Aria

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Ciò che mi successe quel 5 maggio, è uno dei ricordi più nitidi della mia infanzia. Vorrei che non lo fosse.
Avevo cinque anni e abitavo in un villaggio nei pressi di Phu Quoc, una piccola città Cambogiana. Nella mia casa, più paragonabile ad una capanna o ad una palafitta, eravamo quattro: io, mia madre, mia nonna e mio fratello gemello, Eliah.
Era quasi un anno che non vedevo mio padre.
Un giorno di luglio era andato in spedizione con Maalhok, suo grande amico. Viaggiarono per circa una settimana oltre i confini estremi del villaggio in cerca di ricchezze minerali.
Dopo solo nove giorni Maalhok tornò a casa.
Era in stato di shock.
Non reagiva a nessuno stimolo e, per quanto io e mia madre insistessimo per capire cosa fosse successo e dove fosse mio padre, ci rispose dopo sei giorni.
Pianse.
Quella reazione, per noi, valse più di mille parole.
In casa si sentiva la sua mancanza. Eliah era costretto a fare l'uomo di casa e procurarsi il cibo. Io facevo di tutto per aiutarlo, ma mia nonna stava male e mia madre non poteva badare sia a lei che alla casa.
La malattia corrodeva le membra di colei che mise al mondo mia madre, le possedeva la mente.
Soffriva di continue visioni che a quanto pare sembravano orrende. La febbre era alta e nei momenti in cui si riprendeva riusciva solo a farfugliare avvertimenti.
Quel giorno stava peggio che mai. Sembrava che fosse arrivata al limite, eppure non ero pronta a perderla.
Mi misi accanto a lei e le bagnai la fronte. Quando aprì gli occhi aveva uno sguardo implorante. Sembrava volesse dirmi qualcosa. Avvicinai l'orecchio alla sua bocca.
La sua voce era un sussurro
"Evelyn, stai attenta. È giunta l'ora. Dovete scappare tu, tua madre ed Eliah. Al più presto." parlava in modo più chiaro del solito eppure non capivo...
"Scappare da cosa nonna? Sai che non ti lasceremo mai"
"Oh bambina, è giunta la mia ora, non preoccupatevi per me. Dovete salvarvi. Arriveranno...l'ho visto. Evelyn ti prego, proteggi la tua famiglia. SCAPPATE"
Usò tutto il fiato residuo per urlare l'ultima parola. Un accesso di tosse le serrò la gola e la mise a tacere.
Succedeva sempre cosi, alla fine. La prima volta che accadde mi spaventai tantissimo, ma mia madre mi disse come fare: dovevo asciugarle le lacrime e tentare di calmarla mettendola seduta.
Niente da fare: la tosse aumentava.
Chiamai mia madre in preda al panico.
Lei le si accostò subito. Notando le condizioni della nonna, gli occhi le divennero subito lucidi.
Fu una scena straziante. La tosse scemò in un rantolo sommesso. Piccoli spasmi le attraversarono il corpo e lo sguardo le si velò.
Mia madre era in singhiozzi. Lacrime bollenti, più grandi di quanto pensavo fosse possibile, mi solcarono le guance quando il corpo della nonna si rilassò completamente. Gli occhi vacui.
Se n'era andata.
Mia madre le abbassò le palpebre con i polpastrelli e io l'abbracciai. Restammo così per un bel po' quando mi ricordai delle sue ultime parole.
"Mamma, la nonna mi aveva parlato prima di..." mi si ruppe la voce e ci misi un po' per riuscire a continuare "mi aveva avvertito riguardo una sua visione. Mi ha detto di scappare il prima possibile. Non so per quale motivo, eppure ho una brutta senzazione al riguardo. Abbiamo già perso molto tempo."
Mia madre distolse lo sguardo da me.
"Non-non posso abbandonarla. Lei è..." non fu in grado di continuare.
"Mamma ti prego, ho paura. Dobbiamo nasconderci" era ciò che mi urlava ogni fibra del mio corpo "se non succede niente torneremo da lei te lo prometto..."
"NO. Non la lascio!"
Non ebbi il tempo di ribattere perché un colpo assordante fece vibrare la porta d'ingresso.
Due uomini alti e massicci impedivano alla luce del sole di filtrare attraverso l'apertura. La prima cosa che notai fu ciò che avevano in mano. Non le avevo mai viste, ma ne avevo sentito parlare. Pistole.
Mia madre mi prese in braccio, decisa a proteggere i pochi che le erano rimasti.
In quel momento, Eliah entrò dalla porticina sul retro. Il sorriso soddisfatto, per averci procurato un cesto di funghi ed un secchio d'acqua, svanì lentamente dal suo viso.
I suoi occhi vagarono dal colore bluastro che aveva assunto il corpo della nonna a gli uomini in nero con le armi letali.
Il pavimento accolse con un tonfo il cestino di funghi, mentre mio fratello correva verso di noi.
L'acqua, si depositò come uno strato di cristallo sul pavimento di legno.
Mia madre sembrava terrorizzata. Accolse con un gemito l'arrivo di Eliah e mi lasciò a terra.
Attraverso i caschi neri non si vedevano i visi di coloro che poi capii essere soldati, perciò non vidi muoversi le loro labbra.
Quando uno di loro parlò cacciai un urlo.
Sarebbe stato meglio se non l'avessi fatto, iniziarono a innervosirsi, muovendosi a scatti.
L'uomo ricominciò a parlare. Non capivamo la loro lingua.
Nemmeno una parola.
Il soldato ripetette la stessa frase tre volte. Da come pronunciava l'ultima parola sembrava essere una domanda. Il secondo uomo si spazientì e disse qualcosa.
Mia madre tremò forte mentre il secondo soldato, perdendo la pazienza, iniziò ad urlare.
Indicava l'uscita della capanna con gesti del fucile.
Si avvicinò e mi paralizzai dal terrore. Mia madre fu più pronta. Mi afferrò per un braccio e ci trascinò verso l'uscita.
I soldati non parvero apprezzarlo. Ci vennero incontro.
Ad un certo punto non li vidi più. Mia madre ci aveva fatto scudo con il suo corpo. Da dietro la schiena spingeva me e mio fratello fuori da casa.
I soldati non se ne accorsero.
Avevano occhi solo per lei.
Strinsi la mano di mia madre cercando di trascinarla via con noi, ma con uno strattone si liberò.
In un sussurro udibile solo a me ed Eliah disse: "Bambini miei, miei Jewels, la mamma starà bene. Voi però dovete fare una cosa per me: andate via, il più lontano possibile. Il villaggio non è più un posto sicuro. Andate verso la foresta. Mamma vi raggiungerà presto. Aiutatevi a vicenda e non separatevi mai. Avete capito? Andate via."
Cercai di protestare "Ti prego, vieni con noi ora. Non ti voglio lasciare con loro."
"Starò bene, ve lo prometto. Qualunque cosa accada."
Eliah tentò di protestare "Ma mamma..." si interruppe.
I soldati ci avevano sentiti parlare, ma non capivano la nostra lingua.
Si arrabbiarono.
Uno di loro, attraverso la barriera che ci offriva il corpo di mia madre, puntò la grande arma contro mio fratello.
La mamma lo vide e con un grugnito gli si parò davanti.
"SCAPPATE!" urlò, spingendoci definitivamente fuori dalla porta.
I soldati non gradirono.
Tentarono di raggiungerci, ma mia madre ingaggiò una lotta contro di loro.
Io ero come paralizzata, non riuscivo a distogliere gli occhi dalla scena.
Improvvisamente si sentì un rombo assordante. Vidi la sorpresa sul viso di mia madre, che subito dopo si contorse in un espressione di intenso dolore.
Si teneva un fianco, all'altezza del fegato. Da lì il sangue sgorgava copioso.
Urlai il suo nome con tutto il fiato che avevo in gola.
Lei si girò verso di me.
I suoi occhi sembravano supplicarmi.
Un attimo prima di velarsi.
Dentro di me si ruppe qualcosa.
Rividi per un attimo il suo sguardo implorante e questo mi riscosse.
Tenendo Eliah per un braccio mi misi a correre il più veloce possibile. Le lacrime mi inondavano il viso e mi impedivano di vedere chiaramente, ma proseguii dritto.
Correvamo a stenti sul terreno scosceso.
Eravamo troppo lenti. I soldati ci raggiunsero velocemente.
Mentre erano ad un metro da noi, urlai: una fitta mai provata mi paralizzò la schiena.
Spalancai gli occhi mentre il dolore si intensificava. Tutti sembravano confusi, ma mai come me. Lo fui ancora di più quando la fitta sparì, senza preavviso, com'era arrivata.
Senza darmi tempo di fare altro, una tempesta di rabbia infuriò dentro di me.
L'aria vibrava forte tutta intorno a noi.
Ad un certo punto sembrò solidificarsi.
Il vento più forte che avessi mai visto si abbattè contro i soldati, solo su di loro.  Proprio come volevo che accadesse.
Li scaraventò in aria. Uno di loro trovò la morte sbattendo su un albero e spezzandosi l'osso del collo. Il secondo sfondò una delle capanne più grandi, che gli franò addosso, l'unica cosa che potevamo ancora scorgere di lui era una gamba insanguinata.
Una senzazione di potere e vendetta appagata si propagò dentro di me come un uragano.
Con mia immensa sorpresa quest'ultimo si manifestò davvero e avvolse me ed Eliah.
Eravamo nell'occhio del ciclone.
Non era un uragano normale: partiva da terra e si formava dolcemente attorno a me e mio fratello. Mi rimaneva solamente lui.
Strinsi Eliah in un abbraccio e gli dissi che era al sicuro, mentre il piccolo ciclone ci sollevava da terra, sempre più su.
Il mio gemello non sembrava troppo spaventato, era forte. Lo shock che provavamo entrambi era immenso, ma non era il caso di pensarci in un momento come quello.
Dovevo concentrarmi solamente sul dirigere l'aria.
Poiché fu questa la consapevolezza che mi pervase: ero io ad aver creato il vento, ero io ad aver prodotto l'uragano ed ero sempre io a comandarlo.
Seguendo il mio volere iniziò a spostarsi, trascinandoci via dal villaggio. Lontano.
Potevo vedere la nostra capanna allontanarsi, mentre attraversavamo i confini del posto in cui eravamo nati. Mia madre e mia nonna erano lì, morte. Averne la consapevolezza fu come perderle un'altra volta. Non volevo allontanarmi da loro, eppure mia madre aveva ragione, il villaggio non era più un posto sicuro. Prima che sparì dalla nostra vista notai un oggetto singolare nel cielo. Sembrava una grossa casa volante. Un rumore di esplosioni si avvertiva appena, ma ormai eravamo lontani.
La foresta si stendeva sotto di noi, scorrendo velocemente.
Dopo qualche minuto, però, le mie forze vennero meno. Una stanchezza disarmante mi assalì e dovetti dirigere il ciclone verso terra. Ad un metro dal suolo tutte le mie forze vennero meno.
Mio fratello urlò il mio nome, mentre il mondo si oscurava e si riempiva di punti lampeggianti.
Sentii la caduta.
Poi il buio.
Svenni.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 10, 2020 ⏰

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