La vera storia (pt. 1): l'urlo

173 21 6
                                    

Adesso le racconterò la storia dell'incidente accaduto al civico 13 del vicolo Charles Latchmere - ne avrà sentito parlare, no? Ma non la versione raccontata sui giornali, negli schedari della polizia, dalle bocche dei reporter, piene di merdose parole di conforto false e preparate, no.
Le racconterò la VERA storia. Vissuta in prima persona.
Ecco cosa mi ha fatto diventare pazzo.

Quell'infausto giorno eravamo in cinque: io, la mia ragazza - Samantha, questo era il suo nome, i miei migliori amici Mark e Paul, rispettivamente fratello minore e fratello maggiore, entrambi fuggiti in tenera età da una terribile dittatura cinese, e mia sorella Eleonore, una ragazza gentile e serena.
Era sera tardi ed eravamo stati invitati ad una festa da un nostro amico carissimo, che però abitava in una cittadina che non conoscevamo affatto.
Allora Paul, il più grande e responsabile del gruppo, si era offerto di accompagnarci in auto.
Quando passammo in quella dannata via, il navigatore satellitare perse improvvisamente il segnale, spegnendosi da solo.
Ci guardammo negli occhi basiti; "E che cazzo!" esclamò Paul, tirando una manata al volante.
Scendemmo quindi dall'auto a chiedere informazioni agli inquilini delle case che si affacciavano sulla strada, ma nessuno di loro sembrava disposto ad aiutarci.
Anzi, sembravano molto più interessati a chiudere le finestre e le porte con frasi sbrigative del tipo: "Non sono del posto."
Stavamo proprio per gettare la spugna, quando sentimmo un urlo maschile strozzato, rauco e spaventato, sovraumano a dire il vero, provenire dalla casa in fondo alla strada.
D'istinto corremmo sul luogo, ma rimanemmo impressionati dalla casa stessa: troppo vecchia per essere abitata!
Le assi di legno tarlate, cedevoli e senza vernice, si alternavano alle finestre rotte, con il tetto sfondato come tocco finale.
Sopra le scale d'ingresso era appeso precariamente uno striscione sbiadito, di cui a stento si leggeva ciò che era scritto: "QUARANTINE".
Il prato giallo antistante era un cimitero di fiori e piantine, tutti secchi e raggrinziti.
Avevo una brutta sensazione.
Come se una piccola vocina dentro di me urlasse con tutto il suo fiato di scappare, di fuggire il più lontano possibile da quella casa.
Peccato non averla ascoltata.
"Andiamo via, ragazzi." dissi.
"No Will! Per quanto possa sembrare improbabile, all'interno di quella vecchissima casa c'è qualcuno che ha urlato! Che ha bisogno di aiuto! Dobbiamo soccorrerlo!" esclamò tutto d'un fiato Paul.
"Paul ha ragione, magari è ferito..." gli fece eco Mark.
"Io rimango della mia idea..." biascicai titubante.
"Dai Will, se facciamo veloci arriviamo anche in tempo alla festa!" aggiunse Eleonore.
"Samantha?" chiesi.
"Io-"
Fu interrotta dalla voce sgangherata un bevitore incallito, che aveva - di nuovo - raggiunto il livello "sbronza epica". Con la sua andatura incerta ed ondeggiante si avvicinò a noi ed il suo fiato alcolico mi pervase le narici.
"E voi?? Cosa vole... te fare quHIC? Non vorrete mica... HIC!... entrare nella casa?"
"Sì, perché?" chiese Samantha disgustata.
"Ma non abbiamo ancora deciso!" ribattei io.
"Sì tesoro, invece abbiamo deciso." disse dolcemente Samantha.
Fu l'ultima volta che mi chiamò tesoro.
In assoluto.
L'ubriaco riprese quindi il suo discorso: "No... bruuuuuutta idea!! No no no... non si fa cosHIC! Dicono che questa casa sia... sia... siaaaaa... infestata da un demonio! Dal fantasma, postumo e spietato, di un vivo!"
"Quale vivo?" chiese impaurita Eleonore.
"Bradley Armitage!! Si dice che Bradley Armitage da vivo fosse spietato, sata... HIC!... nico a dire il vero, che fosse a capo di una fonderia e che maltrattasse gli impiegati, facendoli lavorare fino allo... HIC!... sfinimento, con uno stipendio infimo. Uno stronzo, insomma! Allora essi per vendicarsi lo gettarono in una vasca di scioglimento metalli, piena di piombo fuso! Ha fatto davvero una brutta... HIC!... fine! Da allora, si vendica sui vivi, facendo morire tragicamente coloro che osano avventurarsi nella sua dimora... quella lì!" ed indicando la nostra macchina, ci salutò.
Vedemmo la sua sagoma tornare a casa, ora salutando un sasso, ora insultando un lampione; il suo singhiozzo rintronato dal vino si perse nel vento.
"È un vecchio pazzo per giunta ubriaco! Sta vaneggiando! Voglio entrare a controllare!", esclamò il maggiore dei due fratelli cinesi, arrabbiato.
Questa affermazione venne accolta da approvazione generale.
"Ok, ok. Ma mi potete spiegare come diamine facciamo a superare quel filo spinato?", chiese Samantha.
Oh, vero. Nell'ascoltare le parole alterate dell'ubriaco, non mi ero accorto del filo di metallo che correva attorno alla casa, per di più elettrificato con l'alta tensione.
Questo spiegava razionalmente e logicamente gli evidenti segni di bruciatura a chiazze fumante sul prato giallo e ispido, come se fatti di recente.
"Attenti", disse Eleonore, "il filo è attaccato all'alta tensione, c'è il collegamento qui vicino."
"Non mi importa, io vado a controllare!!!". Ed urlato ciò, Mark saltò con agilità il filo, seguito da Paul, Eleonore, Samantha e me.
Quando fummo tutti a contatto con l'erba bruciata, risentimmo quell'urlo sovraumano: ora non c'erano dubbi, proveniva dall'interno della catapecchia decadente.
Salimmo i gradini ed aprimmo la porta, che cigolò sinistramente in comunione con lo scricchiolio delle assi sotto di noi, sul punto di cedere.
Eravamo entrati nella sua casa.
Caduti nella sua trappola.
Lui ci stava già osservando.
Lui sapeva chi sarebbe morto per primo e chi per ultimo.

Lui.
Ci.
Stava.
Aspettando.

(((((((Angolo dell'autore)))))))
Hey! Spero che la storia vi stia piacendo... anche se il bello (inteso come la morte dei personaggi e lo svolgimento centrale della storia) deve ancora arrivare. Intanto, votate, consigliate e condividete!!!
Oppure Bradley Armitage verrà a casa vostra, sa dove abitate!!!
P.s.: ora è dietro di te.
Buona notte :)

Il demonio della 13esima casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora