Capitolo uno

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Ava

TRE ANNI FA

Le suole delle mie scarpe calpestarono le piccole pozzanghere create dalla pioggia il giorno prima e il lieve gorgoglio mi distrasse da tutti i miei pensieri insidiosi della mia mente.

Quella sera a Brownsville i demoni si fecero sentire più del solito come ogni fatidico sette ottobre.

L'aria intorno a me diventò tutta ad un tratto pesante, come se anche respirare mi costasse la vita. Mi misi le cuffiette e nelle orecchie mi rimbombò "all the good girls go to hell" di Billie Eilish. Come ogni anno i ricordi di quel giorno scorsero nella mia testa come un frame di un film di cui sbarazzarsene mi risultò impossibile.

Sono passati esattamente cinque anni da quel giorno e furono cambiate un sacco di cose. I miei piedi provarono a dirigersi come dei robot verso la mia vecchia casa, ma come ogni giorno il mio limite si fermò a due kilometri dalla mia destinazione.

Avanti, cammina.

Giuro, ci provai in cento modi diversi ma è come se qualcosa -o qualcuno- mi tenne bloccata e mi impedii di andare avanti. Qualche volta vorrei andare a salutare mamma e papà, ma sapere che la polizia e la casa funebre bloccarono la sepoltura e addirittura il funerale per non so quale stupido motivo, mi rese più incazzata di quanto già non lo fossi.

Prima di rientrare in casa famiglia decisi di fermarmi a pranzare al "The Walk", una tavola calda nel centro di Brownsville. Ero fuori dalle otto del mattino ed era l'una e il mio stomaco iniziò a provare un senso di appetito.

«Buongiorno Ambra, vorrei un hamburger, delle patatine fritte e una coca cola, il solito» dissi alla mia cameriera preferita nonché anche una sorta di sorella maggiore che cerco di impedirmi di fare le mie solite cazzate -non ci riesce mai- e "psicologa".

«Per un attimo pensavo che ti avessero arrestata, è da due settimane se non più che non vieni qua»

«Beh... A dire il vero volevano farlo ma questi sono dettagli» confessai sorseggiando la mia coca cola.

«Ava ma insomma, ti avevo detto di non fare più queste cose! Che hai fatto?» mi rimproverò porgendomi il cibo.

«Non è colpa mia se mi istigano sempre, io provo a mantenere la calma ma loro fanno di tutto per farmi incazzare» spiegai sbuffando. Addentai le patatine e il mio hamburger. Avevo talmente fame che dalla mia bocca uscì un gemito di piacere.

«Penso che qualcuno ti voglia salutare» Ambra fece un cenno di capo rivolgendosi agli altri tavoli. Il mio sguardo andò verso quella direzione.

«Oh mio dio... Dylan, Brian e Nathan...»

«Sei sorpresa di vederci Av?» Nathan sorrise con un ghigno sul viso.

Non ci posso credere...

«Non è possibile... Cosa ci fate qua!?» andai verso di loro e li abbracciai calorosamente.

«Un uccellino ci ha detto che fai sempre cazzate e che ti mancavamo, quindi eccoci qua. E non ci siamo dimenticati che giorno è oggi, saremmo venuti a prescindere.» rispose Dylan sollevando le braccia.

I fratelli Walker sono un po' la mia famiglia sin da quando ero piccola, ancora prima di Zac. Li conoscevo da prima che i miei genitori morissero, erano una sorte di fratelli maggiori. Loro entrarono in casa famiglia molto prima di me, essendo che Brian e Dylan sono gemelli e hanno diciassette anni e Nathan diciotto. Si presero cura di me e di Zac, e quei ragazzi diventarono la famiglia che mi era stata tolta. Ora si erano stabiliti a New York per delle offerte di lavoro e per liberarsi dai giri strani che si erano messi quando erano più piccoli, anche se era impossibile e lo sapevano bene anche loro. A Brownsville mi invidiavano perché stavo sempre con loro visto che erano voluti da molte ragazze. Ma per me erano solo dei fratelli maggiori, un'ancora di salvezza quando tutto stava andando a puttane. I fratelli Walker erano molto simili fra loro: occhi e capelli marroni, carattere frizzante e fisico da palestrati.

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