8. Radiazioni di Chernobyl - Joanne

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𝄞 Friends - BTS

Attesi per mezz'ora l'arrivo di Karter sul ciglio della strada. Il fast-food era ancora gremito, come ogni sabato sera, ma avevo avuto il cambio del collega e me l'ero svignata alla prima occasione utile. Gli straordinari venivano messi in conto come favori e io non avevo alcuna intenzione di fare più di quello che dovevo.
Sbuffai sonoramente e presi il telefono perdendomi in video stupidi che trovavo su Instagram, per ammazzare la noia. Odiavo aspettare e, da quando Parker ronzava intorno a Karter, avevo già sperimentato più occasioni simili. Lo capivo, ma comunque non riuscivo a evitare di provare un certo fastidio al continuo cambio dei nostri programmi.
Dieci minuti e due gruppi di ubriaconi dopo, vidi la Maserati di Karter accostare di fronte e lui scendere con le mani giunte in preghiera. «Sono imperdonabile!»
Lo fulminai con lo sguardo e lo superai, andandomi a sedere al lato del passeggero. «Non. Una. Parola.»
Dentro quell'auto mi sembrava di soffocare. La presenza di Parker era ovunque e il suo dopobarba da centinaia di dollari permeava nell'aria come le radiazioni di Chernobyl.
«Jo?» mi chiamò Karter, dopo qualche metro di distanza.
«Mh?»
«Mi dispiace.»
«Ok.» Non mi voltai a guardarlo. I miei occhi erano presi dai palazzi che apparivano e sparivano dalla mia traiettoria. Non amavo i mezzi e avevo un serio problema con la metro, sin da bambina temevo di morire sottoterra schiacciata da un terremoto o da un anaconda gigante e, quando mia madre mi tirava a forza dentro una carrozza, finivo col battere i piedi come un'ossessa, costringendola a scendere alla prima fermata e a prendere un taxi che non potevamo neanche permetterci, visti i costi. Comunque, tutto spariva troppo in fretta e io, che del tempo avevo la fobia, mi trovavo a disagio a superare quei chilometri con tanta velocità.
Mi piaceva camminare, invece. Magari fermarmi a osservare una bambina col suo papà, chissà com'è dev'essere averlo, un papà, io non lo avevo mai conosciuto il mio; oppure prendere al volo uno degli sconti di Starbucks che ogni tanto lanciavano sulla 65th St; o ancora guardare una vetrina e invidiare un manichino donna per la sua linea perfetta.
Sentii la mano di Karter cercare la mia. «Dico davvero», disse.
Feci in modo che riuscisse ad afferrarla e, sempre guardando oltre il finestrino, parlai: «Non devi dispiacerti, Karter. Non sei il mio autista e non sei il mio baby-sitter; se vuoi concederti una serata libera da me, lo capisco.»
«Non è così», specificò lasciandomi un bacio sul dorso della mano che mi teneva stretta. «Solo che mi è sfuggito il tempo e...»
Stavolta mi voltai verso di lui e lo scrutai. Karter non era il tipo di persona che tentenna, principalmente con me. «E?» incalzai.
«Niente. Soltanto questo.» Alzò le spalle e cambiò marcia, continuando a tenere le dita incollate alle mie.
Non me la bevvi. Sapevo che si stava trattenendo dal raccontarmi qualcosa e, con ogni probabilità, la motivazione era legata a quell'odioso biondino che stava frequentando.
Comunque, decisi di non infierire. Non mi andava di costringerlo a parlare di una cosa che voleva tenere per sé. L'amicizia è condivisione, ma anche comprensione e io lo comprendevo; lo avevo sempre fatto.
Passammo il resto del viaggio in silenzio, io con le gambe raccolte e la testa incollata al finestrino e lui con la mia mano nella sua e l'altra sul volante.

