Laura

51 4 0
                                    

Da quell' autunno, precisamente il 5 di maggio, non capitò mai più una cosa del genere. Non che me lo aspettassi. Quando lo raccontai a mia madre lei mi abbracciò forte e mi disse che probabilmente me l'ero immaginata per via del forte trauma. All'epoca non capivo cosa volesse dire. Ora si. Dominare l'acqua? Era molto più probabile che fosse stato un miracolo o, se mi passate il termine, una gigante botta di culo.
Mio fratello maggiore Lucas, invece, mi ha dato della "mentalmente sciroccata"; inutile dire che da quel giorno evita ogni genere di ombrello.
In ogni caso non mi interessa più di tanto.
Sono passati quasi 10 anni da allora e non è successo ancora nulla. Ora la mia vita è perfetta. Dopo essere usciti dall'ospedale, Mad mi ha ringraziata in tutti i modi. Lui è super convinto che gli abbia salvato la vita. Finché mi è grato per questo mi andrà benissimo assecondarlo. Due anni fa mia madre ha deciso di trasferirsi a Port Douglas per lavoro, prima ci andavamo solo per le vacanze estive. Non poteva darmi notizia migliore: dovevo iniziare il liceo perciò non avrei abbandonato i miei amici, ma la cosa più entusiasmante di tutte era che lì viveva Mad. Avrei rivisto i suoi meravigliosi occhi azzurri. Lui ne fu entusiasta quanto me. Da allora siamo stati tutto il tempo insieme e un anno fa si è dichiarato. È stato uno shock per me. Ovviamente accettai subito, lo avevo sempre adorato: alto, pelle bronzea, capelli nocciola costantemente in disordine, per non parlare dei suoi occhi. Ormai non guardo che lui. Purtroppo però gli altri ragazzi guardano me: non altissima, pelle dorata, formosa, con lunghi capelli dalle sfumature ramate, brillanti occhi castani chiari con sfumature verdi e un delizioso nasino all'insù.
Mad è molto geloso, ma dopotutto è una cosa che mi piace. Ho anche trovato un lavoro qui: quattro giorni alla settimana mi reco al wildlife habitat più vicino. Adoro interagire con gli animali.
Ho fatto amicizia con un adorabile delfino di nome Daisy. Quando mi vede mi accoglie con la solita capriola e si lascia accarezzare, docile. Sono riuscita addirittura ad adottare una scimmietta sperduta, che si era infiltrata in un montacarichi in India. L'ho chiamata Sinki. È davvero dolcissima.
Oggi è il 5 maggio, dopo scuola devo tornare al lavoro.
Ho una sorpresa per Daisy: un enorme scatola di sardine, le sue preferite.
La campanella suona, ma la prof ci trattiene. Mi sale un istinto omicida: se avessi fatto tardi non avrei fatto in tempo a mangiare.
Appena ci congeda affretto il passo. Mad cerca di parlarmi, ma non riesce a starmi dietro.
"Laura, piccola, aspettami!"
Gli spiego la situazione e lo saluto di fretta: lo scuolabus era arrivato.
Finalmente a casa mangio un sandwich al tonno e prendo il pesce per la mia piccola delfina. Sinki cerca di trattenermi, saltandomi sulla schiena. L'allontano divertita e le gratto le orecchie, le fa sempre piacere. Il wildlife habitat è a solo due isolati da casa mia.
Metto allegra l'uniforme: chissà come mi avrebbe ricompensata Daisy per il mio regalino.
Ecco la sua vasca.
"Daisy sono io!"
Nessuna risposta. Di solito riconosce la mia voce. Strano. Non c'è traccia di lei nel suo acquario, che l'abbiano spostata senza avvisare?
Vado dal capo leggermente perplessa e a dir poco irritata: dopotutto l'avevo addestrata io.
È al telefono. Inizio davvero ad arrabbiarmi. Questa non è stata ciò che generalmente si definisce una bella giornata: la prof di matematica mi ha preso di nuovo di mira e per di più ho preso un votaccio al compito di fisica.
