Capitolo 6

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Sfoglio del pagine del libro.
Ogni tanto alzo lo sguardo, il rumore di ceramica e voci fioche richiamano la mia attenzione, distraendomi dalla storia.
Davanti a me c'è lui, con la sua camicia nera stretta nei punti giusti, mi guarda dal bancone.
Mi sorride. Com'è bello.
Sta ripulendo le tazzine di caffe vuote, alcune macchiate di rossetto.
Io ho davanti a me un cappuccino e un libro ormai quasi concluso.
Prende la comanda di un tavolino vicino la finestra e dopo pochi minuti porta loro tutto.
Con il vassoio vuoto sotto al braccio, attraversa il locale, si avvicina.
Prende posto nella sedia accanto alla mia.
Io lo guardo confusa.
«Non dovresti lavorare?»
«Avevo bisogno di una pausa.»
Mi giro verso di lui, già mi stava guardando da un po'.
Il suo viso è così vicino al mio che sento il suo respiro caldo.
«Non è appena iniziato il tuo turno?» provo a mantenere un tono calmo, curioso. Ignorando il calore che sento nel petto e le emozioni che pian piano stanno prendendo il controllo.
Mi guarda negli occhi, in silenzio. L'angolo destro della sua bocca si alza in un piccolo sorriso.
Si avvicina di più.
Porta una mano sulla mia guancia, con il pollice la accarezza. Ha un tocco dolce, leggero.
Avvampo.
Mi avvicina a lui.
I nostri nasi si sfiorano.
Continua ad abbassare lo sguardo verso le mie labbra.
Le sue si schiudono leggermente.
Mi bacia.
Un bacio lungo, dolce e leggero.
Le farfalle si fanno largo nel mio stomaco, il corpo si fa pesante, il calore nel petto è diventato un fuoco.
Sento il cuore andare a mille.
Lentamente stacca le sue labbra dalle mie.
«Si, ma mi mancavi.» risponde sottovoce alla domanda che gli avevo fatto prima.
Si concede un ultimo bacio a stampo, delicato più del primo, prima di rialzarsi e tornare al suo lavoro.
Resto pietrificata ma con un sorriso grande stampato sul volto.
È in quel momento che riapro gli occhi.
Riconosco il soffitto della mia cameretta, il piccolo fascio di luce di un lampione che entra dalla finestra colora il buio della notte.
«Cazzo...»
Mi porto le mani sul viso, mi stropiccio gli occhi.
Mi siedo sul bordo del letto, prendo il telefono dal comodino.
In un primo momento la luce dello schermo mi acceca, abbasso la luminosità infastidita.
L'orologio, sulla schermata di blocco, segna le 03:52.

~ Giovedì 28 Settembre, ore 07:01

Spengo la sveglia infastidita.
Stanotte mi sono rigirata nel letto per un po' prima di riuscirmi ad addormentare di nuovo.
Il pensiero di quel sogno non mi faceva prendere sonno.

Tuttora riesco a pensare solo a quello.
Sono le 11:50 ha appena suonato la campanella della ricreazione, io resto immobile nel mio banco.
Neanche la voglia di fumarmi una sigaretta sotto l'ombra del solito albero mi smuove.
Ho lo sguardo fisso verso la sedia davanti a me, ora vuota.
La sua immagine non abbandona la mia mente, riesco a pensare solo a lui. È così da tutta la mattina.
Lucrezia e Beatrice, che stavano per uscire dalla classe, si accorgono di me ancora seduta.
Solitamente sono tra le prime a scappare fuori dalla porta di questa stanza.
Tornano indietro.
«Tutto apposto??»
«Che hai? Sei strana.»
Resto in silenzio. Sento i loro sguardi preoccupati su di me.
Mi giro verso di loro.
«Che succede?» mi chiede Lucrezia.
«L'ho sognato.» rispondo.
«E cos'è questa faccia da funerale?» riporto lo sguardo sul mio banco.
«Non sei felice? Si vede come vi guardate, dovresti essere fomentata all'idea di vedertelo anche in sogno.» commenta Beatrice.
«Mh si ma no.»
«Che significa?» chiede Lucrezia.
«Non lo so.»
«È stato brutto il sogno?»
«No no, ci siamo baciati.»
«Eh allora? Perché fai così?»
«Ma scusa, lui non ti piace? Sembrava di si.» stavolta a parlare è Beatrice.
«Si penso di si, è proprio bello, è gentile e ha degli occhi stupendi, mi ci perdo sempre.» sospiro. «Però.. non so, ho paura di non piacergli.» continuo.
Mi giro nuovamente verso di loro, chiedo aiuto con lo sguardo.
«Ma che dici!! Lo hai visto come ti guardava ieri?!»
«Secondo me è solo impressione vostra.»
Cerco di autoconvincere anche me stessa con questa frase. La verità è che anche secondo me lui potrebbe provare qualcosa per me, però ho paura.
Non ho mai avuto una storia, tutti i ragazzi che mi sono piaciuti non hanno mai ricambiato. E sinceramente, vedendo soffrire mamma in quel modo per colpa di papà, non ho tanta voglia di essere amata.
Non voglio finire come lei.
Non ricordo nemmeno l'ultima volta che li ho visti abbracciarsi.
Lucrezia e Beatrice si guardano tra loro, non sanno cosa dire.
«Non vi preoccupate, ora mi passa.» intervengo io.
Il loro sguardo si fa cupo, si arrendono.
Dopo un breve silenzio (che tanto breve non è sembrato), fanno un ultimo tentativo:
«Scendi con noi a fumare?» chiede speranzosa Bea.
Ci penso un po' ma accetto, solo per non farle sentire troppo in colpa.
Una sigaretta mi andava.
Così prendo aria e, magari, mi schiarisco le idee.
Una volta sedute nel nostro angoletto del cortile, Lucrezia, senza che io aprissi bocca, mi passa il pacchetto. Ne tiro fuori una, l'accendo e passo il clipper a Beatrice.
E così che passiamo l'ultimo quarto d'ora della pausa: sedute, una accanto all'altra. Con una sigaretta in mano, a guardare dritto davanti a noi, in silenzio.
Faccio un tiro, faccio cadere la cenere per terra.
Rivolgo loro un "grazie" , quasi sussurrando, non mi giro nemmeno ma sorrido.
Lucrezia poggia la testa sulla mia spalla.
Suona di nuovo la campanella.
Mi alzo e spegno la sigaretta, ormai consumata, sotto i piedi.
Quella sigaretta che avrebbe dovuto farmi ragionare, cambiare idea ma che, alla fin dei conti, mi ha solo dato ragione e ha annuito a ogni mia preoccupazione.
Magari non è lui il ragazzo che fa per me, magari non sono pronta.
Mi scervello un po'.
Non so neanche il suo nome, me ne rendo conto solo ora.
E lui non sa il mio, per lui sono solo Viola, una ragazza qualunque con le punte dei capelli colorate, e lui è solo il cameriere del bar.
E forse è davvero meglio così.

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