Sotto il dolce abbraccio del radioso sole, Camilla appariva di una grazia impossibile da emulare, tanto unica da stupire Tasso, i cui occhi rimasero catturati da quella sua figura pittoresca, trascinata da una glaciale solitudine, la cui bellezza rimaneva eterea.
Ella non si scompose nemmeno una volta abbandonata la struttura, rimase rigida nei movimenti, priva di emozioni, la cui presenza continuava a rimanere impercettibile.
-Vieni, ti accompagno al dormitorio. - Persino il tono della sua voce era privo di vita. Si accese una sigaretta, la tenne tra l'indice e il medio, le sue dita erano sottili e lunghe, le unghie curate, dipinte di un color pastello, in ordinaria concordanza con la sua figura.
Com'era particolare quella Camilla: vestiva freddezza, pragmaticità, un'adulta nel corpo di una giovane, così a suo agio in quella pelle da essere in grado di risplendere tra le note dell'ordinario. Chissà da cosa è costernato il suo passato, chissà cosa l'ha portata a essere così. Chissà.
Non era amante delle conversazioni, un dettaglio che Tasso apprezzò di buon cuore. Rimase in silenzio per gran parte del percorso, percorrendo il viale universitario al fianco del giovane, indicando man mano le varie strutture e facendo una breve descrizione didascalica di esse.
Era una splendida giornata per passeggiare, tuttavia la vitamina D non riuscì a sollevare il malessere di Tasso. La stanchezza del volo, l'emicrania che si portava appresso, mista al senso di spaesamento dovuto agli effetti dell'alprazolam, rendeva difficoltoso il semplice camminare. Capitò più volte che il fisico di Tasso si sfinisse, obbligandolo un paio di volte a sostare ai margini del sentiero a causa di una leggera alterazione cardiaca. In un primo momento quelle piccole pause erano necessarie a placare i battiti, permettendogli di continuare la camminata tra i graziosi edifici accademici in pietra color miele, il cui occhio si incantava di fronte alla maestosità. Ma ben presto la sua situazione peggiorò, la tachicardia lo raggiunse, obbligandolo a sedersi su una delle panchine al lato del sentiero.
Con le gomiti appoggiati alle ginocchia, il capo rivolto in alto, nei meandri del più chiaro dei cieli, Tasso ispirava ed espirava, imponendosi un ritmo bilanciato, assai faticoso da catturare. Aveva esagerato, il fisico non reggeva più.
Camilla rimase al suo fianco, seduta sulla medesima panchina, lo sguardo rivolto ora a lui ora in chissà quale direzione. Nulla in lei era mutato, i suoi occhi verdi rimasero vitrei, uno schermo nero, capace di non permettere ad alcuna briciola di emozione di trasparire.
- Stai meglio? – domandò ella dopo un po'.
Per un breve istante Tasso ebbe il terrore di rivolgerle lo sguardo e trovarla irritata. Annuì in sua risposta, sollevato di non ritrovare in lei nulla di quanto temeva.
- Perdonami. Possiamo andare, sto meglio – disse il ragazzo con una voce ancora assente, togliendosi gli occhiali per pulirli con la propria maglietta.
La giovane rimase per un istante in silenzio, fissando il volto di Tasso con intensità, accertandosi nei propri modi che fosse tutto risolto. Il respiro del giovane, lento e pesante, indicava evidentemente una difficoltà respiratoria, per niente adatta al tragitto ancora lungo, necessario per raggiungere i dormitori.
Appoggiò i gomiti sulle proprie ginocchia e il volto tra le sua mani, mantenendo il contatto con quel volto tanto giovane nonostante un'età molto simile. Lo guardò dritto negli occhi, scorgendo delle pupille dilatate, per niente consone al sole stordente di quella giornata. Era evidente che necessitasse di riposo.
- Restiamo un altro po' qua, va bene? – domandò lei con un tono differente, tanto poco mutato da portare Tasso a domandare se effettivamente aveva udito nella maniera corretta.
Quest'ultimo annui, - grazie – aggiunse, ponendo gli occhiali sul volto, sorridendo a Camilla, seppur un sorriso sbieco, ma non per quello meno carico di riconoscimento.
Quel momento di pausa gli permise di guardarsi attorno, di divenire parte di quell'ambiente accademico; un paesaggio vasto e di una bellezza tanto grande che ovunque l'occhio si fosse posato, si sarebbe lasciato catturare da una meraviglia differente. Tornò a guardare gli edifici di pietra nei quali si era imbattuto durante la camminata; erano ornati da guglie intricati, intagli ornamentali e finestre in vetro piombato. Simmetria e capolavoro architettonico erano le chiavi per riuscire a descrivere al minimo quello che l'occhio ammirava.
Il verde dei giardini curati invitavano a immergersi in quello che pareva esser scappato dalla più grande opera pittoresca. Di sottofondo differenti lingue si amalgamavano, persone di paesi diversi erano riunite in un unico ambiente.
L'occhio di Tasso si soffermava su ogni dettaglio dell'ambiente verdeggiante che lo avvolgeva, assorbendo i volti che li passavano davanti mentre frammenti di conversazioni giungevano alle sue orecchie. La calma che percepiva in quel momento lo sollevava. Smise di pensare ai propri dolori, lasciò che gli occhi viaggiassero nel panorama accademico. Fu per una serie di eventi casuali che arrivò a portare la sua attenzione su una figura seduta su una panchina a lui poco distante. Era una giovane studentessa dall'aria svogliata, la cui postura tradiva una pazienza che iniziava a logorarsi. Lunghi capelli scuri e lisci le incorniciavano il viso ovale, corrucciato in un'espressione di forse fastidio. Tra le mani stringeva un libro chiuso, il cui segnalibro sporgeva abbondantemente oltre la metà. Tasso restrinse l'attenzione per decifrare il titolo: N. Hawthorne, La lettera scarlatta. Era un libro che si era ripromesso di leggere, ma che per questioni di tempistiche non era mai riuscito. L'occhio volle tornare a posarsi sul suo viso una seconda volta, ignorando quella parte razionale che gli intimava di spostare di andare altrove, che tornarci sarebbe stato avventato. Guardò ancora quell'estranea, e ora, lei guardava lui. Consapevole che quel gesto poteva risultare sgradevole, spostò la sua attenzione altrove.
Si sentiva morto, consumato dalla stanchezza, desideroso di lasciarsi cadere lì, su quella panchina, sotto quel vivido sole. La sua mente rallentava, i pensieri all'interno di essa, da caotici, iniziavano a spegnersi, a sparire, tornava quel silenzio che collocava alla notte. Il corpo diveniva pesante, persino la propria testa pareva non appartenergli. Era meglio arriva al più presto nel dormitorio.
- Possiamo andare, - disse quasi mangiandosi le parole, desideroso di sparire da quella situazione quanto prima.
Camilla, che fino ad allora era stata al cellulare, fumando una seconda sigaretta, annuì, alzandosi e continuando verso la zona est del campus, dove i dormitori si trovavano.
- Emma mi ha dato il tuo numero, ti scrivo quando sono qui fuori domani. Io farei per le 9:00, così hai tempo per dormire. La tua stanza è al piano terra, non ti puoi perdere. Questa è la chiave. Hai qualche domanda? - chiese quando arrivarono di fronte all'edificio.
Tasso scosse la testa. – Nel caso mi venissero in mente, te le comunicò domani mattina. Grazie per la tua disponibilità. –
Accennò un sorriso, prendendo per buona quell'occasione per salutarla e sparire.
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My Dear Melancholy,
General FictionNiccolò Tasso, per sfuggire alla propria malattia, decide di iniziare l'università in America, venendo accettato alla Duke. Disinteressato a vivere la sua vita, si lascia trasportare dagli eventi, finendo con stringere forti legami d'amicizia, ma an...