"Chi diavolo è lei?", domandai (probabilmente più stizzito che allarmato) alla vista di quell'ospite inatteso nella mia stanza d'albergo.
"Non c'è bisogno di diventare blasfemi", replicò questi con irritante placidità. "Mi chiamo Edwin Van Maller, e sono anch'io inglese – almeno da parte di madre –. Lavoro al Ministero come sovrintendente delle Antichità Egizie."
"Ah", feci io, "e a cosa devo la sua intrusione nella mia camera?"
"Le posso offrire da bere?", mi chiese a sua volta l'estraneo, senza degnare di risposta la mia domanda. Soltanto allora, devo ammettere, feci caso ai bicchieri e all'alcolico dal color dell'ambra che si trovavano sul tavolino.
"No, grazie, non bevo mai a quest'ora", spiegai, anche se in verità avevo declinato l'offerta di Van Maller in virtù della regola di non accettare alcunché, tantomeno bevande, dagli sconosciuti.
Il sovrintendente si servì da bere, senz'insistere nell'offrirmene un po'. "Vorrà dire, se lei mi permette, che brinderò da solo al nostro lieto incontro."
"Faccia pure", gli dissi prendendo posto di fronte a lui.
"Lei forse non mi conosce, ma io conosco lei", fece Van Maller, dopo aver assaporato un primo sorso del suo ambrato liquore. "E si dà il caso che la sua presenza qui in Francia si stia rivelando alquanto provvidenziale."
"Buono a sapersi. Ma 'provvidenziale' in che senso?"
"Non è lei quel David Whemple, egittologo, autore del libro su Medinet Habu uscito lo scorso anno (e che, devo dire, denota una piuttosto lacunosa conoscenza in materia)?"
"Come, prego?", domandai retoricamente, arrossendo d'indignazione per la critica negativa rivolta al mio lavoro – che ritengo, senz'ombra di falsa modestia, fra i meno surclassati in fatto di rilevanza accademica.
"Non me ne voglia", si giustificò il mio interlocutore, "la sua opera è comunque superiore a quella di molti altri che hanno le stesse, puerili pretese. Ma non è a questo che volevo arrivare. Di certo avrà sentito dell'incidente occorso la scorsa notte al Louvre."
"Superficialmente", risposi io laconico, invero ancora offeso dall'affermazione di prima. "So che un custode del museo, di nome Ardath Bey, è stato stroncato da un attacco di cuore mentre cercava di rubare la mummia."
"La ragione per la quale gliene sto parlando, professore", mi spiegò lui, lisciandosi i baffi all'insù, "è che la versione ufficiale di questa storia non mi quadra, non mi quadra affatto. Le autorità affermano che questo Ardath Bey, il guardiano trovato morto nell'Ala ovest fra i tesori egizi, sia riuscito a far penetrare nel museo alcuni suoi complici, ma che sùbito dopo sia stato colto da un malore letale proprio mentre era impegnato, assieme a queste altre persone di malaffare, a trafugare il prezioso corredo del sacerdote Pharmèsh. Tuttavia..."
"Tuttavia", lo interruppi, "nessun oggetto di valore è stato trafugato, eccetto la mummia del sacerdote, immagino. Ed è questo che non la convince: come mai – lei si chiederà – si sono presi il disturbo di prelevare una salma brutta e rinsecchita, quando nella sala si trovavano dei veri e propri tesori da far gola al mercato nero?"
Il sovrintendente estrasse dalla tasca un foglio di carta ripiegato in quattro. "Lei è alquanto perspicace, Whemple: ed è perciò che la mia scelta è ricaduta su di lei. Ma non c'è soltanto quello che lei, pur giustamente, ha asserito. Nessuna menzione, per esempio, né del fatto che questo Ardath Bey si sia inoculato una sostanza non identificata tramite una siringa – che gli è stata rinvenuta accanto –, né del fatto ch'egli abbia prelevato l'anello a forma di scarabeo del sacerdote Pharmèsh, il quale gli è stato trovato vicino (ed era ancora aperto, all'altezza delle ali del finto coleottero). Per non parlare, poi, della lettera che si trovava addosso al cadavere: i grafologi sono persuasi che sia stata scritta di suo pugno. La stampa non ha riferito alcun particolare come questi che le sto elencando. Si è preferito insabbiare tutto, ecco."
"Cosa contiene esattamente la lettera lasciata dal defunto?", m'informai, ma non sapevo neppure io fino a che punto lo volessi sapere per davvero.
"Soltanto io e pochi altri (fra cui lei, da questo preciso momento) ne siamo a conoscenza. È in francese: gliela traduco, nel caso in cui non abbia dimestichezza con la lingua."
Cosicché, traducendo simultaneamente, si mise a leggere per me il contenuto della misteriosa missiva a cui il presunto mago Ardath Bey aveva affidato le proprie memorie.
[continua]
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Esso cammina fra noi
Fiksi PenggemarVersione ridotta del primo dei tre racconti del mio libro "Grindhouse" (edito da Ivvi) https://www.ivvi.it/product/grindhouse/