-{Teatro del matto}-

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<Il Bastardo>

Al mio risveglio, una profonda luce chiara dominava il buio del loggione in cui mi trovavo.
Era sottile nella forma e recideva l'oscurità, come una lama una morbida carne giovane.
Accecante, rivolse il suo illuminare verso il palco, puntando su di un elegante uomo; che si trovava al centro dello spettacolo.
Non assomigliava, per le fini vesti, a nessuno dei presunti attori visti fino ad allora.
Nonostante l'altezzoso abbigliamento, scrutai nel suo cuore una povertà abissale.
Al collo, portava un lungo crocifisso color argento che, ogni volta che la luce lo sfiorava, rifletteva nei miei occhi un accecante bagliore.
Un'ordinata camicia bianca, che gli stringeva sul collo insieme alla lunga cravatta, si intravedeva al di sotto d'una giacca; del medesimo colore del lungo pantalone.
Delle lucide scarpe, in pelle nera, rumoreggiavano sempre più ad ogni suo passo su quel ligneo palco, ed un elegante cappello in feltro, color grigio fumo, copriva parte del suo volto.
Nonostante ciò, i suoi occhi non visibili eran capaci di trasmettere ogni emozione stesse provando in quel momento.
D'un tratto fermò il suo camminare, apparentemente insensato, posando la propria figura al centro dello spettacolo.
La statura media che possedeva, era in contrasto con l'immensità che trasmetteva quell'uomo.
Passarono diversi minuti, improvvisamente alzò il capo dando in mostra una cicatrice profonda, come una serie di solchi, che gli percorreva il volto da un orecchio fin sotto il collo.
Sfregiato, con uno sguardo mancante di passione; iniziò a parlar di sé.
:"Mi pento d'ogni mia azione.
Non son mai riuscito a vivere una vita fuori dalla criminalità.
Me ne pento.
Non cerco di giustificare il mio operato come ho sempre fatto, ora ho compreso.
A soli dieci anni, mi dovetti trasferire da un continente all'altro con la famiglia mia, ciò mi distrusse.
In quel piccolo paesino dove vivevo, abbandonai ogni amico; ogni persona; ogni ricordo.
A quattordici anni non riuscii ancora a fare amicizia con nessuno della mia età non solo per la differenza di lingua, non parlavo ancora l'inglese perfettamente, la differenza era in me.
Ero io il diverso." disse l'uomo, incupito e con il cappello posato sul ventre.
:"Di solito, a quell'età si sperimentano i primi amori, nascono le prime amicizie, si formano quei rapporti interpersonali che durano per sempre.
Ma in me l'unica cosa che sentivo persistere era il profondo odio, doloroso, che provavo per il mondo, quello che mi circondava.
A quell'età iniziai con i primi furti e le estorsioni.
In particolare, amavo tormentare un ragazzino del vicinato, un tipico figlio di papà.
Lui era completamente diverso da me; lui poteva permettersi qualsiasi cosa; lui vestiva bene; lui aveva tutto.
Io non possedevo nulla, solo violenza e rancore albergavano nel mio animo.
Amavo rubargli tutto; picchiarlo; sentire la sua carne profumata, sotto le ossa delle mie mani, accasciarsi al mio tocco sanguinolento.
Crescendo, all'età di vent'anni all'incirca, cominciai a spacciare; rubare; fino a quando non riuscii ad entrare a far parte di un'organizzazione del mio quartiere.
Insieme ad essa, riuscii ad arrivare ai vertici del mio sudicio mondo, che odiavo, ma che in quel momento ero riuscito a controllare.
Controllavo il pizzo; gestivo il contrabbando di droghe ed alcolici; guadagnavo una fortuna; ogni cosa in quel momento sembrava andare per il verso più giusto possibile, la vita non mi fu mai sembrata migliore di allora." parlò l'uomo, travolto dall'emozione, con un sinistro ghigno stampato sul viso.
