CAPITOLO III - My songs know what you did in the dark

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Il mattino seguente, il vento correva veloce tra i rami quasi del tutto spogli degli alberi dell'allegra città di Lucca. Il periodo fine ottobre – inizio novembre era quello più strano e spensierato di tutto l'anno, per gli abitanti della città ed i suoi visitatori. Diventava, per circa una settimana, un'isola felice in mezzo ad un mare di disperazione ed angoscia italiana. Si poteva assistere ad un'amichevole chiacchierata tra un Mangiamorte e Jon Snow; Deadpool che magari correva di qua e di là mettendo in atto i suoi scherzi più bastardi; personaggi di manga potevano prendere un caffé assieme a fate e cavalieri di qualche videogioco. Nessuno prendeva per matti tutti quei ragazzi e tutti si divertivano. Anche Catherine e Silvia.
«Uh, guarda!» continuava ad esclamare Silvia, come se non fosse mai stata ad un evento simile a quello. «C'è Harley Quinn! E quello è Ash Williams! Ommioddio, lo Stregatto!»
«Calmati, sis» sorrise Catherine. «Ricorda che siamo qui per comprare code di rospi e cuori di conigli!»
Ecco, ora... Dire una cosa del genere in mezzo ad un gruppo di gente che ama autodefinirsi normale porta ad occhiatacce e borbottii; tuttavia, le due cacciatrici erano contornate da cosplayer da tutta Italia, matti quasi quanto loro due: non correvano alcun rischio.
«Non dobbiamo prendere quelle schifezze» rise Silvia, ammirando un magnifico trio composto da Loki, Thor e Nick Fury.
«Non è che cambi molto, lo sai? È comunque roba da streghe.» Improvvisamente, Catherine tornò seria e diversa, strana e Silvia, per questo, si fermò.
Attorno a loro, la gente rideva e continuava per la sua strada come se nulla fosse perché, ovviamente, non poteva sapere cosa stesse succedendo alle due ragazze.
«Si può sapere cos'hai?» chiese Silvia. Catherine fissava il cielo con occhi assenti. Amava sempre studiare i luoghi attorno a sé, ma ora lo stava facendo in modo inquietante. «È da quando siamo partite che hai dei momenti da... Da doppia personalità. Mi metti paura.»
Catherine sospirò. «Lo so.» Continuò a fissare le candide nuvole finché una folata di vento gelido non la fece rabbrividire. Gli occhi le guizzarono dunque verso il basso; vide gli alberi e le persone che, felici, si dirigevano verso il centro della città. Si voltò ed incontrò gli occhi preoccupati di Silvia. «Scusami» sussurrò senza far trasparire alcuna emozione. «A volte, non so che mi prende.»
Silvia non esitò un attimo di più. Pose la sua mano destra sul cuore dell'amica e pronunciò un incantesimo. Parole in latino che ella stessa, mesi prima, faticò a memorizzare poiché non pensava le sarebbero tornate utili.
«Ehi, ma che fai?» cercò di divincolarsi Catherine, ma non fece in tempo: l'incantesimo di Silvia riuscì ad anticipare le sue mosse: gli occhi di Catherine sembrarono risvegliarsi da un incubo, si ingigantirono e ritornarono a splendere. D'istinto, abbracciò l'amica. «Sis!» Quel nomignolo uscì con voce fievole dalla sua bocca increspata. «Cosa mi sta succedendo?!» chiese, stringendo ancora di più Silvia a sé, come se avesse paura di perdersi.
«Nulla, Cathy! Nulla...» la rassicurò l'altra. «Finché ci sarò io, non ti accadrà nulla.»
Catherine si umettò le labbra e fece un lungo respiro prima di lasciare l'amica. Bugiarda, avebbe voluto dirle: ogni giorno correvano innumerevoli rischi; tuttavia le chiese quale incantesimo avesse lanciato.
«L'exorcizo malum» rispose Silvia. «Sembrava che qualcosa di malefico fosse penetrato nel tuo cuore» spiegò meglio. «Così l'ho esorcizzato.»
«Tornerà?»
