Steve...

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1945
"Steve..."
Peggy chiuse gli occhi, e calde lacrime le rigarono il volto pallido.
Passò un po' di tempo, lei non sarebbe mai riuscita a definire quanto, e Howard arrivò quasi di corsa.
"Peg, cosa succede?" le chiese, visibilmente preoccupato per le pietose condizioni dell'amica.
Lei non riusciva ad articolare nessuna parola, sillaba o lettera, perciò dopo vani tentativi di spiegare l'accaduto a Howard, ci rinunciò e riprese a singhiozzare. L'unico uomo che aveva mai amato in tutta la sua vita, il compagno giusto, se n'era appena andato per sempre, e Peggy non voleva crederci. Non era possibile, Captain America era un immortale, grazie al siero del Super Soldato, era solamente uno stupido scherzo di Steve che cercava di... di fare cosa? Si chiese tra sè. Steve non avrebbe mai fatto uno scherzo del genere, sempre pronto ad aiutare il prossimo e a salvare la sua Nazione, tanto da morire. Ed era quello Steve di cui Peggy si era innamorata. Quel piccolo ragazzo di Brooklyn che non sapeva ballare.
"Peg dobbiamo andarcene di qui. La struttura si autodistruggerà a breve." esordì Stark, facendola alzare in piedi e trascinandola verso l'uscita.
"Steve" sussurrò lei come stupita. A vederla sarebbe potuta essere scambiata per una matta, per una squilibrata, ma in quel momento era la realtà: una giovane donna, trascinata fuori da una base dell'Hydra a forza da un uomo che le era sempre stato amico, e l'unica cosa che Peggy riusciva pensare era di staccarsi da Howard e rimanere ferma là, a morire. Sarebbe stato tutto più semplice, mettere fine al dolore incontrollabile che si era impossessato di lei.
Tuttavia non lo fece. Come ipnotizzata da qualcosa, dopo un paio di minuti i due erano fuori, e l'aereo che li avrebbe riportati a New York atterrò nel momento in cui chiusero la porta.
Non appena furono issati sull'aereo, Peggy si sedette e cominciò a guardare davanti a sè.
Assieme a loro si erano aggiunti gli Howling Commandos, e ben presto salirono tutti sull'aereo.
I ragazzi parlavano a voce bassissima, così, forse per cercare di aiutare la sua amica, Howard le sussurrò dentro all'orecchio:
"Cosa è successo, Peg?"
Lei non sapeva cosa rispondere. Era troppo difficile spiegare a parole ciò che provava, e ciò che era accaduto durante gli istanti peggiori della sua vita.
"Steve... Lui..." biascicò Peggy, non sapendo assolutamente cosa dire.
Passò qualche minuto, in cui Howard chiese informazioni sull'accaduto, poi piombò il silenzio più assoluto per una buona mezz'ora.
"Mi dispiace, Peggy" fu l'unica cosa che riuscì a dire Stark durante il resto del viaggio.
Peggy invece rimase zitta, singhiozzando piano, ripensando agli ultimi momenti passati con lui, alle ultime parole condivise assieme a Steve.
Quella sera tornò a casa sua, a New York, e decise che per un po' non avrebbe voluto avere a che fare con la guerra. E poi doveva prepararsi per la serata allo Stork Club, venerdì alle otto. Non poteva assolutamente perdersi quella sera, avrebbe dovuto insegnare a ballare a Steve.
Nei giorni precedenti non fece assolutamente nulla. Non rispondeva alle telefonate, usciva di casa il minimo indispensabile per fare brevi commissioni, e se qualcuno suonava alla sua porta osservava dallo spioncino chi era, e nel 99% dei casi non apriva, fingeva addirittura di non esserci.
L'1%, l'unica eccezione, era Howard, che aveva subito cominciato le ricerche per trovare il corpo di Steve, e la aggiornava di giorno in giorno.
Quando Stark non era in casa sua o quando non usciva di casa, non faceva assolutamente nulla, se non mangiare velocemente qualcosa che trovava in dispensa. Al contrario di come avrebbero fatto altre persone, beveva assai poco, giusto un bicchiere di puro alcool per stordirla un po'.
Il giorno dell'appuntamento con Steve si svegliò di buon'ora, e per la prima volta dopo giorni fece una colazione decente. Howard non venne a trovarla, così lei passò il pomeriggio a prepararsi per la loro serata. Si fece una doccia fredda, poi scelse l'abito rosso che le aveva imprestato la sua coinquilina, che per sua fortuna lavorava tutto il giorno ogni giorno, e lei poteva mentirle senza destare sospetti.
Una volta uscita chiamò un taxi, che si diresse a velocità costante verso lo Stork Club.
Arrivò davanti al locale alle otto in punto. Pagò il tassista e scese guardandosi attorno. Steve non era arrivato.
"Chiederemo di suonare un lento" aveva detto alla radio, come se facesse un lavoro comune e dicesse alla sua ragazza quello che aveva in programma per la loro serata speciale.
I minuti passavano veloci, ma di Steve non si intravedeva nemmeno l'ombra, se non si contava l'enorme cartellone appiccicato alla parete di fronte al locale che raffigurava Captain America e gli Howling Commandos.
D'un tratto si sentì toccare una spalla, e voltandosi trovò a pochi centimetri dal suo viso i baffi perfettamente tagliati e pettinati di Howard Stark. Di scatto fece un passo indietro, ma continuando a guardarlo.
"Hey Peggy..." cominciò lui.
"Howard, hai visto Steve?" chiese lei interrompendolo come se niente fosse.
"Peg..." provò a dire lui, ma lei annuì.
"Lo so" continuò Peggy imperterrita. "Tanto vale che me ne torni a casa."
"Aspetta." la bloccò Howard "Devi esserti preparata molto per questa serata. Non dovrai insegnare a ballare a nessuno, ma almeno concedimi un ballo. Credo che... La ragazza che doveva benire mi ha dato buca." disse lui con un lieve sorriso.
Lei lo fissò per qualche istante, poi afferrò la sua mano e insieme entrarono allo Stork Club. Stavano suonando un lento.
Lentamente, si posizionarono e cominciarono a ballare prima piano e poi sempre più sicuri.
Howard in realtà non aspettava nessuna ragazza, voleva soltanto cercare di tirare almeno un po' su il morale della sua migliore amica. Ed era più che consapevole che Peggy, chiudendo gli occhi e sorridendo leggermente, immaginasse di ballare per la pista assieme a Steve, ma a lui non importava, sapeva benissimo di non essere all'altezza di quella giovane donna che teneva tra le braccia.
Arrivò la mezzanotte e Peggy decise che per quella sera ne aveva abbastanza. Salutò Howard, prese un altro taxi ed arrivò velocemente a casa.
La sua coinquilina stava già dormendo, così, senza fare rumore si cambiò e si mise distesa sul letto.
Per la prima volta dopo giorni pianse fino allo sfinimento, addormentandosi in un profondo sonno senza sogni.

Welcome back to the future, darlingDove le storie prendono vita. Scoprilo ora