Capitolo 7.

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CALEB.

Sono appena uscito dalla mia abitazione dopo l'ennesima sfuriata ricevuta da parte di mio padre.

Vuole a tutti i costi che io segua le strade di Christopher per portare avanti l'azienda vinicola di casa.

Sfortunatamente per lui, a me non interessa.

So che è un'occasione che in molti non rifiuterebbero, ma solo io so quanti effettivi debiti ci siano dietro l'azienda.

E di rimetterci, invece che guadagnarci, il giorno che mio padre non ci sarà più, non lo vedo un buon affare.

"Ti fai condizionare troppo da Dean" è la sua classica frase, dopo ogni discussione.

È fermamente convinto che la mia amicizia con Dean condizioni le mie idee, quando lui non sa, che fin da piccolo ho sempre sognato di diventare un architetto.

Salgo sulla mia auto, con la rabbia che sembra essere quasi iniettata nelle mie vene.

Accendo il motore, dileguandomi dal giardino di questa casa nel giro di pochi secondi.

Non ho una vera e propria meta, ho quindi intenzione di raggiungere casa White e di bermi una birra con il mio migliore amico.

Andare da Violet quest'oggi non rientra nelle mie opzioni.

Continua a chiamarmi e a scrivermi da ieri, nonostante le abbia specificato più volte che per me non è nulla, se non un semplice rapporto fisico.

Sono io a decidere quando cercarla e quando raggiungerla, anche perché, se lei volesse farlo, probabilmente non saprebbe nemmeno dove trovarmi.

All'improvviso, l'auto davanti a me frena di botto,   e nonostante io provi a fermarmi, non riesco ad evitare l'impatto.

Sbatto la testa contro il manubrio dalla vettura, procurandomi un male atroce alla fronte.

Dall'ultima volta che gli airbag sono esplosi, non li ho più fatti aggiustare, e ringrazio che in questo momento con me non ci sia nessuno.

Alzo il viso di scatto, nonostante il dolore, e scendo dall'auto per raggiungere il veicolo con cui ho avuto lo scontro.

La persona al suo interno, sembra stare bene, o almeno credo, dato che indossa un passamontagna.

Il suo sguardo cupo e tetro è fisso su di me.

Ma se pensa di spaventarmi perché il suo viso non è visibile, si sbaglia.

«Ma si può sapere chi cazzo ti ha dato la patente?» apro il suo sportello, invitandolo a scendere.

«Caleb, fossi in te non mi rivolgerei ad una persona con il volto coperto, in questo modo» e senza nemmeno darmi il tempo di agire, l'uomo si scaglia su di me, colpendomi sull'addome con un coltello.

Finisco a terra, per l'impatto, e riesco ad afferrargli il braccio, impedendogli di affondare maggiormente la lama.

Con le forze che mi sono rimaste, gli sferro un calcio, allontanandolo definitivamente dal mio corpo.

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