Silvia si guardò prima attorno e poi, mordendosi il labbro inferiore, gettò gli occhi sui suoi anfibi neri e scricchiolanti. «Non so nemmeno cosa fosse, a dire il vero.» All'improvviso, Silvia avvertì un fischio all'orecchio, acuto e penetrante, esattamente come quello sentito da Dean quando Castiel cercò di parlargli per la prima volta dopo averlo salvato dall'Inferno. Pensò che stesse diventando sorda, se l'aspettava da un momento all'altro, mentre tentava di tenere tappate le orecchie con entrambe le mani. Pronunciò anche qualche incantesimo, sottovoce, ma fu inutile: il fischio non si fermava, anzi, sembrava aumentare d'intensità. Silvia desiderò di svenire, almeno avrebbe smesso di sentire quel fischio assordante e di soffrire nel vedere Catherine andare nel panico. Aveva le lacrime agli occhi dal dolore alla testa, ma riuscì ad intravedere Catherine. Qualcosa in lei la incuriosì: aveva dei movimenti lentissimi, tanto da sembrare quasi immobile, ad un certo punto. Fu lì che il fischio cessò di tormentarla e tutto riprese a scorrere normalmente.
«Silvia!» esclamò Catherine disperata.
La riccia tremava per lo spavento, si sentiva ondeggiare come in balia delle onde e fissava un negozio alla sue destra. «Lì!» disse indicando il negozio. «È lì che dobbiamo entrare!»
«Sì, ma cosa diamine ti è successo?!»
Silvia ansimava ancora. Nessuno, stranamente, si era accorto di nulla, forse perché troppo presi dall'immedesimarsi col personaggio che intendevano interpretare per un giorno. «Ho sentito che la magia è cambiata...» sussurrò. «È cambiata ed è anche in pericolo.»
«P-pericolo?» chiese Catherine, sconvolta che ci fosse qualcosa più potente della magia che potesse mettere in pericolo quest'ultima.
Senza aggiungere altro, Silvia prese Catherine per la manica della sua giacca e la trascinò fino all'entrata del negozio, il quale, all'apparenza, poteva essere scambiato per un'innoqua bottega in cui acquistare erbe, infusi e candele profumate dalle forme più bizzarre. Anzi: sembrava che Catherine non riuscisse proprio a vedere il negozio, tanto che la maggiore pensò fosse sotto un'incantesimo di protezione. L'antica insegna recitava C'era una volta e nella vetrina erano esposte varie cianfrusaglie tra cui un acchiappasogni impolverato ed un libro rilegato in pelle.
Silvia non lasciò andare il braccio di Catherine nemmeno una volta arrivate all'entrata. Per ella era tutto normale, ma per la piccola cacciatrice sembrava di andare a sbattere contro un muro. Quest'ultima cercò di riprendersi il braccio, di ribellarsi, ma Silvia la teneva molto stretta. Catherine cominciò a domandarsi da dove le uscisse tutta quella forza, ma proprio in quel momento ecco che il muro le sfiorava già la punta del naso e sentì immediatamente una sensazione orribile: le sembrò che qualcuno la stesse ricoprendo con uno strato di lattice nero, sottovuoto, le mancò il respiro, per un attimo non vide più nulla, e dove la stava portando, perché, panico, aiuto non respiro cosa sta succedendo?!
Poi Catherine si trovò all'interno del negozio.
Silvia la lasciò andare, ma i suoi occhi non cercavano nulla al di fuori di ciò che voleva trovare; al contrario, Catherine osservava, dopo essersi ripresa, cosa aveva attorno. Il locale era sufficientemente grande, tuttavia l'organizzazione lasciava un po' desiderare. Pile di libri, identici a quello esposto in vetrina, erano sparsi un po' ovunque. Una cinquantina di acchiappasogni erano appesi per tutta la superficie del soffitto ed erano stati appena smossi dalla lieve folata di vento che aveva accompagnato l'entrata delle due cacciatrici. Sotto di essi e a pochi passi da Silvia lo spazio era parzialmente occupato da oggetti senza nome e da un bancone di legno marcio, un pezzo d'antiquariato lasciato lì a morire.
«Regina?» chiese una voce stridula e femminile. Non era molto lontana, proveniva da dietro il bancone; difatti Silvia riuscì ad intravedere una sagoma tremante al di là della tendina che divideva il negozio dal suo retro, così le rispose per rassicurarla:
«No. Mi chiamo Silvia.»
«Oh, grazie al cielo!» disse la voce ora più serena. Una manina tirò indietro la tenda e una donna sui sessant'anni oltrepassò la soglia. Ella indossava una lunga tunica di cotone lilla, forse un po' troppo fresca per quel periodo dell'anno, sotto ad un poncho di chiffon bianco. I capelli raccolti in un'elegantissima crocchia erano argentati mentre la sua pelle era di un magnifico color cioccolato, morbida e ben curata. E gli occhi? Verdi come pochi, sembravano due smeraldi strappati alla Madre Terra ed incastonati in quel viso ipnotizzante. Non aveva alcun filo di trucco, ma era agghindata ben bene con bracciali, anelli e raffinate collane d'oro. A catturare l'attenzione delle due ragazze, poi, fu un piccolo tatuaggio sul polso sinistro della signora.
«Ma quello è...» balbettò Catherine indicando il tatuaggio. «Ce l'abbiamo anche noi, ma come ciondolo!» Ed entrambe le ragazze tirarono fuori dal collo delle magliette il loro ciondolo anti possessione.
La signora sorrise. «Ragazze, fareste meglio a tatuarvelo o così rischiate di farvelo strappare dal collo.»
«E lei rischia di farsi bruciare mezzo braccio» controbatté Silvia.
«Sì, ma almeno son sicura di non perderlo» disse dunque la negoziante.
Catherine e Silvia si scambiarono un'occhiata e i loro occhi sembravano dire l'una all'altra: Non ha tutti i torti! Poi Silvia si ricordò della prima cosa che la signora disse quando loro erano entrate nel suo negozio:
«Mi scusi, ma potrebbe dirci chi è Regina?» chiese, curiosa, la maggiore.
«Regina...» farfugliò la donna. «Regina è una strega molto potente. È buona, per l'amor del cielo, adesso sì, ma...»
«Ma...?» fece eco Catherine vedendo la donna incerta sul da farsi.
«Be'... Regina ha una specie di gemella malvagia, la Regina Cattiva. È stata proprio lei a mettere in pericolo la magia, poco fa!» spiegò la signora.
«Allora è vero» esclamò sussurrando la piccola Catherine. Era più spaventata che mai: tutte le paure che aveva provato fino a quel momento non erano nulla, messe a confronto. Ma doveva tenere duro, per il bene di tutti.
«Sì, purtroppo. Vorrei dirvi che non è così, ma la magia è cambiata. Prima questo luogo era conosciuto come La Terra Senza Magia. Solo quelli con particolari abilità potevano farne uso, come ad esempio me o voi due.» La negoziante tormentò un anello d'oro facendolo girare attorno al suo dito sottile e affusolato. «Con il suo ultimo gesto, la Regina Cattiva ha cambiato le leggi della magia, espandendola a tutti i Regni, in tutte le Terre, mettendola così in pericolo. Così come le nostre vite e l'intero Creato. E tutto questo perché avete dato il via ad un effetto domino inarrestabile.»
Catherine e Silvia rimasero scandalizzate. «Credevo che fosse dei nostri!» esclamò la prima mentre la seconda cercava di capire cos'avessero fatto di tanto sbagliato.
«So chi siete e di certo sono dalla vostra parte» si difese la negoziante. «Ma avete commesso un grave errore, aiutando quell'Arcangelo.»
Silvia capì. «Ma Gabriele non meritava di morire!» le disse Silvia, quasi urlando.
«No, certo che no, ma avete fatto varcare i confini della realtà da voi conosciuta all'uomo con la cabina blu e avete disturbato l'ordine cosmico!»
«I-il Dottore?» chiese Silvia.
«Il Dottore non è umano!» precisò Catherine. «E poi lo ha fatto, lo abbiamo fatto per una giusta causa. Non sapevamo che ci sarebbe stata una conseguenza simile.»
«Questo perché voi cacciatori non ragionate mai prima di agire. Prima sparate e poi fate le domande» disse seriamente la donna. «Ma oramai è fatta e non c'è modo di tornare indietro.»
«Potremmo sempre sistemare le cose!» propose Catherine con vigore e speranza e Silvia la seguì come sempre:
«Esatto!» esclamò anch'essa piena di positività. «Ci dica solo cosa sta succedendo esattamente e faremo tutto il possibile per porre rimedio!»
La signora congiunse le mani e sospirò. «Qualcosa di oscuro sta arrivando e vi servirà molta, molta magia, per sconfiggerla. E, per trovarla, dovrete chiedere aiuto a colei che scrive di voi.»
Passò qualche istante di silenzio, pausa durante la quale Silvia continuò a sbattere le palpebre cercando di capirci qualcosa. Immediatamente dopo Catherine tirò una leggera manata sullo stomaco di Silvia. «Marra!» esclamò con gli occhi sbarrati. Notando l'espressione confusa della sua amica, la piccola cacciatrice si spiegò meglio: «Il Dottore ci aveva parlato di questa ragazza, Marra, che aveva scritto delle storie su di noi, ricordi?»
