Capitolo 1: Difetti e Imperfezioni

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Joey:

Avevo circa otto anni, mio padre mi disse che doveva parlarmi, da sola con lui, in camera sua e di mia mamma.

«Tesoro» iniziò.
«Sì?»

«Io e tua mamma... Ci separiamo, ma ci vorremo sempre bene okay? Io andrò a vivere qui vicino, e noi ci vedremo spesso», non era stato così diretto, ma non riuscivo ad avere un ricordo esatto di quel momento, come non ricordavo cosa provai in quell'istante, ma sapevo che avevo chiesto cosa quello significasse, mio padre me lo aveva spiegato meglio, ma ero troppo piccola per afferrare il concetto, non potevo sapere cosa sarebbe significato.

In seguito toccò a mia madre parlare con mio fratello più piccolo, aveva tre anni in meno di me, probabilmente avrebbe capito ancor meno di quello che avevo capito io.

Tornai al presente quando la prof di storia mi chiamò: «Joey!» Stava parlando da tutta l'ora, ogni tanto chiedeva: «mi state ascoltando?» Otteneva risposte come: «sì», anche se in realtà nessuno riusciva a starle dietro.

«Sì prof?» Risposi io, lasciando andare quel ricordo malinconico.

Magari una persona con i genitori insieme non avrebbe potuto capire il mio dolore, poteva sembrare una cosa da niente, ma in realtà cambiava tutto, vedevo mio padre una volta ogni due settimane, i miei genitori facevano un weekend a testa, durante la settimana io e mio fratello stavamo con nostra mamma, il rapporto con loro era sempre stato bello, ma in quel periodo tutto mi stava crollando addosso, parlavo a stento con mia madre, e litigavamo sempre, io e mio padre invece eravamo sempre più distaccati.

«Joey, ripeti quello che ho detto», mi invitò la prof, cosa aveva detto? Cercai con lo sguardo la mia amica Sophie, seduta sul banco a fianco al mio, poteva sembrare attenta, ma probabilmente stava pensando a tutt'altro.

«Scusi prof, mi ero un attimo distratta».
«Joey, ultimamente sei sempre disattenta, la tua media si sta abbassando!» Stava cercando di umiliarmi davanti a tutti i miei compagni di classe?

«Scusi, è un periodo un po' difficile», dissi in mia discolpa, era vero, era il periodo più difficile di tutta la mia vita, anche se prima pensavo fosse quello degli anni precedenti, ma solo dopo ho capito che quello non era niente confronto a quello che stavo passando ora.

La prof decise di lasciar perdere, assegnò un sacco di compiti e infine uscì dalla classe.

***

Entrai in casa, mi chiusi in camera mia, non avevo fame, nonostante le sei ore di scuola l'unica cosa che volevo fare era starmene da sola, la fame non faceva parte del mio programma, il mio piano era buttarmi nel letto e leggere, leggere e leggere per tutto il pomeriggio.

«Alle cinque hai atletica, vedi di prepararti», proruppe mia mamma, fiondandosi nella mia stanza.

«Si bussa!» Alzai la voce.
«Joey, non alzare la voce con me!»
«Scusa» tagliai corto, non ero dell'umore per litigare con lei, non di nuovo.

«Le prof hanno detto che non ti stai impegnando», disse invece di uscire.
«Sto facendo del mio meglio, è che sono stanca ultimamente».

«Be' allora non stai facendo abbastanza, impegnati di più se vuoi arrivare da qualche parte, Joey» io annuii, lei uscì dalla stanza, mi buttai sul mio letto e mi lasciai affogare dai pensieri negativi, mi misi a piangere, non era giusto, perché succedeva tutto a me?

Ed eccomi lì, di nuovo a piangere, invece di studiare, come mi avevano detto i miei genitori, ma io tutto quello lo facevo per loro, non per me, se fosse stato per me non sarei stata ancora là.

Andai davanti allo specchio, con le lacrime che scorrevano lungo le mie guance pallide, mi accarezzai il labbro superiore, più grosso di quello sotto, per poco non copriva quello inferiore, mi passai un dito sulla gobbetta del mio naso, sentii il mio stomaco stringersi, odiavo il mio naso, la mia bocca, le mie sopracciglia, il mio corpo, tutto, io mi odiavo, ero il mio peggior nemico, non erano gli altri a distruggermi, a distruggere la mia autostima, ero io stessa.

Avevo le labbra rosse, la pelle pallida, normalmente era un po' più rosea, avevo delle occhiaie profonde sotto agli occhi, e i miei occhi verdi erano stanchi e spenti. Avevo i capelli biondi e mossi, ma non li curavo, perciò erano crespi e rovinati.

Il mio corpo era sproporzionato, ed era impossibile non farci caso.

All'età di quattordici anni mi era stata diagnosticata la scoliosi, e di conseguenza anche la cifosi, come se non bastasse la mia spina dorsale non era dritta come tutte le altre, era lievemente girata verso destra.
Pacchetto completo.

La mia vita sarebbe dovuta essere stretta, se solo non fosse stato per la mia maledettissima scoliosi, ovvero la spina dorsale che faceva una piccola curva, invece di essere perfettamente in linea. Di conseguenza un fianco era più accentuato dell'altro.

Avevo le gambe magre, troppo magre, e anche le braccia, ma la mia pancia non era piatta, e non potevo di certo vantarmi del mio seno.

Sì, ero il perfetto esempio di: «imperfezione».

Avevo tutto quello che qualsiasi altra ragazza avrebbe temuto di avere, quello che nessuno avrebbe mai potuto invidiare.

Dovrebbe essere: io e la mia famiglia contro il mondo? Perché a me sembrava di essere io contro il mondo, come se tutto e tutti fossero contro di me, anche i miei genitori e i miei amici.

Ero sdraiata sul mio letto, stavo cercando di dormire ma la schiena mi faceva male, la mia mente era troppo affollata di pensieri, uno tra quelli era collegato alla mia famiglia. Eravamo nella stessa casa, separati solo dai muri, eppure mi sentivo lontana da tutti loro, mi sentivo distante, come se a separarci fossi io stessa.

Perché non riuscivo più a dire «ti voglio bene», a mia mamma o mio papà? Perché non riuscivo più a voler loro bene come quando ero piccola?

Non che non li volessi bene, solo che non quanto prima. Non come quell'amore che provano i bambini verso i genitori, o forse quella si chiama venerazione.

Finalmente riuscii a chiudere gli occhi e ad addormentarmi, dopo ore e ore passate a torturarmi da sola.

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Piccolo spoiler: ll prossimo capitolo sarà quello del video di Instagram, tenetevi forti perché si può dire che stiamo per decollare.

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