Gli faccio segno di volergli parlare e finalmente quell'idiota del mio capo si accorge di me. Attacca subito, arrossendo.
'Probabilmente parlava con l'amante' penso sogghignando.
"Salve Laura. Posso chiederti il motivo della tua visita?"
"Salve. Le volevo chiedere di Daisy. Per caso le avete cambiato vasca? Non c'è nella sua"
"Daisy? Quel delfino con quello strano simbolo sulla pinna?..."
Effettivamente, sulla parte destra della pinna, ha un particolare disegno di pelle più chiara, molto simile ad un'iscrizone giapponese.
Una volta portai con me la mia amica Kiyomi, pregandola di tradurlo. Lei disse che non era molto preciso, ma che assomigliava in maniera impressionante al sinogramma della parola "Acqua". Ne rimasi affascinata e da allora mi piacque ancora di più.
"...Si mi ricordo di lei. Era molto vecchia..."
Ha ragione anche su questo. L'ho addestrata che era già adulta. Però non capisco dove voglia arrivare con quest'affermazione.
"...Ieri sera è stata trasferita nella riserva marina del Pacifico. Non poteva continuare a dare spettacolo. Non ti ha avvertita nessuno?".
Rimango di sasso. Spero di aver capito male.
Una senzazione di vuoto mi affiora nei pressi dello stomaco.
"Ne è sicuro? È davvero così?"
Annuisce. "Sono desolato. So che le eri affezionata"
"Non immagina quanto."
Mi accorgo del fatto che non potrò mai più vederla e il peso della verità mi schiaccia, inesorabile.
Non respiro più dalla rabbia. Possibile che nessuno me lo abbia detto? Avrei potuto almeno salutarla.
Esco dall'ufficio del capo e barcollo verso la sua vasca. Mi viene da piangere.
La mia rabbia sale. Non si placa. Mi sento traboccare come un'anfora troppo piena. Come se non bastasse inizio a sentire un dolore acuto nei pressi della schiena. Cerco di ignorarlo e di asciugare i miei occhi lucidi, ma il dolore aumenta.
Piena di sgomento cado per terra e mi chiudo su me stessa, inerme, cercando di calmarmi. Il dolore è accompagnato da un freddo glaciale, che ben descrive ciò che prova il mio cuore dopo questa ingiustizia.
Intorno a me non c'è nessuno, dopotutto non è ancora orario di visite e i miei colleghi sono lontani. Urlo e piango in preda ad una devastazione fisica; ma anche psichica.
Com'era arrivato, il dolore cessa.
In preda ai singhiozzi cerco di alzarmi e mi tengo malferma sulle gambe. Dominata dalla frustrazione piango più forte.
D'un tratto però uno strano scricchiolio mi distrae dalla mia agonia. Smetto di piangere e guardo davanti a me. Il vetro della vasca di Daisy si sta incrinando. Piccole crepe si diramano da tutte le parti. Sono sconcertata: sembra che l'acqua stia spingendo contro il vetro per uscirvi. Cerco di chiamare aiuto, ma la mia voce è irrochita dal recente pianto.
È troppo tardi. Il vetro cede.
Vedo scaglie scintillanti cadere a terra come lacrime silicee. Istintivamente metto un braccio davanti al viso, per coprirlo. L'acqua si riversa per terra, inondando il pavimento e fluendo verso gli altri habitat.
Una piccola parte di essa, però, si accumula ai miei piedi.
Non emetto fiato, come in attesa di qualcosa. Non devo aspettare molto, effettivamente: l'acqua risale le mie gambe, come in preda ad una volontà propria. Indietreggio intimorita, ma lei continua ad avvolgermi, imperterrita. Grido aiuto e finalmente arriva Endy, un mio anziano collega. Vedendomi, il suo viso preoccupato cambia espressione. Riconosco lo sgomento e ciò che sembra terrore nei suoi occhi. Mi giro lentamente verso la vasca alle mie spalle. Non vedo il mio riflesso.
Guardandomi capisco il perché: mi confondo con l'elemento al suo interno.
Sono fatta d'acqua.

F.A.T.A.L.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora