Il desiderio di essere bravi

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Nonostante le ore abnormi di sonno, la stanchezza rimaneva, le energie mancavano e un forte sentimento di ansia continuava a scuotersi nel petto. Quello era il vero primo giorno da solo nell'altra parte del mondo. Non aveva aspettative, non trovava il senso logico nel farsi piani immaginari, nutrire la propria mente di illusioni insensate, forse persino stupide. Triste, così molti giudicavano il suo modo di pensare. Tristezza aveva connotati differenti per ognuno, e per Tasso la tristezza era la sola certezza. Si nutriva di essa con la stessa voracità con cui essa lo uccideva. Che senso aveva sperare in qualcosa di surreale, eccitarsi per qualcosa di futile come la vita in un altro paese? Essere a casa o essere tra gli stranieri nulla mutava veramente, doveva studiare, rimanere concentrato sui suoi obiettivi, tutto quello che era differente appariva indifferente.


Nulla di simile a emozione o qualcosa denominabile come felicità sembrava poterlo pervadere. Perché gli mancava quella sincera curiosità dell'ignoto, quella voracità di vita, quello che gli altri sembravano essere capaci di avere?

Si sentiva sbagliato.

Si era nuovamente perso nei propri pensieri, dimenticandosi di svolgere l'unico compito necessario sotto la doccia: lavarsi.

Al suo ritorno trovò Camilla intenta a fumare appoggiata alla finestra.

Molto dolce il tuo compagno di stanza. Siediti, ti ho portato un'insalata di riso e dell'acqua. - Non si era volta, rimaneva a dargli le spalle per evitare che portasse il fumo in stanza.

- Grazie, - disse Tasso sedendosi alla sua scrivania, iniziando a mangiare.

Per minuti all'interno di quella stanza i soli rumori che si percepivano erano quelli provenienti da fuori, studenti impegnati a vivere la giornata. Camilla non si voltò mai, finita una sigaretta ne accese un'altra, e per un momento Tasso si chiese cosa le passasse per la testa, cosa la portava a essere così com'era, curiosamente differente.

Avrebbe di certo fatto piacere a Camilla sapere di essere vista in maniera tanto positiva. Persino una persona fredda come lei non riusciva a non cedere di fronte alla dolce sincerità di alcuni animi. Gli faceva bene quel distacco dall'ordinario, quella sviata dai piani prestabiliti. Si accese la terza sigaretta, tra le sue dita ella tremava.

" - Camilla, come farai quando il corpo crollerà? -"

Nella sua testa udiva costantemente questa frase, e maggiormente tentava di eliminare, con più frequenza questa appariva. Era tanto fastidiosa quanto lo era lui; quanto era la sua incapacità di raggiungerlo. Chiuse gli occhi, tappandosi la mente dal frugare nei ricordi dove egli era proiettato. Come si poteva cancellare qualcosa di onnipresente?

Fece un respiro pesante. - Dopo andiamo a studiare? Te la senti? - chiese a Tasso.

Quest'ultimo rispose subito. - Certo, quando vuoi. -

Si ritrassero in una stanza appartata al primo piano della biblioteca, al cui interno giaceva un tavolo lungo, poche sedie, e pile, scaffali interi, da terra fino al soffitto, di libri privi di nomi, la cui copertina, di un marrone antiquato, non permetteva una chiara comprensione di che cosa trattassero.

La padronanza linguistica di Camilla era incantevole per quanto maestosa, capace di esprimere concetti da loro distanti, collegati dal più effimero concetto, resi fluidi da una conoscenza al di fuori dall'ordinario. Iniziò a trattare del latino, ponendo in difficoltà Tasso con domande di una grammatica non del tutto spolverata. Si sentì stupido di fronte al divario che tra i due si era creato in nemmeno pochi minuti. Concreto divenne la differenza tra lui e quello che, nella sua testa, erano gli studenti medi di quell'università tanto conosciuta. Un senso di mediocrità lo soffocò all'istante. Non ebbe il tempo per lasciarsi divorare da alcun sentimento, Camilla richiedeva la sua più totale attenzione, da lui chiedeva perfezione, la stessa che lei padroneggiava. Non si era mai permessa di dubitare delle sue capacità, nemmeno quando gli errori susseguivano gli uni dopo gli altri. Per lei Tasso era capace, ma limitato da lui stesso.

- Non essere stupido, dimmi come si costruisce il congiuntivo perfetto attivo. –

Tasso ebbe seri problemi a ricordare quella precisa formula grammaticale. Restò in silenzio, gli occhi fissi sulla matita tra le sue dita, sfogliando tra le memorie qualcosa di quanto più sensato possibile. Desiderò seriamente che Camilla gli venisse incontro, che gli desse una qualche briciola di nozione, ma così non fu: lei restava nel suo stesso silenzio, impassibile .