:"Finché un giorno, un gruppo di uomini mi rapì, portandomi in un vecchio casale abbandonato dove mi aggredirono, tentando di uccidermi.
Sfigurarono il mio volto con un rompighiaccio in metallo, freddo, lasciandomi morente in quel luogo, lontano da luce alcuna.
Diversi giorni dopo, un gruppo di poliziotti venne a recuperare il mio corpo accasciato al suolo, in fin di vita, in una pozza di sangue scarlatto.
Da quel momento, tentai di abbandonare quella vita lasciandomi il passato alle spalle.
Presi in sposa una giovane donna della mia stessa età, con cui però non feci alcun figlio.
Non volevo mettere al mondo un figlio, che vivesse la vita come figlio d'un potente criminale.
Nonostante il tentativo di abbandonare tutto, il passato tornò più forte di prima a colpirmi alle spalle.
Avevo accumulato diversi debiti per la droga, ed il denaro a mia disposizione non era sufficiente per estinguerli.
Ricominciai a controllare il pizzo e a vendere droghe, alcolici ed iniziai anche con le armi.
I debiti, nonostante tutto, non riuscii a colmarli.
Un giorno, rientrando a casa trovai una terrificante scena dinanzi ai miei occhi.
Mia moglie senza vita alcuna, con diversi colpi alla schiena, al petto e agli arti, la sua testa mozzata poggiata sul tavolo, il tutto in un macabro spettacolo di sangue.
Tutto ciò, per non aver pagato in tempo i debiti che possedevo.
Il mondo che mi ero costruito iniziò pian piano a sgretolarsi su di me.
Persi mia moglie, il controllo su me stesso e sulla realtà che avevo creato, per i crimini da me commessi.
Adesso qui potrò dare pace alle grida di odio e terrore che nella mia mente son presenti.
Potrò ritornare dalla mia amata.
Dagli amici, d'un passato distante, persi da tempo.
Dagli uomini da me uccisi.
Potrò ricongiungermi al cielo.
Aspetto solo la morte; che venga a prendermi.
Aspettami mia Orlova."
Dopo aver narrato ogni difetto della sua vita, in un modo incerto e colmo di rammarico; quell'uomo, di cui il nome mai parola fu fatta; estrasse da uno spesso cinturino, in pelle scura, un'arma.
Una pistola, sul suo volto quell'arma, che credeva essere l'unico modo per espiare i propri peccati, l'unico modo per dar pace al suo dolore.
Un uomo spietato; un uomo infimo; sfacciato; un criminale.
Un uomo nullo; un uomo freddo; che ha tentato di giustificare ogni suo male commesso; un pericolo.
D'altro canto, in quel preciso momento, congelato nel tempo perché col fiato sospeso; provavo pena per lui, un bastardo.
D'un tratto, titubante; posò la pistola, ma un fuoco negli occhi che gli ardeva proveniente dal profondo del cuore gli fece rivoltare l'arma verso il suo capo.
Uno sparo, un momento, ritornò il buio più oscuro ed un tonfo violento riempì la stanza.
La luce ritornò a puntare, dopo qualche minuto; sull'uomo.
La sua figura, inerme, stesa su quel palco che rappresentava la sua tomba.
Un milione d'occhi, bianchi come cera; guardavano quell'uomo, o almeno quel che d'egli ne era rimasto.
Osservavano ad eco, colmavano l'ego; fuoriuscivano d'ogni parte.
Pian piano il numero d'essi aumentò fino a riempire l'Intero loggione, che brulicava non di uomini ma di semplici occhi; liberi di osservare indiscreti.
Lo stanzone, in pochi minuti, straripò di cigli fino a far apparire ogni sclera come frizzante spuma.
Ogni pupilla come microscopici animali.
Ogni cosa ricordava a me il mare più lontano.
Vagai in quel, giovane; oceano formatosi, per giorni.
Fluttuai, navigai, sprofondai in esso, proprio come quel vecchio bastardo era sprofondato nel mondo che lui stesso si era creato.
Un mondo criminale.
Un mondo crudele.
Un oceano d'occhi indiscreti.

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