1 - Guess who's back?

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And I never
Saw you coming
And I'll never
Be the same

- State of Grace, Taylor Swift

𝐂 𝐀 𝐓

"La mente è come un iceberg: galleggia con un settimo della sua massa al di sopra dell'acqua", diceva Freud.
E aveva ragione.

Quanti, quali pensieri può celare la mente di una sola persona?
Ognuno è un mistero perfino per se stesso.
Un mistero da svelare.
E la parte più bella dei punti di domanda sta proprio nel trovare le risposte, nello sciogliere i nodi intricati, un po' come Sherlock Holmes, no?

Ammetto che quando ero al liceo amavo - e amo tutt'ora - lo studio. Sono nata curiosa, come mi ricorda spesso papà. Ho sempre avuto fame di conoscenza.
"Perché", era la mia domanda preferita da piccola.

"Perché il sole è così luminoso, papà?"
"Perché l'uccellino non canta più, mamma?"
"Perché ci vuole lo zucchero nella torta, nonna?"
Perché. Perché. Perché.
La vita è tutta un enorme interrogativo, una giostra di prospettive, ed è stato questo uno dei motivi che mi hanno spinto a scegliere il corso di psicologia. Ormai sono al terzo anno, l'ultimo. 

Mi sembra ieri di aver varcato per la prima volta l'aula, rovesciando il caffè sulla professoressa perché ero distratta, intenta a guardarmi attorno. A pensarci, mi viene ancora da ridere. Negli ultimi tre anni, da quando io e le mie amiche abbiamo cominciato questo nuovo capitolo delle nostre vite, non sono avvenuti chissà quali grandi eventi, a meno che non consideriamo il viaggio a Miami dello scorso mese e il fatto che Veronica abbia trovato un ragazzo.

Ebbene sì, ora anche lei fa parte della schiera delle fidanzate e io sono rimasta l'unica single del gruppo. È ironico, se penso che alle superiori fossi l'unica ad avere un ragazzo. Una lieve tristezza mi coglie quando il pensiero torna a lui, e mando giù quel boccone amaro.

Dopo l'ultima storia, ho eretto un muro fra me e gli uomini. Contrariamente a ciò che molti potrebbero pensare, non ho bisogno di un ragazzo. Sto benissimo da sola. Occupo il tempo concentrandomi sullo studio – come in questo momento – e sul lavoro.

Faccio in tempo a ritirare le dita dalla tastiera del mio computer che lo schermo viene sbattuto violentemente. «Amy, sei pazza!», esclamo.

«E' mezz'ora che ti parlo, e quando ti ho chiesto se ti piacesse questo vestito tu mi hai risposto "No, li ho già comprati io i cereali"», arcua un sopracciglio castano e punta una mano sul fianco, nell'altra regge un vestito bianco, nonché il suo preferito.

Ha messo a soqquadro la nostra stanza, cacciando dall'armadio tutti i suoi indumenti, per scegliere alla fine la sua prima opzione. Ormai la conosco bene come le mie tasche.

Lei è una delle mie migliori amiche, ci siamo conosciute al secondo anno del liceo, quando si è trasferita nella mia scuola. Nella camera dall'altra parte del muro dormono invece Claire e Veronica. Loro due frequentano la New York Academy of Art, mentre io ed Amy, studentessa di medicina, andiamo alla Columbia University.

Siamo tutte originarie del Canada a dire il vero, di Toronto per la precisione, ma per via del college abbiamo dovuto spostarci e ora siamo quattro coinquiline in questo piccolo appartamento di Manhattan.

«Scusa, ero applicata a leggere le dispense della professoressa», le rispondo. «E poi te l'ho visto addosso mille volte quello, e tutte e mille ho detto che mi piace»

Sbuffa e comincia a ripiegare il resto della roba. «Non so che diavolo mettermi stasera!»

Appoggio le mani indietro e la osservo riordinare. «Cosa c'è stasera?»

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