JAMIE (parte 2)
Il fatto era che resistere a lei, da quando era tornata, era diventata una sorta di condanna. Una punizione che non meritavo, un inferno a cui non sarei dovuto essere destinato.
La puerile silenziosa guerra tra noi si era complicata, diventando in un certo senso più adulta e sofisticata.
Non avremmo più potuto scontrarci per un libro rubato, o una spinta di troppo, o con innocue manifestazioni di intolleranza reciproca nella routine dei nostri momenti insieme.
Non potevamo più farlo perché eravamo cresciuti.
I nostri dissapori si concretizzavano in modo sottile e calcolato, tra le parole dette si acuiva, attimo dopo attimo, una tensione anomala.
Un bisogno fisico di predominanza, di voglie inespresse.
Io mi ero plasmato su nuovi istinti, su desideri proibiti, ed era estenuante spingere gli impulsi giù, da qualche parte dentro di me, quando le ero accanto. Percepivo la mia resistenza come fosse carburante che sarebbe esploso alla prima inaspettata scintilla.
Mi sentivo frustrato, irrequieto di fronte al potere che lei possedeva e che non sapevo come osteggiare.
Meritavo medaglie d'oro, riconoscimenti eterni e il paradiso stesso, perché nessuno più di me sapeva con quanta paziente dedizione avevo sopportato i suoi capricci, le sue vessazioni.
Erano state costanti, a volte deboli, altre in grado di sferrare ferite mortali e negli anni erano divenute cosi familiari da temprarmi, da forgiarmi.
L'ostinata ribellione di Bride alla mia presenza, il suo bisogno di competere, di dimostrare di essere migliore mi avevano reso perseverante.
Sarebbe crollata prima o poi, mi dicevo.
Si sarebbe arresa, e mi avrebbe riconosciuto, come persona, non come un rivale qualunque.
Mi preparavo a ogni suo ritorno come ci si prepara a una guerra, mi chiedevo quanto fosse cambiata, per quanto tempo ancora mi avrebbe combattuto con tanta tenacia.
Per me, che non avevo niente, la sua attenzione era vitale.
Nutrimento e sofferenza al tempo stesso.
Lei mi vedeva, in modo distorto ma mi riconosceva, era l'unica oltre a Finn con cui potevo relazionarmi in modo profondo, intimo, ed emotivamente letale.
Suscitava senso di rivalsa: accanto a lei, io esistevo.Neanche sapeva di aver posseduto la mia totale lealtà.
Non le avevo mai chiesto niente, non l'avevo costretta ad avvicinarsi, l'avevo accettata così come era, con i suoi rancori e il suo odio, usati come scudi con cui proteggersi da un dolore profondo.
Ero così ingenuo e infantile da essere certo che il nostro fosse un tacito accordo: io sarei rimasto in silenzio, non avrei reagito alle sue provocazioni in alcun modo, in cambio, lei, sarebbe tornata, e lo avrebbe fatto sempre.
Bride era spada, piuma e mia unica certezza.
Bride non mi avrebbe mai abbandonato.
Non sarebbe stata come mio padre, non come mia madre, non come la maggior parte delle persone di Jackson Hole.
Eppure, lo fece.
Mi abbandonò come tutti gli altri. E ruppe un patto che per me sarebbe potuto essere eterno.
Fu in quel momento che decisi di non concederle più nulla.Quei pensieri mi risucchiarono così intimamente da farmi percepire appena la voce di Mad.
«Lo sono, invece.» Allungò la mano e mi sfilò la macchina fotografica automatica che stringevo ancora tra le dita. «Io sono la persona più banale che esista sulla faccia della terra.»
Puntò l'obiettivo e sprofondai ancora più giù, nel buio dei ricordi che custodivo con ferocia.
Mad scattò una foto, il flash mi abbagliò e le mani, distese lungo i fianchi, mi si strinsero meccanicamente in pugni.
«Ma tu no» disse, fissando il riquadro digitale in cui era impresso il mio volto. «Tu sei speciale.»
Furono tre semplici parole, pronunciate con innocua banalità si portarono dietro una scia di dolore.
Il sorriso di Mad si spense quando gli occhi incontrarono il mio sguardo truce.«Jamie...» disse, alzando il braccio lentamente.«Scusami, non volevo...»
Fu come il gesto istintivo che si riserva a un pericoloso animale selvatico, un invito a mantenere la calma, a riprendere il controllo.
Ma era già troppo tardi e Mad lo sapeva, Mad sapeva ogni cosa.
Il gioco stupido che avevo messo in atto di fronte a Nat e Bride si dissolse d'improvviso.
Quella sete di rivalsa, quel grido solitario con cui volevo dimostrare di essere diventato più forte di lei, perse importanza.
E fu così umiliante rendermi conto di essere lì, dentro una casa che reputavo mia, con due delle persone che mi avevano causato così tanta sofferenza da non riuscire a mostrarmi indifferente.
Aggirai il divano a grandi passi, indossai il giaccone e uscii di casa.
La porta sbatté alle mie spalle, il suono secco e sordo si propagò attorno a me.
Mi fermai sui gradini della veranda, alzai gli occhi verso il cielo, i fiocchi di neve risplendevano come stelle nel buio della sera.
Ondeggianti e silenziosi mi riportarono indietro, tra le braccia di un ricordo che rinnegavo con tutta la dignità che avevo.«Tu sei speciale, Jamie» disse Trevor. «Così speciale da essere riuscito a farti amico un lupo» rise. «Ma alla fine meglio di niente, no? Almeno hai qualcuno con cui parlare.»
Erano in quattro, gli stessi quattro ragazzini che si divertivano a prendermi di mira dacché me ne ricordassi. Ma Trevor era il peggiore di tutti, più alto di me di una spanna si mostrava in tutta la sua superiorità.
«È la verità!» urlai, facendomi avanti dall'angolo angusto della strada in cui mi avevano accerchiato.
Pensai che me ne sarei dovuto andare, che Finn mi stava aspettando, che resistere e stare in silenzio sarebbe stata l'opzione migliore.
Ma non ci riuscii.
Stava parlando di Lowe.
«Ah davvero?» Nat diede una lieve spallata a Trevor. «Stai dicendo che se ti trovassi di fronte a quello stupido lupo nel bel mezzo del bosco, lui ti riconoscerebbe?»
Annuii sicuro.
Era trascorsi oltre due mesi dall'ultima volta che avevo visto Lowe. Seguivo ogni giorno i suoi spostamenti grazie al GPS di cui era stato dotato. Finn aveva dovuto sedarlo quando si era deciso per il suo ritorno in libertà, così gli era stato richiesto dalle autorità locali.
Vederlo lì, chiuso dentro una gabbia, con gli occhi vitrei e la postura rilassata, mi sembrò di assistere a uno scempio.
Il lupo esisteva per manifestare diffidenza con il suo sguardo buio e fermo, il lupo esisteva per mostrare coraggio nell''accettare rango e a volte esilio. Sapeva mostrare forza nel fisico asciutto ed esile, acuta intelligenza nel scegliere come reagire al pericolo.
Lowe sdraiato così, inerme, non era solo uno scempio, era innaturale, privato senza scampo della possibilità di interagire come meglio credeva. E il mio animo giovane e sbriciolato non poté che rivedersi in lui.
Avevo imparato ad attendere con pazienza le conquiste, avevo rispettato i suoi tempi, il suo ritrarsi per poi muovere passi incerti nella mia direzione.
Io ero riuscito a stargli accanto senza stratagemmi, senza barriere pronte a difendermi. Ed lo avevo fatto perché era ciò che desideravo per me: trovare qualcuno in grado di rischiare pur di comprendermi.
Si era ripreso lentamente dalla delicata operazione, e io avevo passato con lui l'intero autunno. Ma l'inverno alle porte mi preoccupò, così come la mancanza di selvaggina con cui avrebbe potuto sfamarsi, o la solitudine a cui sarebbe andato incontro. Ma i miei tentativi di far desistere Finn andarono in fumo, perché più Lowe sarebbe rimasto in cattività, più avrebbe rischiato di non sopravvivere in natura.
Chiudevo gli occhi ogni sera prima di addormentarmi e stringevo al petto l'immagine dell'ultima volta che lo avevo visto. Lasciato solo e stordito su un sentiero di montagna che mi fissava con le pupille dilatate e le iridi smeraldo.
Forse, dentro di sé, mi stava chiedendo aiuto.
Forse detestava l'idea di tornare a essere solo.
«Dimostralo allora.» Trevor mi inchiodò con uno sguardo truce. Aprì la mano sul muro accanto al mio volto e si protese in avanti.«L'ultima rilevazione lo ha localizzato vicino al ghiacciaio. Andiamo lassù e facci vedere cosa sai fare.»
Avrei dovuto negarmi, dire che non lo avrei fatto.
Avrei dovuto prevedere gli intenti.
Ma non ci riuscii.
Accettai la sfida con la testa di un ragazzino che è sicuro di poter essere invincibile, accettai senza alcun timore e con l'unica certezza che almeno in quel caso, avrei finalmente vinto.
Lowe mi avrebbe riconosciuto, Lowe non mi avrebbe mai fatto del male.
Non mi preoccupai che fosse quasi sera, e neppure che da due settimane nevicasse notte e giorno. Con passo spedito, e Trevor e Nat al seguito, mi inoltrai nel bosco. Ma il freddo si fece tagliente e appena raggiunto lo snodo di sentieri sullo Snake le raffiche di vento divennero più forti.
Imboccai la salita senza esitazione, senza riflettere sulla distanza che mi divideva dal ghiacciaio.
"Resisti e la smetteranno" pensai continuamente, "resisti e la smetteranno."
Fu un attimo sfuggente quello in cui mi accorsi di essere solo: l'improvvisa consapevolezza della mancanza del suono corale di passi.
C'erano solo i miei piedi che sprofondavano nella neve fresca, una penombra sempre più scura attorno e poi il silenzio. Quel silenzio atroce e surreale che solo il gelo invernale riesce a portare a Jackson Hole.
Nat e Trevor non c'erano più.
Non seppi dirmi come e quando si erano fermati per tornare indietro.
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The Untouchable Love
RomanceBride ha il cuore spezzato. Ha perso la madre in un incidente ed è costretta a lasciare l'Irlanda per raggiungere suo padre che vive in Wyoming. Sono sei anni che non mette piede a Jackson Hole. Si sente sola, persa nel dolore della perdita che ha v...