Silvia rifletté qualche secondo, tormentandosi i ricci disperati, poi assottigliò gli occhi e le tornarono in mente le parole dell'alieno. «Ma è di un'altra dimensione; non possiamo raggiungerla se non col TARDIS!» esclamò e sentì la negoziante sogghignare. La cacciatrice la squadrò, insospettita, e così anche Catherine. «Lei...» disse la maggiore puntandole un dito contro. «Lei sa come farci arrivare alla scrittrice.»
«Diciamo di sì» rispose la negoziante sempre sorridendo. «Sulla vostra strada incontrerete un giovane di nome Theck. Sarà lui a dirvi cosa fare.»
Silvia non aveva mai sentito parlare di questo Theck, ma dal nome le sembrava rassicurante. «Okay, perfetto, e Theck sia!» esclamò sorridendo. Finalmente una gioia! «Ma prima dovremmo occuparci di quel cagnolone che vaga per la città.»
«Oh, sì, certo! Quasi dimenticavo che eravate venute fin qui per il Chupacabra!» esclamò la negoziante. «Sono più che sicura che troverete qualcosa appartenente ad esso nella vostra macchina» aggiunse facendo l'occhiolino mentre le due ragazze la guardavano shockate: come faceva a sapere che erano state attaccate da quella creatura?
La signora sorrise e prese da un cassetto del bancone una collana. Il cordoncino era fatto di semplice e rudimentale spago, ma il ciondolo non gli si accoppiava affatto: era un cristallo lungo sì e no quattro centimetri e di un delicato color rosa. «Tenete. Sapete come funziona?»
Silvia prese fiato, senza staccare gli occhi di dosso alla signora. «G-grazie, sì, è... L'ho già usato» disse un po' pensierosa. «Quanto le dobbiamo?» chiese e ripose, nel frattempo, il cristallo nella tasca dei suoi jeans.
In quel momento il cellulare di Catherine squillò. «È mia madre» disse preoccupata. Silvia si girò verso di lei, perdendo così il contatto visivo con la negoziante. Le disse di rispondere pure e che avrebbe pensato lei ad un fotomontaggio se ce ne fosse stato il bisogno; quando poi Silvia si voltò nuovamente nella direzione del bancone... la signora era sparita. Ed il cellulare di Catherine aveva smesso di squillare.
«Ma cosa...?» si chiese Silvia. «Signora?» chiamò incredula; si alzò sulle punte dei piedi e si assicurò che ella non fosse caduta o svenuta dall'altra parte del bancone, ma non c'era traccia di lei. Nel mentre, Catherine si era diretta verso la soglia che portava al retro del negozio; scostò la tenda e si guardò attorno, ma sembrava non essere nemmeno lì.
«Comincio a pensare che forse dovremmo uscire di qui. Tipo subito» propose Silvia incamminandosi verso l'uscio e facendo segno a Catherine di seguirla alla svelta.
«Oh, sì, sì, sì! Ottima idea!» esclamò l'altra ed entrambe si precipitarono fuori, di nuovo in mezzo ai tanti cosplayer. Si fermarono dopo soli pochi passi all'esterno del negozio e si girarono per guardarlo, ma...
«È sparito! È sparito l'intero negozio!» esclamò Silvia incredula e con gli occhi che rischiavano di uscirle dalle orbite. Attorno a loro, le due cacciatrici potevano percepirle: le persone cominciavano a guardarle male. Ma Silvia non se ne preoccupò: immerse fulminea la mano nella tasca dei jeans e si accertò che il cristallo fosse ancora al suo posto. Vi era ancora, per fortuna. «Va bene, il pendolo è qui.»
«Sarà stata quella Regina Cattiva di cui parlava la negoziante?» sussurrò Catherine.
Silvia si schiarì la voce. «Penso proprio di sì, poveretta» disse alludendo alla signora che le aveva appena aiutate. «Ci ha rimesso la sua stessa vita e noi non sappiamo nemmeno quale fosse il suo nome.»
Quelle parole fecero gelare il sangue alla piccola Catherine. Una parte di lei ci aveva appena pensato, ma preferiva non dirlo ad alta voce: come spesso accadeva, Silvia la leggeva dentro. Una lacrima solcò una tenera guancia di Catherine, la quale prese Silvia per la manica della sua giacca di pelle nera e la trascinò via di lì, lontano dai guai.

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