2. Promesse di Carta

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LILITH'S POV

«Spero che quella pistola non serve ad uccidermi, Sus. Perché, diciamolo, i pochi soldi che ho per un funerale,» mi interrompo, accompagnando il tutto con un fischiettato rullo di tamburi, sincronizzato con il movimento roteante del mio dito, «sono quelli che,» concludo, fermando il dito puntato direttamente su di lei, «tu mi devi.»

Susanne non mi degna di uno sguardo, mantenendo la sua attenzione interamente sulla pistola che tiene tra le mani. Credo che sia un pezzo raro o qualche cazzata simile, il che è sufficiente a permetterle di ignorare le mie provocazioni. Starà già pianificando come rivenderla a prezzo esorbitante a qualche povero sfigato che, grazie alle sue impeccabili doti di manipolazione, finirà inevitabilmente indebitato con lei.

Oppure, semplicemente, è talmente abituata alla mie cazzate da non lasciarsene più scalfire.

«I soldi che ti devo,» dice mentre passa con cura un panno sulla pistola, «li avrai quando mi darai ciò per cui te li ho promessi, orfanella» conclude, riponendo l'arma nel cassetto alla sua destra.

Ha ancora molto da lavorare sull'originalità dei soprannomi che usa.

Finalmente, la donna alza lo sguardo verso di me. I suoi occhi cerulei non tradiscono alcuna emozione, e il volto teso, segnato dalle rughe, emana una sottile inquietudine. Quando le sue labbra sottili si incurvano in un sorriso riesce, sorprendentemente, ad essere ancor più inquietante.

Ancora oggi, dopo anni, non riesco ad inquadrare del tutto Susanne. In ambito lavorativo, può essere una vera spina nel fianco; è una manipolatrice d'eccellenza, il che è perfetto per i suoi contrabbandi di armi e droga. È raro che non ottenga ciò che vuole, il che, molto spesso, consiste nell'incastrare le persone a lavorare per lei o, peggio, indebitarsi.

Essere indebitati con Susanne è come firmare un contratto per l'inferno con il proprio sangue. È come giocare una partita a scacchi, con l'unica differenza di non avere alcuna pedina. È lei a decidere quando e come finirà la partita.

La mia sorte non è stata poi così diversa. Anni fa, notò le mie innate capacità di furto, rese ancor più interessanti dal fatto che avessi appena tredici anni. Mi propose un lavoretto con una paga sorprendentemente alta. All'epoca, la somma promessa non mi insospettì, sebbene fosse fin troppo generosa.

Il risultato? Susanne mi accusò di non averle riportato intatto ciò che mi aveva chiesto di rubare, mi dimezzò la paga e mi costrinse ad altri lavori per ripagarla.

Eppure, negli anni, ci son state occasioni in cui ha dimostrato un'inaspettata clemenza nei miei confronti. Sebbene il primo lavoro per lei fosse, in realtà, impeccabile, non posso dire lo stesso degli altri. La mia innata indole provocatoria spesso le ha causato più danni che altro.

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