IL CAOS PERFETTO

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La folla tra i quartieri di Napoli è immensa: odori, sapori, voci e persone. Tante persone. Fanno di questa città un vero e proprio caos, un caos perfetto. Un caos che sale dai tombini ed esce dalle finestre delle case. Viene espresso tra le luci dei mille lampioni e gli svariati veicoli che rendono questa città incompresa.

Certe cose non vanno capite, non vanno intese e nemmeno contestualizzate. Vanno vissute per quello che sono.
Salii in macchina e chiesi indicazioni ad un tipo di nome Erik. Quella sera il mio obiettivo era uno ed uno soltanto. Me lo sono promesso. Non esco da quella stanza finché non avrò vinto.
Nel buio più profondo ad illuminarmi c'era un misero lampione che mi permetteva però di intravedere quell'immenso portone rossastro. Citofono ed entrando non si sente che il ticchettio delle mie Oxford nuove di zecca.

"È da molto che non ci vediamo. Vuole rimanere sull'uscio della porta o preferisce entrare?"

Una volta chiusa la porta, tutto il caos pare svanire in un colpo solo. Tutto sommato, il caos forse è evitabile. Non rimaneva che uscirne vincitori.

"Sarà stato piacevole leggere l'email che ti ho mandato" esclamo ironicamente "ma se sono qui, è perché di certo non posso lasciare tutto così com'è. Devo cambiare la sorte, sono stato chiaro?"
"Non affaticarti così tanto per così poco. Voglio dire, puoi avere molto di meglio da fare, di certo non seguire questo sogno disperato"

La mia città è lo specchio dell'anima della mia gente. Una raffigurazione di certo astratta e malinconica e gioiosa allo stesso tempo. Un vero e proprio caos, un caos perfetto.

"Lei lo vede quel piccione?" domando indicando fuori dalla finestra.
"Ancora con questa storia dei piccioni? Quand'è che ti stancherai?"
"Vede: la differenza tra noi e loro è talmente sottile che non è nemmeno immaginabile. Noi scappiamo, loro scappano. Noi sopravviviamo, loro del resto fanno lo stesso.
È che noi non possiamo volare mentre a loro Dio ha dato questo dono. Dovrebbero esserne grati i piccioni. Lei quanto pagherebbe per volare via?"
"Se voglio volare prendo l'aereo, non devo trasformarmi in un misero piccione"
"Misero" mi fermo e poi ricomincio a parlare "ha detto bene, misero. Non è che un misero volatile costretto da forze maggiori a volare via, lontano dal proprio nido se necessario"

Cala il silenzio. So che ho giocato quelle che sono le mie carte, e non posso far altro che attendere una risposta.

"Sei venuto qui dalla periferia solo per raccontarmi due barzellette sui piccioni. Ancora.
Ma voglio darti una speranza. Torna qui tra due settimane. Se riuscirai a convincermi, farò del mio meglio per farti felice"

Mi avvicino di scatto per stringergli la mano e ringraziarlo. Non ho vinto, ma nemmeno perso. Ho due settimane.

SIAMO PICCIONIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora