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Lee

<< Che fai nella vita? >> Chiedo mentre sorseggio un frullato alla fragola.

Caius mi guarda e mi sorride, mentre anche lui prende a succhiare dalla sua cannuccia il suo frullato al limone.

Vederlo mangiare è strano, sentire il calore della sua pelle è surreale.

<< Vuoi provare ad indovinare? >> Risponde.

Alzo le sopracciglia, mentre lo vedo farsi rigirare la cannuccia fra le labbra.

Lo osservo proprio mentre l'ennesimo raggio di sole ci piomba addosso, e mentre spero che la sua pelle prenda a brillare, lei non lo fa...

<< Non sei un giudice, vero? >> Domando.

Lui strabuzza gli occhi, come se avessi detto la cosa più assurda del mondo.

<< Santo cielo, no. >> Sorride. << Non spetta a me decretare il destino altrui. Solo Dio ci può giudicare. >>

Voglio piangere, piangere e vomitare fino a domani.

<< Quindi cosa sei? >> Adesso sono spazientita, perché ogni volta che apre la bocca i miei castelli di carta si frantumano in mille pezzettini.

Le mie illusioni mi cadono addosso, e mi fanno un male bestiale.

<< Sono un medico. Aiuto le persone a stare meglio. >> Asserisce.

Vi prego, ditemi che è tutto un cazzo di scherzo osceno.

A Caius non importa niente del benessere delle persone.
E questa persona qui davanti a me non so chi sia. Ma so per certo che non è il mio Caius.

<< E tu invece che fai nella vita? >> Mi domanda lui.

Non so cosa rispondere, perché non so in questa vita io che cosa faccia, di cosa mi occupo, se ho una famiglia oppure no.
Prendo una scossa dalla mia coscienza.

Già, cosa faccio in questa vita?

<< A dire il vero sto ancora cercando di capirlo... >> Sussurro fiera di me stessa per aver trovato una risposta ad effetto che descriva esattamente ciò che accadde senza però farlo capire a lui.

Caius non si scompone, anzi resta calmo.

Cade un silenzio a dir poco imbarazzante, io guardo ovunque fuorché dalla sua direzione, mentre lui continua a fissarmi con quello sguardo da ebete.

<< Leviamo le tende! >> Annuncia facendomi sobbalzare per lo scatto improvviso che ha avuto.

Si alza facendo stridere la sedia sul pavimento in finto parquet del locale.
Lascia qualche banconota sul tavolo e mi prende la mano.

Stringe la mia mano ma io non stringo la sua perché quella pelle è troppo calda per lui.
È troppo rosea.
È troppo umana.

Mi costringe ad alzarmi, e mi trascina fuori dal locale.

<< Dove vuoi andare? >> Gli chiedo quasi intimorita da questo sconosciuto.

Sotto Tormento 2Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora