano. Non riuscivano a stare nella stessa stanza puntualizzando la loro visione delle cose in dibattiti accesi e ripetitivi.
«Io studio. Solo che devo anche lavorare e...» Joanne si bloccò e mi pietrificai anche io, alla vista di Keaton che le arrivava alle spalle e la abbracciava da dietro lasciandole un bacio tra i capelli.
Lei si voltò tra le sue braccia con un sorriso timido.
«Che sta succedendo?» chiesi confuso. Io e Joanne ci dicevamo tutto ma ero certo di essermi perso qualche passaggio in tutta quella storia.
Keaton allargò la bocca, troppo felice, per i miei gusti. «Non te l'ha detto?»
«Esattamente cosa doveva dirmi?» ringhiai, guardando Joanne di traverso.
«Sembri un fidanzato geloso», mi ammonì Parker, stringendomi una mano per tirarmi indietro da quei due.
Guardai la sua presa e non feci altro che arrabbiarmi di più. E la mia rabbia aumentò a dismisura quando vidi Keaton chinarsi sulle labbra di lei per un bacio, mentre lei restava immobile e accogliente. Mi voltai di nuovo verso Parker, bisognoso di un suo bacio ma lui, come se mi avesse letto nel pensiero, scosse la testa. «Non qui», mormorò.
Chiusi gli occhi e li riaprì su Joanne, ancora incollata alla bocca di quell'idiota. Il nostro rapporto non era così. Non c'erano mai state sorprese tra di noi, e diamine! Quella era una sorpresa col botto.
Mi staccai dalla presa di Parker e li raggiunsi di nuovo, in pochi passi. «Sei tornata con lui?» domandai.
Joanne annuì, senza spiaccicare parola.
«Perché non ne sapevo niente?» chiesi ancora.
Silenzio.
«Perché lo vengo a sapere in questo modo, come se fossi uno qualunque?» continuai.
«Doveva chiederti il permesso?» intervenne Keaton, irritato.
«Sta zitto!»
«No, Karter, non me ne starò zitto, stavolta. L'ho già persa una volta a causa tua e non ti permetterò di intrometterti tra di noi, di nuovo.» L'aria da paladino dell'amore gli conferiva quasi un'aria da principe azzurro, quasi. Peccato che odiavo le favole.
«Per colpa mia?» sbottai. «Sei stato tu l'idiota che l'ha mollata. Non ti ho chiesto io di farlo.»
«A causa delle tue mutande, allora!»
«Ancora con questa storia?»
Keaton fece spallucce. «È così che è andata.»
«E non sono affari tuoi», aggiunse Parker, infastidito.
Joanne era muta. O aveva consumato le sue ultime parole pregando per la riunione o stava evitando di rispondermi. Nemmeno le mie occhiate bastarono a farle tornare la voce e dopo l'ennesima, anzi, mi voltò le spalle evitando completamente il mio sguardo. Era strana.
Feci per allungare una mano verso di lei ma di botto calò il silenzio e il preside raggiunse il palchetto con un sorriso sornione. «Buongiorno miei cari studenti», iniziò in tono melenso.
«Buongiorno, Mr Brown», risposero tutti in un unico coro.
Keaton e Joanne avevano preso posto nelle poltrone avanti e si tenevano per mano. Con un balzo mi sedetti al fianco di Parker e cercai la sua mano, ma ovviamente si scansò, lasciandomi frustrato e rammaricato.
«Vi starete chiedendo perché vi ho convocati con tanta urgenza», proseguì Mr Brown. Era troppo felice per avere cattive notizie. «Il motivo è semplice e avvalorerà ancora di più la nostra scuola; siamo stati scelti per rappresentare l'arte americana in Europa in un tour della durata di sei mesi. Il tour comprenderà sei tappe in sei città: Milano, Parigi, Vienna, Berlino, Amsterdam e Londra.»
Rimasi sconvolto, quella era un'opportunità unica. Parker, accanto a me, si unì all'ovazione generata dal fiume di studenti presenti. Joanne, invece, si voltò verso di me con gli occhi larghi e l'espressione stupita quanto la mia.
Ero ancora arrabbiato con lei, ma sollevai la mano e incrociai le dita per entrambi.
Lei fece lo stesso, prima di tornare a concentrarsi sul discorso.
«La compagnia sarà formata da sessanta studenti. Cantanti, attori, musicisti e ballerini in gruppi da quindici.»
L'allegria si trasformò improvvisamente in isteria. Eravamo molti, molti studenti e i posti disponibili troppo pochi. «Vi verranno assegnati brani, scene e coreografie da eseguire direttamente dai docenti che avranno cura di prepararvi per le audizioni che si terranno tra un mese a partire da oggi. Per il momento è tutto, buona fortuna.»
Parker si alzò, accompagnando l'uscita di Mr Brown con applausi ed enfasi. «Devo essere tra quei quindici.»
Mi alzai e gli presi una mano, intrecciandola con la mia senza badare agli altri. Lui non protestò e io mi ritrovai a sorridere. «Saremo tra quei quindici.»


Firts Girly LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora