0 | Run and don't look back

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1 anno fa, New York

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1 anno fa, New York

È notte fonda, tutto tace, solo il rumore delle mie scarpe riecheggia per le vie di New York. È da più di mezz'ora che sto cercando di seminare quei cazzo di sbirri, ma continuano a starmi alle calcagna. Non so più da che parte andare, in ogni strada principale è stato allestito un posto di blocco e pensare di perdermi tra le vie secondarie non rientra assolutamente nei miei piani. Alle otto devo essere in ufficio, altrimenti i miei colleghi, i miei superiori o i poliziotti potrebbero insospettirsi.

«Fermo, in nome della legge!» strilla uno di loro, ma non sarà quella fottuta voce a fermare la mia sfrenata corsa verso una meta che ancora non ho stabilito.

«Andate al diavolo!» urlo di rimando, sperando di seminarli il prima possibile. Le gambe iniziano a dolermi, non so quanto ancora riuscirò a mantenere il ritmo di corsa che ho ora.

Se rallento, però, sono un uomo morto. Appena metterò piede in prigione la mia fine si avvicinerà lenta e inesorabile. Basterà una parola di troppo o una non detta, un incontro sbagliato o una compagnia doppiogiochista e potrò dire addio alla mia vita, alla mia carriera e a questo mio secondo impiego, dalla legalità molto discutibile, ma comunque dal buon guadagno. Sempre se ci riuscirò ad arrivare in prigione, senza passare prima dalla sedia elettrica e dalla sua mortalità.

Sono talmente ricercato che nemmeno mi concederanno il privilegio di alloggiare in una prigione, sarebbe fin troppo per uno come me. Ormai sono anni che le agenzie di oltre dieci paesi e i cacciatori di taglie mi inseguono e cercano di anticipare ogni mia mossa, ma ogni volta prontamente me ne esco con un inaspettato piano di riserva, che li lascia con l'amaro in bocca tutte le volte.

«Merda» impreco sotto voce. Ho appena messo il piede in una di quelle maledette buche, che costellano il manto stradale della grande e moderna New York. Talmente innovativa e all'avanguardia che ancora non è riuscita ad aggiustare un fottuto buco.

Riprendo immediatamente a correre, la caviglia duole, non so quanto resisterò in queste condizioni. In lontananza vedo una donna, che non avrà più di vent'anni, mi avvicino a lei e cerco di parlarle, ma l'alto volume della musica e del vociare di odiosi ragazzini, proveniente dalla discoteca da cui è appena uscita la ragazza, impediscono alla mia voce di arrivare cristallina alle orecchie della giovane bionda.

L'afferro per un braccio e la allontano dall'ingresso del Paradise Club, così si chiama quella discoteca, portandola in un vicolo chiuso, mal illuminato da un vecchio lampione mezzo rotto.

«Chi sei e cosa cazzo vuoi da me?» la bionda va subito al sodo, non sembra avere troppa voglia di ascoltarmi e nemmeno sembra avere paura di me o del luogo in cui l'ho trascinata, è solo indifferente.

«Quindi? La mia pausa sigaretta dura solo cinque minuti, perciò o mi dici quello che devi dirmi o vai fuori dai coglioni» quanto mi irritano le donne così, ma c'è solo lei in giro a quest'ora e ho disperatamente bisogno di un posto dove passare la notte e nascondermi.

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