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AMELIA POV'S:

È una tortura sentire ogni mattina il suono della maledetta sveglia che sta a indicare di doverti svegliare e andare a scuola.

Sono brava a scuola sì, ma non mi piace studiare.

Appena giro la testa e guardo la piccola finestra che mi offre una intera vista del cielo mi rendo conto che oggi è uno stupido giorno nuvoloso come gli altri.

Ottobre fa schifo.

Sospiro e mi costringo ad alzarmi da quel letto che ogni volta in cui mi alzo sembra diventare la cosa più comoda del mondo, scendere al piano di sotto e fare colazione.

Mio padre è come al solito sul divano già pronto, incravattato e elegante per andare nel suo ufficio.

Beve una tazza di caffè mentre legge dei fogli, sicuramente documenti riguardanti l'azienda.

Appena sente dei passi si volta verso di me e mi dà
il buongiorno

ah però, stiamo facendo progressi vedo.

Così dopo aver ricambiato quel saluto mattutino prendo la solita manciata di biscotti e inizio a smangiucchiare qualcosa.

Non faccio neanche in tempo a inzupparlo uno nel latte che mio padre attira la mia attenzione con la sua voce profonda.

<Oggi devi aiutarmi con il lavoro.>
dice senza neanche voltarsi per guardarmi, come se a me facesse piacere farlo.

E io non solo devo andare a scuola, studiare e farmi il culo per prendere buoni voti, ma devo anche stare a presso a quella schifo di azienda di mio padre.

D'altronde è il suo lavoro e io inizio a pensare che sia arrivato ad amarlo anche più di me.

<cosa devo fare?>
chiedo mentre infilo in bocca il secondo biscotto e lo mastico.

Potrebbe anche girarsi a guardarmi però..

<niente di che, solo venire in ufficio con me.>
risponde bevendo un altro sorso dalla sua tazza bianca di caffè.

Che palle.

Tiro un sospiro che però lui fa finta di non sentire, anche se sono praticamente sicura che l'abbia sentito persino il viale accanto da quanto era forte.

Non l'ha mica fatto apposta...nooooo..

<e perché?>
chiedo provando a capirci di più e magari evitarlo, dato che è veramente l'ultima cosa che avrei voglia di fare oggi.

A quel punto si gira verso di me, mi lancia uno sguardo prima di rispondere

<che vuol dire perché? devi darmi una mano Amelia, lo sai.>
risponde rigirandosi dall'altra parte e riordinando i fogli sul tavolino.

Sì che lo so, purtroppo.

Però potrebbe anche essere più comprensivo e cercare di capire che io oltre al suo lavoro, ho anche la scuola.

E tenere testa a entrambe è disagevole.

<si si lo so è che..torno da scuola e devo aiutarti..>
dico io cercando di essere più cauta possibile per evitare che si arrabbi con me, anche se avrebbe ben poco di cui arrabbiarsi.

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