Damian

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 -Tasso, perdona l'intrusione, devo dare una cosa a questo qui, - disse Camilla con calma, prendendo dalla sua borsa un portafogli nero maschile, che lanciò al ragazzo. - Vai ora, dovresti essere a lezione. -

Quel ragazzo era alto e tanto magro da risultare spigoloso, pallido, con dei capelli ordinati con noncuranza, neri e occhi azzurri. Indossava abiti stropicciati, di ottimo materiale, eleganti, tutti di una colorazione chiara. Sotto ai baffi sottili continuava a portare quel suo sorriso.

- Sempre amorevole. Vieni, fatti abbracciare, sei la mia salvatrice. - Era teatrale nei movimenti, ma composti e delineati da un'eleganza copia di quella che mostrava Camilla, solamente che su di lui tutto appariva più genuino.

Tasso li guardò battibeccare con tenerezza e contenimento, e vide sempre più marcatamente una grandissima somiglianza, tanto da spingerlo a pensare che fossero fratelli. Entrambi avevano i capelli neri, lisci, una carnagione chiara, una forte magrezza ed entrambi emanavano un'aura di fascino nelle più semplici delle movenze. Entrambi catturavano l'occhio con il semplice essere presenti, non si trattava di bellezza nella più oggettiva delle denominazioni, ma qualcosa di più, qualcosa a cui Tasso non riusciva a trovare parola.

Chi era quel ragazzo e come poteva essere tanto simile a Camilla? Era certo difficile incontrare una figura come quella di lei, due era certamente impossibile. Tasso la trovò una situazione bizzarra, ma per qualcuno non abituato a uscire, tutto poteva trovare inusuale. Doveva trattarsi di suo fratello, e con questo pensiero, tornò ai fatti suoi.

- Damian, - la voce di Camilla era forte. - torna qui, lascialo stare. -

Tasso, consapevole di essere fissato, alzò il viso, incontrandosi a pochi centimetri con quello del ragazzo. Entrambi rimasero fermi a fissarsi. Sembrava quasi che quel Damian cercasse una reazione, e fu sorpreso dal non riceverla. Aprì la bocca, comunicandogli qualcosa di estremamente inusuale: - hai gli occhi di una persona morta. -

- Damian, smettila di fare l'idiota. - Camilla lo tirò per la camicia, facendolo arretrare.

- Non fai le presentazioni? - domandò lui con un accento fortemente britannico.

Camilla alzò gli occhi al cielo, assecondandolo. - Damian lui è Niccolò Tasso, Niccolò questo è Damian Watson. Ora vai via, stiamo studiando. -

Damian annuì convinto, e con fare obbediente si diresse alla porta. Prima di uscire baciò la fronte di Camilla.

La ragazza riprese a sedere. -Scusami, certe volte è veramente fastidioso. -

In quel momento a Tasso sorse un dubbio: doveva forse restare in silenzio e risultare per certi versi maleducato oppure toccare le sue corde socievoli e dire qualcosa di gentile giusto per evitare eventuali malintesi.

- Un tipo simpatico - fu l'unica cosa che gli venne in mente, abbastanza bilanciata per non risultare invadente o scortese, nonostante non lo trovasse per niente simpatico.

Camilla, china sul libro che stava leggendo, accennò di poco un sorriso, quasi riuscisse a capire che quella di Tasso non era sincerità. - Gli hanno attribuito tanti aggettivi, ma mai simpatico. -

Come doveva rispondere Tasso a quella affermazione? Era vero, lo trovava particolare, tuttavia non lo conosceva abbastanza e di conseguenza non si sentì autorizzato a giudicare la sua presenza. Si pulì gli occhiali, e non trovando niente da dire, tornò a svolgere i suoi esercizi.

I due si separarono all'orario di chiusura della biblioteca, presero sentieri differenti, ma prima di lasciarlo, Camilla gli fece capire dove doveva recarsi l'indomani per la lezione di storia romana. Gli fu facile trovare il dormitorio, a discapito della grandezza del campus, tutto era segnalato nella maniera corretta. Si isolò con le proprie cuffie, camminando a testa bassa al margine più estremo della strada così da evitare di imbattersi in qualcuno che veniva dalla parte opposta.

In camera non c'era ancora nessuno. Approfittò del tempo e della solitudine per sistemare le proprie cose e poche com'erano non ci volle più di mezza oretta. La sua parte era spoglia se confrontata con quella di Isaiah, che seppur sottosopra, portava l'impronta del proprio proprietario. Sul comodino egli teneva una foto di sé stesso da bimbo in compagnia di un uomo che aveva l'aria del padre, teneva in mano una piccola coppa a forma di pallone da basket, al collo una medaglia, e sembrava veramente felice. Si trovò a guardarla con un certo interesse; sin da piccolo sembrava sapere cosa voleva fare della propria vita, sia esso semplicemente praticare uno sport. Sul suo letto giacevano vestiti sportivi, bottiglie di gatorade quasi svuotate, libri e persino un pallone, aveva ammassato tutto sul proprio letto.

Tasso tornò nella sua parte, si sedette alla scrivania e con il cellulare in mano scrisse un messaggio a suo padre. Non aveva risposto a nessuna delle sue due chiamate, quel messaggio faceva capire che aveva dormito, che lo avrebbe chiamato quando il fuso orario permetteva. Oltre a lui, non c'era nessun altro da contattare.

Si cambiò in abiti più comodi, si lavò la faccia e i denti, e senza cenare assunse le dieci gocce di alprazolam. Aspettò nel letto affinché prendesse sonno. Non aveva un vero interesse nell'uscire, esplorare i dintorni, viversi quella vita universitaria. Preferì rimanere in stanza a osservare il soffitto bianco con nient'altro da fare. 

My Dear Melancholy,Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora