-{Teatro del matto}-

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<Il Vecchio>

Un immenso palco dinanzi a me ed uno spazio, altrettanto grande, alle mie spalle; colmo di estranei.
Tra tutti quegli sconosciuti, mi sembrava di non riconoscere nemmeno me stesso.
Gli occhi miei eran ancora colmi di sonno, la vista offuscata e macchiata dal buio; incessante intorno all'anima.
Strane pareti, solide, di ricordi del giorno prima iniziarono a riemergere, dal terreno della mia mente; fondendosi tra loro formando pensieri precisi.
In quel momento, il palco era vuoto e sprofondato nel buio più lugubre come, d'altronde; tutto quel loggione.
Nonostante fossi solo, in quegli attimi, sentivo ancora il brivido trasmessomi dalle gelide impronte di quelle infinite membra, che come freddo metallo sterile; stringevano il mio corpo fino a stritolare d'egli ogni cellula.
D'improvviso una forte luce, chiara come l'acqua; precipitò sul palco illuminando una figura.
Era una figura d'uomo, gracile, anziano, quasi solo una sagoma; ma d'essa in realtà ne sembrava solo l'ombra.
Smilzo e col volto ancor più scarno, lo sguardo spento e colmo di occhiaie e rughe che assomigliavano a profondi solchi tracciati sul corpo; si avvertiva in lui un profondo dolore.
Il capo chino, volto a guardare in basso, la schiena ricurva su se stessa e i fianchi poggiati su di uno sgabello in legno scuro.
La barba incolta e increspata, come il resto della sua pelle olivastra, vestito d'abiti semplici e rovinati ed avvolto da una cupa aura; appariva come una fitta nebbia di dolore.
Nonostante il suo corpo morente; la luce donava ad egli, e alla sua immagine, un certo rispetto e valore.
Lo rendeva mirabile, sublime; simile ad una bronzea statua antica.
Dal nulla, aprì la bocca per prender fiato ed iniziò a parlare in modo incerto.
:" Quanto tempo mi è concesso ancora, per poter narrar di noi?
C'è mai stato tempo per poterne parlare?
Non ne son più certo.
Ciò nonostante, il tempo ha donato me conoscenza, consapevolezza e ragione.
Cosa mai potrei desiderar di più?
Cosa potrebbe mai desiderare un uomo di più?
Nulla è più essenziale di ciò che il tempo è riuscito a darmi, ne son certo." disse l'uomo con una flebile voce rauca.
Riprese fiato, affannato; e continuò il suo parlare.
:" Vedete ora, quasi per ironia della sorte, il mio ultimo attimo di vita lo passerò qui, su di un palco dinanzi ad un pubblico, che giudicante coglierà di questo discorso soltanto ciò che gli sarà più comodo.
Ed io intanto... io ripenserò alla semplice vita che ho avuto, non di certo per passione ma piuttosto per necessità, per sopravvivenza per così dire.
Ma a voi di questo non importerà nulla ora... certo.
Piuttosto vi sarete soffermati sul motivo per il quale io abbia detto: <<per ironia della sorte...>>
Ho sempre pensato che la rappresentazione drammaturgica sia rituale.
Essa è capace di creare un senso di realtà condivisa.
Più invecchio più il tutto appare alla mia vista come uno spettacolo; e come uno spettacolo che si rispetti, possiede degli spettatori, degli attori e d'essi un profondo retroscena.
Gli attori non son reali o, perlomeno, ciò che mostrano a chi osserva non lo è.
Il retroscena è ciò che più c'è di reale d'essi, proprio per questo, non deve entrare in contatto con il pubblico.
Una semplice relazione, tra chi guarda e il retroscena, renderebbe distruttivo e caotico il rapporto.
Gli osservanti non sarebbero più capaci di rapportarsi all'attore, non sapendo cosa aspettarsi o come prevedere le sue mosse.
Gli esseri umani agiscono in base ai significati che le cose hanno per loro, ma se l'oggetto interpretato muta la sua natura, l'uomo diventa incapace di interpretarlo in modo chiaro.
Rischia di cadere in un profondo limbo senza uscita.
Ognuno di noi è spettatore e attore e il retroscena d'ognuno manderebbe l'altro al lastrico mentale più completo.
Per questo motivo, dopo aver vissuto con questa convinzione, trascorrere i miei ultimi momenti su di un palco, difronte ad un pubblico, narrando del mio retroscena mentre ve ne conto i pericoli è a dir poco sarcastico...
Poco importa.
Manderò la mia mente, durante questo momento d'incoerenza, alla morte ed insieme ad essa; anche la vostra.
Non temiate la morte.
In quanto tale rappresenta il confine tra le sensazioni e il vuoto, nei confronti del quale anch'io riservavo timore.
Apprezzatela e vivete come attori di questo spettacolo." narrò quel semplice uomo.
Concluse il suo parlare e, insieme ad esso; anche il suo vivere.
La sua sagoma rimase su quello sgabello, senza più vita; così docile.
Il discorso del vecchio incise nel mio cuore una feritoia profonda.
Sentii in me sgorgare risentimento ed odio, non per la sua morte e tantomeno per il suo parlare, ma per me stesso.
:"Starò realmente vivendo come attore il mio spettacolo o son soltanto spettatore delle vite altrui?" pensai tra me e me.
Il continuo rimuginare su quel pensiero, così sciocco, fece tremare il mio corpo.
Perso nell'ansia, chiusi gli occhi e tentai di lasciarmi addormentare, cullato dal silenzioso tombale di quel luogo.
Un soffice tepore mi avvolse delicatamente il collo e le braccia, sentii ogni muscolo in me abbandonarsi al calore ed io, di conseguenza; assecondai la volontà del mio corpo.
La mente mi si spense in mano lasciando me, solo, in quello spazio vasto e abbandonato.
Nel sonno pensai di morire, spegnendomi come quel vecchio, lo desiderai intensamente, eppure non accadde.

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