Sophie

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Ormai sono una quindicenne e sono passati 10 anni da quello strano giorno.
Effettivamente "strano" è un eufemismo: la gente ha usato termini ben peggiori per definirmi.
Quando si risvegliò, Jesse non credette alla mia versione della storia. Pensò anzi che fossi una pazza pericolosa e che si fosse salvata solo per miracolo. Dopo tali affermazioni non la vidi mai più.
Prima di andarsene con la sua famiglia in Irlanda, però, pensò bene di diffondere ciò che le avevo raccontato su un ipotetico dominio della terra, enfatizzando particolarmente la "totale assenza di sanità mentale".
Per un po' i ragazzi hanno iniziato ad indicarmi per strada, ad insultarmi, ad evitarmi e a cosiderarmi ridicola e instabile. Ci stetti molto male... furono anni bui per me.
I miei ricordi a proposito di ciò che accadde quel giorno sono molto nitidi, ma nonostante questo, da allora non mi successe più niente di eccezionale.
Eccetto forse per qualcosa di gradito e inaspettato: la volpe che seguimmo io e la piccola traditrice, da quel giorno, iniziò a gironzolare allegra nei pressi della mia villetta.
È ancora con me, da amica fedele. L'ho chiamata Rosie.

Una volta accertatisi che non ci fosse nulla di eccezionale o di compromettente in me, la gente smise di parlarmi alle spalle e di torturarmi riportando a galla la storia.
Con il passare di un altro paio d'anni sembrarono dimenticare o comunque perdere interesse in me.
Con mio enorme sollievo la mia vita continuò piuttosto regolarmente.
Adesso frequento un istituto superiore nei pressi di casa mia.
Indirizzo scientifico. Ho sempre amato la biologia, insieme alla chimica sono due delle materie che più mi affascinano. Studiarle mi ha sempre fatta sentire più vicina alla natura, alla vita di tutti gli esseri.
Seguo tutte le lezioni con molto trasporto, eccetto forse per Fisica: è una materia molto metodica e schematica, mentre io mi sono sempre sentita, come dire, fuori dagli schemi.

Oggi è il 5 maggio e nel campo sportivo della città si svolge la gara finale dei 200 metri di atletica.
Ho sempre amato correre e fare sport, sono due delle cose che mi fanno sentire veramente libera in un mondo che non sento appartenermi del tutto.
Sugli spalti la gente è emozionata: la maggior parte dei ragazzi della Mellville high scool, la scuola che frequento, hanno occupato il campo sportivo.
Si sentono esclamazioni di ogni genere. Urla di tifo si mischiano ad urla di scherno e comprenderle tutte è quasi impossibile.
Immaginare a chi è rivolta la maggior parte del favore tra il pubblico, però, non è difficile.
Garen Bills, il ragazzo più popolare della scuola attira tutte le incitazioni di coloro che definisce "amici" e che a parere mio e di Cloe, la mia migliore amica, stanno accanto a lui solo per giovare della sua fama. Per non parlare degli incredibili squittii acuti e spudorati delle ochette che gli vanno dietro, ovvero quasi tutte quelle di primo e gran parte di quelle degli altri anni. Il chiasso è quasi insopportabile.
Gli altri due finalisti hanno gruppi di incitazione quasi insignificanti rispetto a quelli di Garen.
Tyler Oadey sembra a suo agio sotto gli occhi di tutti, quasi disinteressato, ma il suo sguardo arde di voglia di competizione.
Il più gracile tra i finalisti, entrambi atletici e muscolosi è Timoty Spells le cui mani sudate e il colorito pallido tradiscono il suo malcelato disagio.
È l'ultima gara della giornata: le corse maschili, quelle femminili si sono tentute in mattinata e, con mio grande orgoglio, sono riuscita ad arrivare seconda: Olivia Rockwell è un'avversaria davvero imbattibile.
Il fischio di inizio echeggia tra gli spalti.
I primi cento metri rispettano le previsioni e gran parte delle scommesse altrui: Garen è primo, Tyler si è guadagnato la seconda posizione mentre Timoty è ultimo.
Improvvisamente, però, verso i 130 metri, succede qualcosa di inaspettato: Tyler viene colto da un crampo e cade a terra dolorante, stringendosi la gamba sinistra.
Un medico corre ansante verso di lui pronto a visitarlo e soccorrerlo.
Gli altri due proseguono la loro gara, senza esitazioni.
Mancano venti metri al traguardo.
Timoty tenta uno scatto e guadagna terreno, ma Garen è troppo avanti, inarrestabile.
Un incontrollabile misto d'ira e fastidio mi si mescolano dentro.
Con repentina violenza avverto una fitta alla mano destra. Termina subito, seguita da un piacevole torpore. Inebriante.
Come assecondando i miei pensieri una piccola zolla di terra si alza ai piedi di Garen, che ormai è a due metri dal traguardo.
Il malcapitato la vede, i suoi occhi si spalancano. Sembra nuotare nell'aria mentre tenta di frenarsi per mantenere l'equilibrio.
Troppo tardi.
La prende in pieno, finendo faccia a terra.
Timoty non si lascia sfuggire l'occasione.
Con un ultimo slancio si getta verso il traguardo, oltrepassandolo trionfante. Solo adesso, mentre mi preparo ad esultare con lui, mi accorgo della mia mano alzata, in direzione della zolla.
Mi guardo intorno, confusa. "E se fossi stata io?" mi ritrovo a pensare, in preda ad un crescente senso di colpa "Impossibile...decisamente impossibile".
Il panico mi assale "Se mi avesse vista qualcuno?"
"No, Sophie, sai che non puoi essere stata tu, non di nuovo. È solo una stupida coincidenza".
In parte tranquillizzata mi volto per chiedere a Cloe di andare via.
La vista della mia amica mi gela le viscere.
Mi sta fissando con un misto di curiosità e, cosa può essere quel bagliore nei suoi occhi? Ci metto un po' a capire che Cloe mi sta guardando con ammirato terrore. Lo stesso sguardo che si rivolge ad un maestoso e bellissimo leone prima che questo ti azzanni.

Sono stata io, di nuovo... Sono stata io, di nuovo?

Un pensiero irrazionale e terribile mi occupa irriverente la mente. Entro in panico e non riesco a evitarlo.
Il mio campo visivo è oscurato da un'ombra e per un po' non sono in grado di vedere nulla.
Cerco a tentoni la base degli spalti e indreteggio in preda a singhiozzi che non posso affatto reprimere.
"Si sta per ripetere tutto, perderò anche Cloe"
Il solo pensiero mi terrorizza: non voglio che risucceda. 'Non voglio rivivere quell'orrore'
Non riesco a capacitarmene.
Scappo il più veloce possibile. Sono finalmente lontana dagli spalti, rifugiata nella radura vicina.
Scossa da sussulti inciampo su una pietra.
Cerco di riacquistare l'equilibrio, ma riesco solo a sbilanciarmi pericolosamente all'indietro.
Una fitta intensa e lancinante mi percorre la spina dorsale. Cado in un cespuglio di rose.
Le spine mi lacerano la pelle mentre mi divincolo, in preda al panico.
Chiamo aiuto, ma nessuno può sentirmi.
Il dolore mi toglie il fiato. Boccheggio in cerca d'aria e la fitta di dissolve in un pacato torpore.
Mi concedo mezzo minuto di pausa nonostante sia sdraiata supina in un rovo.
L'incubo non è finito: una sensazione inquietante affiora dentro di me "sto sprofondando".
Effettivamente è proprio così, il cespuglio e il terreno sembrano risucchiare il mio corpo con inquietante velocità. Scivolo sempre più giù, incapace di liberarmi, incapace anche solo di muovere un muscolo.
"Sto per morire".
La mia discesa si interrompe. E per un buon motivo.
Come una coperta, la terra mi avvolge.
Completamente.

F.A.T.A.L.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora