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Era una giornata calda, e lo stadio vibrava di energia mentre osservavo l'Italia affrontare il Galles nell'ultima partita del girone. Il suono dei cori e dei tamburi riempiva l'aria, e io mi sentivo parte di quell'entusiasmo, pur cercando di mantenere un po' di compostezza.
La partita era combattuta, con l'Italia che spingeva per trovare un varco nella difesa gallese. E poi, al 39° minuto, tutto cambiò. Federico Bernardeschi batté un corner perfetto, la palla sibilò in area e Matteo, con un tempismo impeccabile, la colpì di sinistro. Il pallone volò rasoterra e finì dritto in rete, facendo esplodere lo stadio.
Non potei fare a meno di sorridere. Era un sorriso spontaneo, di quelli che ti salgono dal cuore. Vedere Matteo segnare, dopo averlo visto così concentrato e teso nei giorni precedenti, mi fece provare un misto di orgoglio e felicità. Per un attimo, il mondo sembrava fermarsi, e tutto ciò che sentivo era l'eco delle nostre grida di gioia.
Era bello vederlo esultare con i compagni, ma ancora più bello era sapere che, in quel momento, anche lui sapeva di aver fatto qualcosa di speciale. E il mio sorriso non era solo per il gol, ma per tutto quello che significava.
Dopo il fischio finale, l'atmosfera nello stadio era elettrica. L'Italia aveva vinto e si era qualificata a pieno punteggio agli ottavi, e i giocatori erano euforici. Matteo, autore del gol decisivo, era tra i più festanti. Nonostante la fatica, correva ancora con energia, cercando con lo sguardo qualcuno tra la folla.
Quando mi vide, un grande sorriso gli illuminò il volto. Con la maglia azzurra ancora attaccata alla pelle per il sudore e l'adrenalina che ancora non lo abbandonava, si diresse verso di me, le braccia spalancate, pronto ad abbracciarmi.
«Ambra!»gridò, visibilmente felice, mentre si avvicinava.
Io però, vedendolo tutto sudato e appiccicoso, alzai le mani per fermarlo, ridendo.
«Ma che schifo, sei tutto sudato!»Matteo si fermò a pochi passi da me, facendo una smorfia di finta delusione.
«Dai, davvero? Nemmeno un abbraccio per il gol della vittoria?»Scoppiai a ridere, scuotendo la testa.
«Magari dopo una doccia, Pessina»Lui rise di gusto, alzando le spalle.
«Va bene, va bene. Però me lo devi, eh!»«Vedremo»
risposi, ancora sorridendo, mentre intorno a noi i compagni di squadra continuavano a festeggiare.Mentre si allontanava per unirsi agli altri, non potei fare a meno di sentirmi un po' colpevole, ma allo stesso tempo divertita. Nonostante tutto, sapevo che quel momento l'avremmo ricordato a lungo.
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