Capitolo 3: Errori e Perdono

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Joey:

«Cazzo!» Imprecai a gran voce, saltellando su un piede, avevo sbattuto il mignolo nell'angolo del mobile, sentii arrivare mia mamma a passi pesanti e svelti.

«Le parolacce!?» Gridò con un tono severo, «scusa!» Esclamai innervosita, non me ne andava bene una, lei si calmò e se ne andò.

Non dicevo molte parolacce, solo quando sbattevo un dito contro un angolo, i miei genitori mi avevano sempre insegnato a non dirle, non mi infastidiva che gli altri le dicessero, ma anche se io avessi voluto non ci sarei riuscita, forse era una questione di educazione, ero stata educata in modo rigido dai miei genitori, ma la loro educazione si era trasformata in una prigione per me.

Non ero come le altre ragazze della mia età, a sedici anni chi non penserebbe solo a divertirsi? Be' io...

Preferivo di gran lunga starmene a casa a leggere o a scrivere, io amavo scrivere, sin da piccola. Oppure passavo il mio tempo libero a guardare film e serie TV, era il mio modo di vivere una vita che non avevo.

Le ragazze nei libri erano sempre perfette, chi non sarebbe voluta essere come loro, be' io in primis le invidiavo, avrei voluto avere un corpo perfetto, un viso perfetto e un ragazzo perfetto.

Eppure... qualcosa aveva voluto l'incontrario, figurarsi se proprio a me sarebbe capitata la fortuna delle protagoniste dei libri...

Vi prego, se qualcuno sta scrivendo la mia storia constingetela/o a smetterla! E magari date la penna a qualche scrittrice o scrittore con un animo buono!

***

Stavo per entrare nella mia classe, era vuota, ma solo dopo notai un un ragazzo, sembrava quasi essersi perso, se ne stava seduto su una sedia, sembrava essersi lasciato prendere dall'ansia, sì, era decisamente agitato.

Muoveva ripetutamente la gamba sul pavimento, e si torturava delle pellicine intorno alle unghie delle dita. Ma la testa era nascosta dalle due mani, i gomiti erano appoggiati sul banco, guardava in basso.

«Aspetti qualcuno?» Domandai prendendo coraggio, quando ero timida mi usciva un tono di voce quasi da bambina, un tono che dava fastidio persino a me.

Lui alzò il capo di scatto, non doveva essersi accorto della mia presenza. Lo scrutai attentamente, perché aveva un viso familiare? Dovevo averlo visto da qualche parte.

Andai a posare la cartella al mio banco, aspettando una sua risposta, «no.» Rispose brusco, e io che gli avevo fatto di male?

«Io sono Joey» dissi, tentando un approccio, non che fossi mai stata brava nelle conversazioni, finivano sempre per mettermi a disagio.

«Okay, ma io non te l'ho chiesto», mi fece presente, in modo scorbutico.

«Cosa c'è che non va in te? Non mi pare di averti detto qualcosa di offensivo» ribattei, lo guardai da testa a piedi, aveva i capelli castani, un po' ricci, e gli occhi dello stesso colore del cioccolato, un marrone scuro e intenso, gli dava un non so che di profondo. Era magro e alto, probabilmente gli arrivavo poco più delle spalle.

«Io vi conosco, a quelle come te, sapete sempre troppo e non vi tenete mai la bocca chiusa, perciò tappati quella cazzo di bocca e guai a te se dici a qualcuno di quello che hai visto».
Oh. Rimasi spiazzata, non sapevo cosa dire.

Non voleva che qualcuno sapesse che era agitato? A me non sembrava un grande problema...

«Io non...» feci per parlare ma venni interrotta, «giuro che se solo provi a fiatare te la vedrai con me», suonò come una minaccia, e probabilmente voleva anche esserlo.

Tutta questione di cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora