άλλος εγώ

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Manuel non sapeva cosa lo aveva spinto a prendere quella decisione, ma il corpo caldo di Simone sotto il suo, sicuramente non lo faceva pentire della sua scelta.

In quel momento Simone lo stava facendo impazzire, con quegli occhi da cerbiatto e quella bocca gonfia dai baci, doveva farlo suo presto, o sarebbe uscito completamente di testa.

Aveva aspettato troppo dall'ultima volta, giorni, mesi, quasi anni, tutta quella giornata in cui, il corpo di Simone, era l'unica cosa che riusciva a pensare.

A partire dalla mattina appena sveglio quando se lo era trovato vicino nel letto, con il corpo sul proprio letto e il volto sul suo cuscino, che rotolava giù dal materasso addormentato e arrotolato nelle coperte come una salsiccia.

Per continuare con il suo risveglio, quando, con la bocca impastata dal sonno e una voce più profonda del solito, gli aveva detto di spegnere la sveglia, che lui era incastrato. Poi alla risata di Manuel aveva continuato a lamentarsi, dicendo che, in quella posizione, si sentiva un bruco.

Andando ancora avanti con la colazione, mentre lo guardava prepararsi il latte, per la prima volta da solo da quando stava in quella casa, e lo aveva visto scottarsi il pollice perché aveva preso male la presina. Per poi, con non poche imprecazioni, vederlo gettarsi sulla sedia accanto alla sua assonnato e osservare la sua testa che ciondolava vicino alla propria spalla.

In fine, arrivando al culmine dell'attrazione, quando, verso le sei di quel giorno caldo, lo era andato a prendere agli allenamenti di rugby ed era stato seduto sugli spalti a vederlo giocare l'ultima partitella.

Simone era una bestia, si muoveva in campo di corsa, andando di fisico contro gli avversari e flettendo le gambe ogni volta che si doveva smarcare.
Manuel vedeva i suoi polpacci che si contraevano, le sue cosce che spingevano dentro i pantaloncini e, guardando più su, le braccia che per lo sforzo lasciavano uscire una ragnatela di vene.

Era agile, veloce e forte, nessuno in quel campo riusciva a marcarlo e, se riusciva, la cosa durava poco, giusto il tempo che Simone capisse dove prenderlo per liberarsi.

Era anche aggraziato, se veniva spinto a terra, cadeva con grazia, senza rotolarsi senza senso come facevano i suoi compagni. Impuntava i piedi nel terreno e, stringendo sempre la palla, lasciava che il corpo dell'avversario lo accompagnasse verso la caduta.

Manuel non riusciva a levargli gli occhi di dosso, non capiva lo sport, ma non era difficile capire che era il più forte in campo. Gli avversari lo temevano e, dall'altra parte, ciò faceva eccitare pericolosamente Manuel.

Finito allenamento Simone entrò negli spogliatoi, era sudato e si era lamentato di non poter prendere la moto in quelle condizioni. Quando uscì aveva i capelli gonfi come un barboncino e la maglia bianca leggermente bagnata e stropicciata, a lasciare intravedere gli addominali al di sotto.

<Andiamo?> gli aveva detto, probabilmente accorgendosi che Manuel si era incantato nel guardarlo.
<So' io che sto a aspettà te, barboncino>.

Si era aspettato che Simone lo mandasse a fanculo, invece aveva sorriso, passandosi una mano tra i capelli ricci.

Poi si era caricato il borsone sulla spalla, seguendo il più grande verso la sua moto. Salirono insieme, con Manuel alla guida.

Il corpo di Simone aderiva perfettamente al suo, assecondandolo nelle curve. Le mani erano intorno alla sua vita, strette per non cadere, ma delicate, per metà sulla sua pelle nuda, scoperta dal vento.

La villa era vuota, tranne per qualche gatto randagio che passeggiava per il giardino, Anita li aveva nutriti una volta e ora tornavano ogni giorno a reclamare i loro pasti.

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