- Tema del perfectum + suffisso ĕri... - sbiascicò Tasso sicuro di star dando aria alla bocca come un'idiota.

- + desinenze dell'infectum attivo. Però sì, hai ragione. Quindi qui non abbiamo nessun congiuntivo perfetto attivo. Rifammi questa frase: Gaudium non nascitur nisi ex virtutum conscientia: non potest gaudere nisi fortis, nisi iustus, nisi temperans. -

Gli errori si susseguivano uno dopo l'altro, mettevano sul tavolo il concetto concreto di quanto Tasso non fosse abbastanza, limitato da una mente stupida, limitata all'ordinario, resa debole da una malattia che Tasso non teneva in conto; sciocco rimaneva nel non comprendere che i propri limiti non risiedevano in lui come soggetto, ma come conseguenza di fattori lontani nel tempo, accumulati e ignorati. Riusciva a rispondere, ma gli serviva più tempo, aveva bisogno del suo ritmo, perché appresso portava più peso rispetto ad altri, e compararsi con un'ideologia errata che si era fatto lo portava a un crollo mentale. Si dovette interrompere, ormai la testa iniziava a fargli troppo male per riuscire anche solamente a leggere. Era arrivato al limite, e questo lo innervosiva interiormente. Si appoggiò allo schienale della sedia, la testa a fissare il soffitto, nella mente un cumulo di emozioni negati, nell'animo un desiderio profondo di sparire. Continuava a echeggiare nel sottosuolo della propria testa un pensiero fisso, una voce del suo inconscio, l'estensione di una malattia, che spingeva per essere ascoltata.

- Non ti demoralizzare, è normale, - disse Camilla, visualizzando lo sconforto del ragazzo.

Non percepiva alcun sostegno da quelle parole. – Sì, immagino che tu abbia ragione. –

Lo studio riprese, così come ripresero gli errori. Faticava a memorizzare, a esprimersi, seppur fosse a conoscenza dei concetti, e nella sua testa vi fossero collegamenti logici, falliva nell'esprimerli. Si Innervosiva, perché comprendeva lui stesso i suoi errori ancora prima che Camilla glieli riferisse. Eppure commetteva sempre un passo falso, indipendentemente quante volte lo ripetesse; c'era sempre qualcosa che non andava, qualcosa da sistemare.

Fecero una pausa, più per insistenza di Camilla che per desiderio di Tasso.

- Stai bene? – domandò Camilla.

Tasso annuì.

Non vi furono discussioni, o meglio, niente di personale, tutto quello di cui parlavano ruotava intorno allo studio. Camilla era intelligente, capace di affrontare qualsiasi tipo di discorso, risultando, e questo Tasso non riuscì a comprenderlo, macchinoso. Il modo di parlare di Camilla non risuonava spontaneo, pensato sul momento, ma piuttosto come se leggesse, o meglio, ripetesse a memoria concetti incanalati nel tempo ma ancora nitidi.

Lo studio riprese.

Il telefono di Camilla, posato sul tavolo in modalità silenziosa, continuava ad accendersi per le notifiche dei messaggi a cui lei sembrava totalmente indifferente. Tasso, sempre attento a ciò che lo circondava, non riusciva a evitare di distrarsi ogni volta che lo schermo si illuminava. Lo trovava estremamente fastidioso, ma non aveva abbastanza confidenza con Camilla per chiederle di fare qualcosa al riguardo senza risultare, a detta sua, maleducato. Tornò ai suoi esercizi, scrisse una parola e nel finirla la sbagliò, distratto dal cellulare. Fece un respiro profondo. Doveva trovare il modo giusto per chiedere alla sua tutor di fare qualcosa al riguardo, non certo di rispondere ai messaggi, ma almeno di togliere il telefono dal tavolo. Rifletté, cercando di concentrarsi di nuovo sull'esercizio. Poco dopo, Camilla si alzò, comunicandogli di star andando in bagno. Fu in quel momento che Tasso, assicurandosi che fosse completamente fuori dalla visuale, prese il cellulare e lo girò a faccia in giù, riprendendo così i suoi esercizi.

Passarono vari minuti, ma di Camilla nessuna traccia. Forse la fila era lunga o forse si era fermata a chiacchierare. Solo dopo altri minuti si sentì la porta aprirsi. Camilla rientrò, ma in compagnia di un terzo. Lei aveva l'aria scocciata, le braccia al petto, rigide, quasi a sottolineare un certo distacco da quel ragazzo dall'aria totalmente opposta; egli sfoggiava un sorriso decoroso, ai confine tra l'educato e il beffardo, uno di quei sorrisi che potevano provocare emozioni contrastanti. Tasso lo guardò, ma lui non fece altrettanto: la sua più totale attenzione era rivolta a Camilla. 

My Dear Melancholy,Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora