La vera storia (pt. 5): Addio Eleonore

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Le premature morti dei nostri amici non ci avevano lasciato indifferenti: continuavamo ad avere allucinazioni, a sentire le voci dei nostri compagni, e ciò si alternava a crisi isteriche, urla improvvise e pianti inspiegabili e violenti. Nonostante ciò, si cercava di rimanere lucidi e di trovare un modo per uscire da quel posto infame e malvagio.
Decidemmo, dopo varie perlustrazioni infruttuose, di tornare al piano di sotto, per cercare altre vie d'uscita, magari prima sfuggite alla nostra ricerca.
Scendendo le scale, però, ecco di nuovo quella sensazione: la testa iniziò a girarmi, i contorni ed i colori si fecero sbiaditi e foschi, le voci divennero molto lontane ed il mio respiro accelerò notevolmente.
Guardando gli altri, mi accorsi di non essere il solo a non sentirmi bene. Samantha si portava le mani alla testa, mentre Eleonore barcollava.
Svenni.
Non so quanto tempo rimasi esanime.
Ma quando mi risvegliai la mia barba bionda, come d'altronde i miei capelli, era cresciuta.
Non portavo più gli stessi vestiti.
Ora erano neri.
Ah, sì.
Quasi dimenticavo.
Ero legato a polsi e caviglie ad un palo di legno verde.
Con delle strane manette di metallo viola, con strani spuntoni rossastri che rilasciavano un altrettanto strano e probabilmente tossico fumo giallo.
Alla mia sinistra c'era Samantha, nelle mie stesse condizioni.
Mi sorrise.
Io risposi al suo sorriso.
Provai ad avvicinarmi a lei. Una fitta lancinante di dolore alla caviglia destra mi fece rinunciare all'impresa.
Una di quelle spine rossastre aveva appena avuto la geniale idea di conficcarsi all'interno del mio piede, arrivando fino all'osso. Lo spettacolo che offrivo non era dei migliori: una punta viola era brutalmente inserite nel mio piede, diventato un ammasso inconsistente di carne spappolata, con
a. l'osso bianco - giallognolo in bella vista;
b. brandelli di muscolo sparsi sul pavimento in una pozza di sangue;
c. piccoli pezzi di pelle rimasti attaccati alla gamba.
Il dolore che provai fu solo quella fitta (che però, come un'onda sonora, si diffuse in tutta la gamba), in quanto il fumo giallo "probabilmente tossico" lo era di sicuro, e mi aveva certamente paralizzato la gamba.
Samantha guardava con sgomento e ribrezzo la mia ferita, e mi chiese se fosse tutto a posto.
Io risposi di sì.
Ecco una delle frasi da aggiungere alla lista "Bugie-clamorose-dette-a-fin-di-bene".
"Tranquilla, non aver paura, andrà tutto bene." dissi cercando di essere incoraggiante.
"LO DECIDO IO SE TUTTO ANDRÀ BENE O MALE!!" tuonò una voce nascosta nella penombra di quella stanza, mai vista prima d'ora.
"Ancora tu?? Cosa vuoi?!? E soprattutto, dov'è Eleonore??" disse Samantha.
"Uhhhh. Che paura. No, ti giuro che sto tremando... Ma per favore!"
"Fatti vedere!!" gridai.
Un altra spina mi si conficcò nella caviglia.
Nessun dolore.
Ma adesso il mio piede era staccato dal resto della gamba.
Non sanguinai neanche.
"Signor Stein... non si urla contro le autorità!"
Samantha strillò terrorizzata.
"Calma, calma... Samantha, parliamo da persone civili!", ci canzonò lo spirito.
"Tu...t-tu...TU SEI UN MOSTRO!!!"
"Eh no, qua ti sbagli mia cara, io sono un demone fantasma!!!"
"Ridammi indietro mia sorella!!" gridai imbestialito.
"Nervosetti oggi... è qua davanti a voi!"
Si accesero delle lampadine, che illuminarono soltanto un angolo della stanza, lasciando sempre in ombra Bradley Armitage, con visibili solo i suoi occhi arancioni, mostrandoci Eleonore, legata anche lei ad un palo di legno verde.
Quindi i pali e le manette con cui eravamo imprigionati scomparirono.
Il mio piede tornò normale.
"Ma che cazzo succede qua dentro!?"
Ci alzammo.
Iniziammo a cercare delle vie d'uscita, ma niente da fare.
Era una stanza quadrata, con le pareti scure, senza alcun accesso.
Cosa devo fare? - mi chiesi.
Mentre guardavamo scrupolosamente l'angolo in cui era incatenata Eleonore in cerca di porte o botole, sentimmo di nuovo quella risata. Ci girammo e vedemmo una porta. Forse per la voglia di uscire di lì, forse per la pazzia che ormai stava consumando tutti noi, Eleonore iniziò a correre verso la porta.
A pochi metri da mia sorella, essa rivelò la sua vera identità.
Quella di una trappola assassina, creata per uccidere.
Si spalancò.
Facendo precipitare Eleonore, troppo veloce e vicina per riuscire a fermarsi, in un burrone infinito.
Crollai in ginocchio.
La porta si richiuse come su era aperta.
E si trasformò in un peluche, con una E nera stampata sopra.
La stessa, si tinse di rosso.
Di un macabro rosso sangue.

Il demonio della 13esima casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora