Capitolo 9

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La notte si consumò in un susseguirsi di immagini e pensieri sfuggenti. Sognai di camminare sul Golden Gate Bridge, il vento che scompigliava i miei capelli e il fruscio delle onde sottostanti che mi parlavano di libertà e nuovi inizi. Al risveglio, la realtà di San Francisco mi accolse con un'alba dai colori vivaci, un nuovo giorno che prometteva scoperte e rivelazioni.

Dopo una colazione veloce, il nostro gruppo si riunì nella hall dell'hotel. Jacob sembrava pensieroso, mentre James era insolitamente silenzioso. "Oggi esploreremo la città," annunciò uno dei nostri capi supervisori, "ma ricordate, siamo qui per lavoro."

Il primo appuntamento fu al Museo di Arte Moderna di San Francisco (SFMOMA), dove l'innovazione si sposava con la creatività. Io e gli altri rimanemmo affascinati dalle opere che sfidavano la percezione e invitavano alla riflessione. Mentre ci muovevamo tra le sale, sentii l'insapettato bisogno di confrontarmi con Jacob. "Posso parlarti?" chiesi, trovandolo solo vicino a una scultura astratta.

Jacob annuì, mettendo da parte il suo atteggiamento distaccato. "Cosa c'è?" rispose.
"Volevo capire... perché ti sei messo in mezzo ieri sera?" iniziai io.
"Non volevo creare tensioni di nessun tipo. Noi siamo i boss e lui è un dipendente, ed è da un bel po' che ha un atteggiamento molto ambiguo. Non vorrei che si volesse approfittare di te per la tua posizione," spiegò.
Non preoccuparti, so cavarmela da sola," risposi con un sorriso.
"Perché?" insistette lui, cercando nei miei occhi una risposta.
"Non è sempre meglio farsi aiutare in caso di bisogno, no?" aggiunsi poi con tono esitante.

Le sue parole mi colpirono come un lampo. Non mi aspettavo una conversazione del genere, senza sarcasmi e inconvenienti, perciò rimasi sorpresa. "Non so cosa dire," ammisi.

"Non devi dire nulla," rispose lui.
"E poi ti devo ancora un favore," disse prima di allontanarsi.

Ero combattuta tra lo stupore per le parole di Jacob e il riverbero della quasi confessione di James. La città, con le sue strade in salita e i suoi tram storici, sembrava riflettere il mio stato d'animo: in bilico tra passato e futuro.

Il pomeriggio fu dedicato alla visita del Golden Gate Park, un'oasi di verde in mezzo alla metropoli. Mentre camminavo tra i sentieri fioriti, riflettevo sulla mia situazione.
Avevo sempre visto Jacob come un collega difficile e antipatico, ma ora mi rendevo conto che c'era di più nel suo essere.

Ma poi i miei pensieri furono interrotti da qualcuno: "Ysabel, posso parlarti?" la voce di James mi raggiunse, mentre mi trovavo vicino a un laghetto a scattare delle foto con il mio telefono.
"Certamente," risposi, voltandomi verso di lui.

"Volevo chiederti scusa per ieri," iniziò. "Non volevo metterti a disagio."

Lo guardai, vedendo la sincerità nei suoi occhi e affermai: "Grazie, James. Apprezzo la tua onestà. Ma non preoccuparti, è tutto a posto."

"Ok ma... Posso chiederti se ti piacerebbe venire a cena con me domani?" disse poi con un filo di speranza.

"Penso che... sia... ok. Perché no?" risposi, prendendo un respiro profondo.

"Hai ragione," annuì James. "Infondo non facciamo niente di male."

Il tramonto infuocava il cielo con la sua tavolozza, lasciandomi in uno stato di calma apprensione per quello che sarebbe potuto accadere alla cena, dato che non ero sicura di che tipo di sentimento provassi per James. La città mi aveva mostrato che la vita è piena di sorprese e che, a volte, è necessario affrontare l'ignoto per scoprire nuovi orizzonti. La giornata si concluse e stanchi della trasferta ognuno di noi cenò e se ne andò in camera.

Tornata in stanza, mi avvicinai nuovamente alla finestra.
"Domani è un altro giorno," sussurrai a me stessa. "E io sono pronta ad affrontarlo."

Con quella promessa, mi coricai, lasciando che i sogni mi portassero verso nuove avventure.

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