«Sei pronta?» chiese quando parcheggiò l'auto davanti casa della signora Hopman, due case dopo la mia. Fortunatamente la vecchietta ci conosceva e ci aveva preso in simpatia, per cui non si sarebbe lamentata per l'invasione della Maserati sul suo carrabile inutilizzato.
Guardai Karter e risposi con un secco: «No.»
Lui sorrise e mi tirò un ricciolo che era caduto dallo chignon scomposto dopo il turno di lavoro. «Come sempre.»
Feci spallucce e scesi dall'auto. Raccolsi il borsone dal bagagliaio della Maserati. Quindi, afferrai le chiavi e aprì il cancelletto e, dopo quattro scalini, la porta d'ingresso. Non ci fu bisogno di cercare l'interruttore, le luci erano accese e la scena che mi si palesò davanti mi fece salire la bile su per l'esofago. Mia madre era sull'isola della cucina e tra le sue gambe si agitava un uomo dalle spalle larghe, i gemiti gutturali di entrambi erano raccapriccianti. Ero talmente disgustata da non riuscire neanche a concepire l'idea di mangiare del cibo cucinato in quell'ambiente.
Karter, dietro di me, mi tappò la visuale con le mani. «Aspettiamo fuori?» propose in sussurro. I due amanti non si erano neanche accorti della nostra presenza. «Da quello che sento non ci metteranno molto ad arrivare al dunque.»
«Cosa?» strillai, senza riuscire a trattenermi.
Mia madre prese coscienza del mio arrivo e spinse Mister Muscolo di lato, giusto per riuscire a vedermi. «Joanne!»
«Sapevi che sarei tornata a casa», gracchiai con una voce che non riconobbi.
«Anche il mese scorso lo sapevo,» si difese, «ma hai trovato una scusa per non presentarti.» Scese dal bancone con un saltello, spostandosi i capelli da un lato, affrettandosi a infilarsi la maglietta del suo uomo.
Quest'ultimo, invece, si era poggiato con il sedere sulla cucina e aveva addentato una nocciolina con la mercanzia in vista.
«Avevo la febbre», puntualizzai.
«È vero. Sono stato io stesso a misurargliela», intervenne Karter.
Gli dedicai un piccolo sorriso, prima di concentrarmi di nuovo sulla donna che mi aveva messa al mondo: si stava avvicinando con le mani protese in avanti per abbracciarmi. «Non ci pensare!» la fermai. «Non osare toccarmi dopo quello che hai fatto con quello là!»
«Quello che ho fatto?» gracidò nervosa.
«Quello che hai fatto!» replicai convinta.
«Sono una donna, Joanne, e l'averti avuta tanto presto, e senza un compagno, non può precludere la mia vita sessuale», non urlò. Era educata e rispettava gli orari imposti dalla legge. Poteva essere definita una donna modello, all'infuori della maternità. «Cosa pensi che abbia fatto tutti questi anni mentre ti crescevo da sola?»
Ecco che tirava di nuovo fuori quella storia.
Karter mi strinse la mano su un fianco e mi attirò a sé.
«Non ho la bontà di farmi suora e i giochetti da sexy shop sono divertenti solo fino a un certo punto.»
«Non voglio saperlo, è disgustoso», scattai orripilata.
«Hai vent'anni», ironizzò senza umorismo. «E anche lui.» Indicò Karter e quasi non mi soffocai con la mia stessa saliva. «Karter è gay», le ricordai.
«Forse per lui è diverso, ma tu? A te non piacerebbe andarci a letto?»
Prima Keaton che mi accusava di essere attratta da Karter; poi mia madre che insinuava che volevo addirittura fare sesso con lui, ma cosa avevano tutti? «Mamma!»
«Te lo porti sempre dietro manco fosse il tuo cane da guardia e non mi hai mai presentato un fidanzato, a parte Joshua o Shawn, in primo liceo.»
«Era Jared e...»
