Rice Cake

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Inspira, espira. Sorridi. La tua testa non è leggera, non vaga per le sale per conto suo. Non stai fluttuando, né volando sopra una spada. Le persone parlano la tua stessa lingua, e tu riesci a comprenderle. Passare in rassegna le dita sul pollice non ti aiuterà, non ti servirà a molto.
Lan XiChen sembrava una bambola di iuta. Quando i suoi occhi sbarrati incontravano quelli dei presenti, familiari, conoscenti o amici che fossero, non desideravano che scappare e trattenere le lacrime. Si era fortemente pentito di aver acconsentito a quella manfrina.

La mattinata era già iniziata male. 
Si era svegliato con il mal di testa; tutti gli stavano rivolgendo parola e lui non voleva assolutamente sentire volare una mosca. Si era lavato e vestito a fatica, poi si era recato nella sala grande per fare colazione con suo zio, suo fratello e Wei WuXian. La gioviale aura di suo cognato era davvero strana in quei momenti. Era quasi... necessaria. WangJi e suo zio non aprivano bocca durante i pasti, e se non fosse stato per l'incessante rumore proveniente dalla bocca del marito di suo fratello, gli sarebbe venuta voglia di battere la testa contro una delle colonne fino a rompersela. Era tutto finito, grazie al cielo, senza incidenti. Era tornato al JingShi per cambiarsi. Lì sì che c'era la pace che tanto agognava. Lì poteva stare tranquillo e crogiolarsi tranquillamente nei suoi sprazzi di depressione fino che la situazione non fosse migliorata. E la situazione non sarebbe migliorata a breve quella mattina. Si gettò di pancia sul letto, togliendosi il nastro frontale. Non si poteva controllare in quei momenti e non poteva disobbedire alle regole che la sua famiglia gli imponeva. Perché la vita gli stava dedicando cotante torture? C'erano momenti in cui l'avrebbe fatto a pezzi quel lembo di stoffa ricamato che gli cingeva la testa. 
Aguzzò le orecchie. Rumore di passi. La porta scorrevole dell'ingresso si aprì come una furia.

Nei Meandri delle Nuvole è proibito correre.

Non era uno dei Lan. Passo troppo pesante e leggero allo stesso tempo. Era quasi come se avesse dovuto celarsi a chiunque ci fosse nel raggio di metri, ma fosse troppo distratto per farlo adeguatamente. Si alzò dal letto lentamente, trattenendo il respiro. Si affacciò a vedere chi fosse. Non si sarebbe aspettato nessuno in particolare, non si era preparato nessun tipo di rimprovero infatti. Rimase di sasso però quando vide Jiang WanYin, spalle al muro e ansimante.
Stava per andare a prendere il nastro frontale che aveva lasciato in disparte. Lo stava davvero per fare. Però Sandu Shengshou si era accasciato a terra. E si era aperto le vesti inferiori. 

'No, non è appropriato, devo fermarlo. Quantomeno, non devo guardare.'

Nel giro di dieci minuti, Lan XiChen capì due cose: che Jiang WanYin pensava di essere solo in quell'abitazione, che non riusciva a staccargli gli occhi di dosso e che lui, oltre ad essere un grosso ipocrita, aveva appena infranto più di dieci regole del suo Clan. Forse erano più di un paio di cose, ma di una cosa era certo. Non doveva, anzi, non poteva fiatare. Conoscendo Jiang Cheng, si sarebbe tolto la vita piuttosto che ammettere una cosa così disdicevolmente imbarazzante.  Gli bruciava il viso. Ardeva dentro. Vedere quanto scomposto fosse l'altro uomo nella stanza con lui, gli faceva solo venire in mente una cosa, qualcuno al mondo era solo come lui se non addirittura più di lui. Era frastornato, una miriade di domande gli annebbiava il cervello. Si lavò rapidamente quando Jiang WanYin lasciò le sue stanze. Indossò i suoi abiti migliori e si sistemò i capelli. Doveva sembrare fresco come una rosa, quella mattina non era successo niente per lui. Era stata noiosa, monotona, statica. Come tutte le altre. Doveva riuscire a mantenere quella facciata davanti a tutti, o sarebbe finito tutto. Doveva levarsi quel sorriso sbigottito dalla faccia. Doveva...

Batteva la pianta del piede a terra, aspettando che Jin Ling gli desse una spiegazione quantomeno sensata del "perché" gli avesse nascosto la propria relazione con il "figlio" di PiovraXian. La domanda che doveva porre prima forse, era perché l'avesse intrapresa. Il ragazzo non aveva smesso di fissarsi la punta delle scarpe, quasi aspettasse che la risposta gli apparisse magicamente lì sopra. 

«Porca troia, A'Ling.» imprecò pizzicandosi con forza il ponte del naso.
Jin Ling sollevò lo sguardo di un paio di centimetri.
«Cosa devo dirti, zio? Mi piace Lan SiZhui.»
Jiang Cheng sentì il cuore mancargli un battito per ogni vocale pronunciata in quella frase, Jin Ling fece un momento di pausa (forse solo per assicurarsi che suo zio fosse vivo prima di continuare).
«E mi rende molto felice.» aggiunse.  Gli si pose davanti, piedi pari e puntati saldamente a terra, il capo leggermente chino.
Jiang Cheng sospirò «Il fatto è... che non capisco.»
«Io gli voglio bene, e lui mi vuole bene, cosa c'è da capire?»
Poi, quasi come se l'uomo più anziano avesse esternato i propri pensieri ad alta voce, Jin Ling impallidì.
«E no, JiuJiu, non è colpa di nessuno se amo un uomo. Wei WuXian non c'entra assolutamente nulla.»
Era comunque una domanda che gli avrebbe fatto. Suo fratello sarebbe stato contentissimo di saperlo- oh, no... povere anime!
«Se vi volete bene, allora non ho da obiettare.»
Finse di non sentire il sospiro di sollievo che si sentì da fuori la stanza.
«Ti consiglio solo vivamente di non lasciare troppo intuire la questione a qualcuno, che potrebbe esserne troppo contento, e soprattutto...» sedette, prendendo in mano una tazza vuota. «Nel caso in cui dovessi tu stesso malauguratamente lamentare di maltrattamenti, o dovessi venirli a sapere io per terze vie, non mi tratterrò dall'eseguire un massacro. Intesi, fig- A'Ling?»

Jin Ling si sentì la gioia fermentare dalle viscere e salirgli al cervello. Urlò, poi saltò da dov'era e gli gettò le braccia al collo, salendogli in braccio. Jiang WanYin stava sorridendo. Ed era un bene che né Jin Ling, né altri potessero vederlo. Sarebbe caduto il mito della sua faccia di bronzo. Gli batté la mano sulla schiena un paio di volte, prima di congedarlo con un "Quanti anni hai A'Ling? Se dovessero vederti gli altri residenti di JinLinTai, cosa direbbero?"
Il ragazzo rise, per poi scappare fuori. Il capo clan Jiang si alzò da dov'era, guardò il banchetto imbandito. Si soffermò sulle torte di riso avvolte in foglia di bambù; ne osservò il colorito avorio, la consistenza e la saturazione. 

«Vi piacciono le torte di riso, Capo Clan Jiang?»
Jiang Cheng sollevò lo sguardo. Lan XiChen aveva un dolce di riso in mano, lo osservava cautamente, quasi dovesse ucciderlo.
«Non mi dispiacciono.»
Silenzio.
«Io personalmente le trovo curiose. Il sapore non è sgradevole, ma la consistenza è... particolarmente curiosa.»
'Sembra un bambino' decise Jiang Cheng, quasi sorridendo.
«Se non vi piace non dovete mangiarla per forza.»
«Non è che non mi piaccia,» sorrise «è solo molto curiosa.»
Gliela porse, la mano tremava. Jiang Cheng la prese delicatamente tra le dita e se la portò alla bocca, nascondendosi la parte inferiore del viso con la mano libera.
«Grazie per... questa mattina.» mormorò Lan XiChen.
Era comune soffocare con le torte di riso glutinoso. Però Jiang Cheng sperava in una morte dignitosa, ecco tutto. Inspirò bruscamente dal naso, prima di ingoiare intero il pezzetto che aveva in bocca.
«Come, prego?»
«Per... avermi riportato indietro, intendo. Vi ringrazio.»
Perché si stava allarmando? Era da solo in quel posto, era impossibile che anima viva lo avesse visto. Sì, aveva frainteso alla grande, si stava comportando in maniera sospetta.
«Non c'è di che. Vostro zio sarebbe passato a miglior vita se non vi avessi trovato.»
Lan XiChen rise.
Non c'era niente da ridere. Sarà stato il tono sarcastico di Jiang Cheng, la sua alzata di sguardo o il suo sbuffo a fine frase, ma lo aveva trovato, in qualche modo, esilarante.
E Jiang Cheng in quel momento, lo stava guardando come se gli avesse appena fatto vedere un dipinto di Lan QiRen in abiti intimi. 

Lan XiChen schizzò fuori dalla stanza con orecchie e guance in fiamme sotto gli sguardi sconcertati dei presenti.
«Sto impazzendo.»
Si poggiò alla staccionata, prese una boccata d'aria e si inginocchiò. Il contatto con il terreno lo faceva sentire meglio. Perché non poteva semplicemente tornare nelle sue stanze e non uscirne più? Si sentiva terribilmente in imbarazzo, per di più la sua mente non collaborava. Si sentiva un totale imbecille, se ripensava a quanto accaduto. Perché non accendeva il cervello prima di pensare?! Era già in burnout, meltdown o cos'altro fosse quello di cui gli aveva parlato la terapista che aveva assunto suo zio? Aveva voglia di urlare, che figuraccia...




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