Capitolo VIII - Galway Girl

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Silvia aveva lo stomaco capovolto, la pistola le stava scivolando dalle mani proprio come l'autocontrollo. Da piccola amava i labirinti e si scocciava se riusciva a trovarne il centro prima del previsto. Ma, con l'andare degli anni, era sopraggiunta l'antica fobia dell'essere legati, imprigionati, sepolti vivi ed essere fisicamente in un labirinto era straziante. Sentiva le mani di Catherine sulle spalle, vedeva lo scintillio del serramanico infilato alla bell'e meglio nella tasca anteriore dei suoi jeans. Stava tentando di calmarla, ma a Silvia si stava pian piano annebbiando la vista. Il cuore alla gola. Il fiato corto. Le gambe molli. La pistola cadde ed un corvo s'alzò in volo mentre il portone dell'entrata si richiudeva con un pesante tonfo.

«Signore! Signore!» urlò il corvo una volta sopraggiunto alla caverna del suo padrone. «Signore, sono arrivate!»
«Smettila di strillare, corvaccio!» urlò il ragazzo e gli lanciò addosso uno stivale senza riuscire a centrarlo. Il ragazzo, un demone perennemente ubriaco, gli rivolse poi uno sguardo confuso. «Chi è che è arrivato?»
«Cra! Le due cacciatrici, signore!» Il corvo si stropicciò un po' le ali e svolazzò fino all'altro lato della caverna umida, buia e mezza spoglia. Ancora in volo, dette qualche beccata ad una pergamena appesa alla parete.
Il suo padrone gli si avvicinò, incredulo. «Non è possibile» disse più a se stesso che ad altri mentre il corvo gli si posava sulla spalla. «Fanno parte dei miei sogni, non possono essere qui! Loro...» Le parole gli morirono in gola.
«Signore, io glielo avevo detto che un giorno sarebbero arrivate!»
«Ma loro non esistono!» esclamò il demone. Disperato, si mise le mani nei capelli già arruffati, spaventando il corvo il quale volò per posarsi nuovamente a terra. Si lasciò cadere sul suo giaciglio di rami secchi e foglie morbide coperto da vecchi abiti rammendati assieme per formare un ampio lenzuolo. «Corvo, cosa sta succedendo?»
L'animale zampettò con aria severa. «Le due cacciatrici sono qui perché doveva succedere.»
«Ma come? Se non esistono, com'è possibile che siano arrivate qui
«Signore, sono di un'altra dimensione, ma la magia può fare grandi cose» spiegò il corvo.
Il demone prese in mano una bottiglia di liquore piena a metà e la svuotò in pochi sorsi. Passò qualche istante a guardarsi riflesso nel vetro della bottiglia. La tempesta, là fuori, era terminata e ora entrava qualche raggio di sole nella sua casa. «Sono qui per Arimane, vero?»
«È quello che la strega le ha detto, Signore»

«Silvia!» Catherine scosse ancora l'amica, questa volta un po' più forte. «Silvia!»
Finalmente, la maggiore aprì gli occhi. Intontita, chiese cosa fosse successo.
«Sei svenuta» le spiegò Catherine. «Ecco, tieni» le disse poi, porgendole la pistola. L'aiutò a rimettersi in piedi. «Come stai?»
«In piedi» rise Silvia. Accorgendosi della serietà di Catherine, annuì e aggiunse: «Meglio, ma siamo ancora in un labirinto quindi non troppo bene. Per caso hai dato un'occhiata in giro mentre ero KO?»
«Nope» rispose Catherine riparandosi gli occhi dalla luce del sole. «Questo posto sembra deserto, non penso correremo pericoli. Dobbiamo solo cercare il centro: magari è così che si torna indietro.»
Silvia impugnò meglio la pistola. «Sì, però meglio stare attente, okay?»
«Okay» disse l'altra riprendendo il serramanico in mano.
Camminarono per minuti interminabili, tanto che il sole disegnò il suo arco nel cielo: mancava poco al tramonto.
«Mi brontola lo stomaco, Cathy» mugugnò Silvia. «Dannazione.»
«Scommetto che ci siamo già passate di qua.» Catherine stava guardando un femore dall'aria familiare. «Solo che eravamo dirette dalla parte opposta.»
«Dannazione!» esclamò l'altra. «Non ce la faccio più! Ho fame! E qui vedo solo muri con disegnate sopra torte, panini e arrosti!»
Catherine si accigliò. «Come, scusa?»
«Eddai, non dirmi che non ti fanno venire fame...»
«No, è che...» Catherine indicò il femore che stava guardando prima ed esso era ancora là, sempre familiare e sempre a forma di osso. «Davvero tu vedi del cibo su queste pareti?»
«Dipinte, sì. Non so se sono affreschi o cosa, ma sì: vedo del cibo e questo mi fa imbestialire a liveli ipergalattici!» esclamò Silvia.
«Sis» rise Catherine. «Qui ci sono solo ossa.»
«No.» Silvia pareva confusa. «No, ti sbagli, Cathy.»
«Non è che ti sbagli tu?»
«Non sbaglia nessuna delle due!» disse una voce maschile gracchiante. Si sentì un battito d'ali ed ecco che la voce assunse forma fisica: da dietro la parete del labirinto, alta circa due metri e mezzo, spuntò un bellissimo corvo dal piumaggio brillante e sano. «Cra!» urlò il volatile posandosi sul bordo della parete.
«Ma che...?»
«Non può aver parlato quel corvo, dai» sorrise Silvia.
«Cra! E invece sì, cacciatrici!»
Silvia lo fissò ad occhi spalancati. «Sono ancora a terra svenuta, sì sì.»
«Ci hai chiamate cacciatrici?!»
«Sì, piccola Catherine! Cra!»
Silvia indietreggiò impaurita, ma Catherine sembrava divertita ed incuriosita.
«Come sai il mio nome e che siamo cacciatrici?»
«Sis!» sibilò Silvia rimproverandola.
«La tua amica ha ragione, piccola Catherine: non dovresti prendere così tanta confidenza con un animale parlante come me! Cra!» Il corvo beccò il bordo della parete e sistemò il piumaggio sbatacchiando un po' le ali. «Ma credo di essere l'unico che può aiutarvi a trovare il centro del labirinto e ad uscire da qui, quindi se volete seguirmi...» Senza minimamente aspettare una risposta, il corvo prese il volo e si diresse verso la caverna del suo padrone.
Prima Catherine poi Silvia, le due ragazze lo seguirono. Non si fidavano appieno, ecco perché tenevano ben strette le loro armi in caso di necessità. Non lo persero di vista fino a che l'animale non si tuffò in una fitta tenda di edera smossa appena dal passaggio del corvo stesso.
«Vado io per prima» disse Silvia, serissima come mai. E così fece: puntò avanti a sé la sua pistola e si fece spazio tra le foglie. La prima cosa che vide fu un uomo sdraiato su di un materasso malconcio, pareti gocciolanti ed il corvo appollaiato sul ginocchio tirato leggermente su del ragazzo.
«Fa' entrare anche Catherine. Non vi faremo del male. Cra!»
In quel momento entrò anche Catherine, la quale notò subito la pergamena appesa al muro. «Ma quelle siamo noi!» esclamò superando Silvia per guardare il foglio più da vicino.
«Questo è da vedere.» Il ragazzo, finalmente, si alzò, facendo scappare il corvo dal suo ginocchio. Egli si ripulì gli stracci malconci che gli facevano da abiti e sorrise appena, squadrandole con attenzione. «Mi serve una prova che voi» disse indicandole, «siate loro» finì indicando la pergamena. «Per prima cosa i nomi.»
«Io sono Silvia, lei è Catherine.»
«Detta anche...?»
«Cata. Cathy per chi è di famiglia» disse Catherine.
«Come avrebbero voluto chiamarvi i vostri genitori se foste nate dell'altro sesso?» chiese ancora il ragazzo.
Catherine fu la prima a rispondere: «Charlie.»
Silvia, invece, ci pensò su un attimo. Non ne avevano mai parlato, a dire la verità. «I miei aspettarono a pensare ai nomi finché non seppero che ero una femmina. Volevano chiamarmi Laura come mia nonna paterna, ma optarono per Silvia, così da non far ingelosire mia nonna materna, che si chiamava Maria.»
Theck assottigliò gli occhi e curvò la testa di lato, avvicinandosi a loro di qualche passo. Il corvo ai suoi piedi che faceva dei saltelli in segno di gioia. «Chi era Silvia per i tuoi genitori?» chiese diretto alla maggiore.
Silvia deglutì. «Un'amica. Non ho ricordi di lei.»
«Mhm, bene» disse, infine, il demone. «Ora passiamo alle cose difficili.»
«Del tipo?» s'incuriosì Catherine.
Il demone incrociò le braccia sul petto rivelando quei pochi muscoli che ancora aveva. «Il libro che nascondete nella vostra auto.»
Alle due ragazze si gelò il sangue nelle vene. Come faceva a saperlo? Non lo avevano neppure accennato, ne erano più che sicure. «C-cosa... Come...» balbettarono quasi all'unisono.
«La strega di Lucca.» Egli sorrise. «È stata la sua magia a crearlo per voi. Che lo apriate o no, quel libro scrive, man mano che la vivete, la vostra storia, ogni tanto anticipando qualcosina.»
«Ma come fai a sapere che il libro è arrivato fino a noi?»
«Come faceva il corvo a sapere i vostri nomi?» chiese lui di rimando. «Glieli ho detti io. E questo perché vi sogno ogni notte da quando ne ho memoria.» Si fece più scuro e serio. Barcollò verso una roccia dalla superficie piana, adibita a tavolino, e prese una bottiglia di liquore, forse l'ultima. Ne fece saltare il tappo e la stava facendo avvicinare alla bocca quando Silvia sparò un proiettile e la frantumò in mille pezzi. Il demone, con gli abiti inzuppati e con frammenti di vetro sui piedi nudi, estrasse la pallottola conficcata nella parete della sua casa poi la guardò sorridendo. «Lo sapevo non mi avresti creduto.»
«Infatti.»
«Sis» intervenne Catherine. «C'è una possibilità che dica la verità. Non abbiamo detto a nessuno del libro. È sempre rimasto nascosto con l'attrezzatura.»
«Esiste la magia, Cathy» disse Silvia; l'arma ancora puntata in direzione dello sconosciuto. In effetti, vi era ancora una cosa che non sapevano sul suo conto. «Non sappiamo nemmeno chi sia.»
«Mi presento» recitò il ragazzo con fare antico. «Sono una divinità ed il mio nome, signore, è Theck» concluse e poi si inchinò profondamente.
Silvia, che abbassò piano la pistola, rimase senza parole e così anche Catherine. Nell'aria si percepivano solo i loro respiri e l'inutile beccare a terra del corvo. «Theck, hai detto? Sei tu Theck? Allora la strega di Lucca la conoscevi veramente» sussurrò Catherine.
Gli occhi del demone si velarono di una tristezza fitta di ricordi vecchi di secoli. «Sì» rispose monocorde. «Secoli fa, noi demoni di Arimane potevamo stare a contatto con gli umani a patto che non creassimo alcun tipo di legame. Eravamo solo spettatori e potevamo creare solo un po' di scompiglio ogni tanto, senza esagerare.»
Silvia gli si avvicinò, ora meno tesa. «Tu quindi hai creato dei legami?»
Theck sussultò impercettibilmente. «I demoni che disobbediscono ad Arimane finiscono qui» disse allargando le braccia per indicare l'intero labirinto in cui erano. Dai suoi occhi color cioccolato stava per scendere una lacrima.
«In che senso hai disobbedito? Hai praticato magia assieme alla strega?»
«Maria. Si chiamava Maria» precisò Theck. «E no, non è perché ho praticato magia con lei... Cioè ho anche praticato magia con lei... Ma non solo...» Theck sorrise. «Non so se mi spiego.»
Catherine era confusa. «Io non ho capito, a dire il vero.»
«Cathy» rise Silvia. «Vuole dire che...» Gesticolò per cercare le parole giuste mentre nascondeva un sorriso imbarazzato. «Hanno avuto una relazione, okay?»
«Oh...» realizzò Catherine. «Oh. Ohhh... Okay, sì, ci sono, bene, perfetto, questa immagine non se ne andrà più dalla mia testa.»
«Una notte... Tanti anni fa» Theck vagò tra i ricordi accarezzando il viso di Maria col pensiero. «Quella notte a Galway fu magnifica, indimenticabile. Ma io fui punito subito dopo, davanti ai suoi occhi. Ho continuato a vederla solo tramite i miei sogni su di voi, quasi ogni notte, ed è stata una vera e propria tortura, vederla muoversi, parlare, sorridere e non poterla toccare.» Theck abbassò lo sguardo sulle mani. Solo in quel momento si accorse delle ferite provocate dai pezzi di vetro della bottiglia esplosa poco prima. Sangue caldo gli stava colando dall'arto fino a terra, in minuscole gocce; Silvia se ne accorse e si precipitò da lui per accertarsi che fossero solo tagli superficiali.
«Dammi la mano» gli ordinò la cacciatrice. Lei pose la mano del demone tra le sue e premette leggermente, sussurrando «sana». Subito dopo una luce dorata li investì ed ecco che la mano era guarita completamente.
«Sei una brava strega, Silvia.»
«Sistemeremo il nostro pasticcio, Theck» intervenne Catherine. «Per Maria.»
Theck lasciò finalmente andare le lacrime. «Per Maria!»

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