9. Notti africane

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Devo essermi allontanata troppo, stavolta.

É più di un'ora che cammino. Ho seguito le impronte lasciate nel fango da una leonessa e dal suo cucciolo dopo il temporale di questo pomeriggio e ora non vedo intorno a me punti di riferimento che riconosco. Dirigo la torcia in varie direzioni, ma la savana mi circonda, intervallata ogni tanto da qualche cespuglio e punteggiata qua e là da gigantesche acacie. Il buio della notte è rischiarato da una luna alta nel cielo e luminosissima. Attorno a lei, miriadi di stelle impreziosiscono la scura volta celeste. Mi sdraio su una duna ai piedi di un grande albero e fisso il cielo notturno sopra di me: eccola là Alfa Centauri, più splendente che mai.

Il silenzio della natura che dorme fa un rumore assordante. Quella delle notti africane è una pace apparente perché la vita nella savana si svolge a pieno ritmo: i gradi predatori sono a caccia, nascosti e invisibili, ma sempre all'erta. E le creature del micromondo, come gli insetti e i rettili, hanno una vita notturna frenetica. Io rimango distesa sotto un cielo magnifico e, respirando a pieni polmoni la fresca brezza delle notti africane, cerco di lasciare da parte i mille pensieri che mi affollano la mente in questi giorni. Ma come formichine in file ordinate, le mie riflessioni entrano nella mia testa e lì rimangono, assillanti e infestanti.

Il pensiero dominante è Samuel: è arrivato nella mia vita come un temporale e ha spazzato via ogni mia certezza con un diluvio di dubbi e violente scariche elettriche di emozioni.  Lui mi attrae come un magnete e mi fa dubitare di ogni singolo percorso che ho intrapreso fin qui.

Poi la voglia di sapere qualcosa in più sul mio passato e sulle mie origini mi divora ogni giorno di più: è come se una goccia d'acqua cadesse ogni secondo sullo stesso punto, logorando la superficie in modo lento ma inesorabile. Ecco, io mi sento così: consumata dal bisogno di sapere la verità sulle mie origini.

La chiacchierata di stamattina con Samuel mi ha permesso di spiegare le ragioni dei miei comportamenti e, da un lato, mi ha alleggerito un po' dai sensi di colpa verso di lui.

Ma l'espressione del suo viso mentre andava via mi ha raggelato il sangue nelle vene: nasconde qualcosa, è evidente: ma cosa? Forse ha un passato disagiato, una famiglia disfunzionale, una malattia degenerativa? Non lo so, ma non credo, da quel poco che conosco di lui.

Un lamento sordo e intermittente cattura di colpo la mia attenzione. Mi giro verso la fonte del rumore e noto, poco oltre l'acacia, un groviglio scuro che si contorce su sé stesso.

Mi avvicino.

Un piccolo suricato grigio, striato di marrone sul dorso, emette gridolini di dolore e si dimena sfregando la schiena sul terreno. Guardo meglio: un serpente è avvolto intorno al suo corpicino e si sta attorcigliando lungo il suo collo: il musetto corto e appuntito si allunga in cerca di salvezza. Afferro un bastoncino che trovo poco più in là e, con delicatezza, faccio srotolare il rettile tenendolo per la testa. É un bellissimo esemplare di serpente talpa nella varietà gialla: per fortuna non è velenoso, ma tende a morsicare le sue prede prima di divorarle vive. Con estrema attenzione e cautela, riesco a svolgere il rettile dal corpicino del piccolo mammifero. Dopo averlo trattenuto qualche secondo tra le mie mani per ammirarlo in tutto il suo fascino, lo distendo sul terreno e lui se ne va, strisciando con un moto ondulatorio lento e dalla caratteristica traiettoria a esse.

Mi occupo immediatamente del suricato. É molto provato e dolorante e i suoi tentativi di sollevarsi sulle zampe posteriori falliscono miseramente. Lo prendo tra le mani con prudenza e lo esamino: una zampina è ferita e sanguinante, il pelo bianco evidenzia un profondo morso e tracce di sangue. Decido di portarlo a casa con me per curarlo con le mie piante medicinali. Lo avvolgo in un lembo della mia sottoveste di cotone azzurro e mi metto in cammino.

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