Karter aggrottò la fronte. «Signora Young, con tutto il rispetto, non sono il cane da guardia di nessuno e, francamente, non mi sembra giusto prendere in causa la nostra amicizia per nascondere il suo imbarazzo.»
Mia madre incrociò le braccia al petto e gli lanciò un'occhiataccia. «Per cosa dovrei essere imbarazzata?»
«Magari per il fatto che il suo amico continui a mangiare noccioline senza mutande davanti a sua figlia?»
Mia madre si voltò e sorrise ammiccante all'uomo. «Jonas, puoi attendermi in camera da letto?»
Il fantomatico Jonas annuì e si portò dietro la ciotola di frutta secca, ancheggiando con il suo sedere pallido.
«Adesso che non è più davanti a mia figlia possiamo finirla con questa tiritera?»
«Me ne torno alla residenza», annunciai senza riuscire a guardarla.
«Joanne, dannazione!» imprecò lei, legandosi i capelli alla rinfusa. Quei capelli ricci e rossi erano l'unica cosa che mi legavano a lei e mi ricordavano di essere sua figlia. «Ho passato anni a prendermi cura di te e ora che non vivi più qui ho bisogno di un po' di compagnia. Jonas è un brav'uomo e...»
«E non è questo il punto!» la interruppi. «Non voglio che tu stia sola e quel tizio potrebbe anche essere il seguace più fedele di Silente, non mi importa! Ma non comportarti come se io non esistessi solo per recuperare la vita che credi di aver perso a causa mia.»
Stavo per crollare e se non ci fosse stato Karter a reggermi sarei rovinata sulle ginocchia sul parquet nuovo di zecca. Non mi ero resa conto che avesse sostituito la vecchia moquette, ma non ne fui sorpresa. Stava cercando di migliorare la sua vita e questo implicava anche gli interni di casa che aveva maledetto milioni di volte.
«Andiamo», disse Karter, inforcando la porta ancora aperta.
«Tornerai?» chiese mia madre sul ciglio.
Non risposi.
Karter mi scortò fino alla Maserati, abbracciandomi da dietro; il mento incollato alla mia spalla e le braccia incrociate sul mio petto. «Ci hai provato», mi consolò, lasciandomi un bacio umido su uno zigomo.
Affondai nel sedile e mi rannicchiai, chiudendo gli occhi per trattenere le lacrime. Il mio rapporto con lei non era mai stato facile. Neanche una volta avevo pensato di poter essere messa in primo piano, ora che ero adulta. Aveva sofferto per anni, trattenendo il suo egoismo dietro una bella facciata da madre attenta e, alla fine, da quando avevo iniziato il college sembrava più tranquilla che mai. Non pesavo più sui suoi bilanci economici e poteva scopare liberamente sui mobili della cucina. Perché avrebbe dovuto preoccuparsi per me?
Karter salì in macchina e mi afferrò il viso con entrambe le mani. «Non stava facendo niente di male, in fondo.»
«Lo so. Ma quale razza di madre ti accoglie col sedere di un uomo, anziché dei palloncini?»
«Beh, il tizio lo aveva il palloncino!» scherzò poggiando la fronte sulla mia.
Scoppiai a ridere. «Non posso credere che gli hai guardato là sotto!»
«Senza offesa, tua madre non è nei miei gusti e, Jonas, aveva un bell'armamentario.»
«Piantala!» lo spinsi da una spalla, senza riuscire a smettere di ridere.
«Se la smetto prometti di non rimettere il broncio?» contrattò passandomi un dito sulle labbra.
«Promesso», risposi rincuorata. «Domani possiamo pranzare da tuo padre?»
Karter annuì. «Ma suonerò al campanello, ne ho abbastanza di genitori sessualmente attivi.»
Risi di nuovo, tenendomi la pancia e Karter fece lo stesso, tirandomi a sedere su di lui. Sentii il suono della sua risata nel mio orecchio e l'anima vibrarmi di una gioia violenta e bambinesca.

Firts Girly LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora