Era il giorno di San Valentino ed io mi trovavo fuori dalla vetrata di uno dei ristoranti più famosi d'America. Grande, lussuoso e disgustosamente romantico.
Addobbato per l'evento più menzognero dell'anno, la sala era ricolma di coppie che si tenevano per mano e si scambiavano fiori e cioccolatini.
Non m'importa, mi ritrovai ad ammettere con amarezza. E non mi importava davvero. Amore ed effusioni romantiche non erano cose che facevano per me, affatto.
Perciò ripresi a camminare sul marciapiede ancora umido di pioggia, percorrendo gli ultimi chilometri che mi separavano dalla mia meta, e così raggiunsi il vicolo che dava sul retro del locale.
Quando arrivai Oscar era seduto sopra uno dei bidoni della spazzatura e stava fumando la sua solita sigaretta prima dell'inizio del turno.
«Ehi, Ava» mi salutò appena, con un rapido cenno del capo.
«Oscar, sei già qui?» mi sforzai di ricambiare.
«Oggi è il giorno degli innamorati e quello con il più alto tasso di tradimenti.»
La sua affermazione riuscì a strapparmi un sospiro. Non l'avevo mai vista in quel modo e forse era proprio per quello che avevo colto l'ironia delle sue parole.
«Anthony al bar ha già la fila. Ti conviene andare a cambiarti in fretta, a Saxon non piacciono le esibizioni poco curate, soprattutto se rischiano di fargli perdere dei clienti.»
«Certo» lo assecondai. Non mi ero illusa di poter fare una vera conversazione con uno dei baristi con la reputazione peggiore del locale, ma mia madre aveva sempre tenuto molto all'educazione e ormai era uno dei pochi modi che avevo per ricordarla.
«Ci vediamo dentro» conclusi, oltrepassandolo e raggiungendo la porta.
Percorsi il lungo corridoio che dava sugli uffici e sui bagni, superai qualche cinquantenne già ubriaco accasciato contro la carta da parati, rossa con elaborati decori neri, e infine attraversai i tavolini bassi, il tutto senza farmi notare troppo.
Per mia fortuna, passare inosservata era una delle poche cose che riuscivo a fare al meglio.
Era stato utile negli anni passati, visto il mio stile di vita, anche se indossato il costume, sul palco, era tutta un'altra storia.
Non potevo lamentarmi però, non se quello che guadagnavo mi permetteva di pagarmi l'affitto e sopravvivere senza ricevere troppe domande inopportune.
Arrivata dall'altra parte dell'edificio, entrai nei camerini, evitando di incrociare Cameron o uno degli altri rumorosi buttafuori. Se c'era qualcosa di peggiore di un cliente ubriaco, era un uomo disperato. Non avevo bisogno di ricevere attenzioni da qualcuno che da me si aspettava più di una sola sveltina. Non mi servivano. Non avrebbero cambiato la mia situazione. O me.
Quando riuscivo ad evitarli, la serata iniziava in maniera più tranquilla e potevo prepararmi a quello che sarebbe venuto dopo. E, nel frattempo, i pensieri nella mia testa non si ridestavano dall'angolo in cui gli avevo infilati, lasciandomi così la possibilità di respirare.
«Allis» salutai una delle ragazze sedute davanti allo specchio. Le altre erano troppo impegnate a scambiarsi consiglio di moda e di make up. Le detestavo.
Il loro modo di fare, sempre allegro e divertito, tinto di superficialità, non rispecchiava affatto il lavoro che si erano scelte, perché se io avessi avuto potuto scegliere, non avrei mai voluto trovarmi lì.
«Vuoi una mano con quello?» domandò Allis, indicando i pennelli sul tavolino della mia postazione.
Mi ero appena seduta e avevo solo tolto il giubbotto, ma lei doveva aver percepito dal momento stesso in cui avevo messo piede nella stanza il mio umore più seccato del solito.
Lei era l'unica ragazza con cui avessi scambiato più di due parole negli ultimi anni e per mia fortuna non era nemmeno una persona ficcanaso o invadente.
«Sì, magari.»
«Vieni» spostò il suo sgabello accanto al mio e afferrò il materiale.
Iniziò con una spolverata di fondotinta e di blush e poi passò a truccare gli occhi, la sua parte preferita.
«Sai che una volta sono stata piantata il giorno di San Valentino» mi raccontò, apprensiva, «proprio davanti al ristorante che avevamo prenotato. Credo avesse aspettato tutta la settimana per dirmelo e sul più bello non aveva resistito.»
«Mi dispiace» affermai, anche se lei non lo sembrava affatto.
«Perché mai? Mi sono risparmiata anni di discussioni su quale fosse il piatto italiano migliore o la squadra di basket più meritevole. In realtà, mi ha fatto un favore» scherzò anche alla fine.
Ricambiai il sorriso che mi rivolse, temporaneamente, ma non aggiunsi altro.
Erano mesi che lavorava lì, era la prima ad arrivare e l'ultima ad andarsene e, oltretutto, riceveva mance davvero generose. Ciò nonostante, non riuscivo proprio a capire che cosa l'avesse spinta a scegliere quel posto. Il luogo di sosta e di lussuria di predatori, scarti e reietti. Io, dal canto mio, lo sapevo, ormai ero rovinata, invece lei... era così giovane e ancora così buona. Eppure, in fondo, io stessa ero la prova vivente che non era per niente affidabile giudicare un libro dalla sua copertina.
Allis aveva il suo passato e le sue ragioni, così come io avevo i miei.
«D'accordo» concluse, riponendo gli strumenti al loro posto, «ho finito. Vuoi guardarti?»
A malapena, ruotai il capo per assecondarla, per poi tornare di nuovo a guardarla. «Sono sicura tu abbia fatto un ottimo lavoro. Ora però devo andare a vestirmi.»
Lasciai il resto delle mie cose per terra e raggiunsi l'appendiabiti, dove in un angolino si trovavano i miei pochi costumi di scena.
Avevo ampia scelta, tra un bikini glitterato fucsia, il microscopico completo da astronauta con tanto di casco finto e il più classico costume da infermiera. A volte Allis me ne prestava uno dei suoi, ma io non ero granché esigente.
Quella sera, però, sarebbe stato meglio esagerare, quindi optai per indossare quello da infermiera, con una delle mie solite parrucche rosa.
A turno, vidi le ragazze uscire, una alla volta, mentre mi ricordavo di spalmare un po' di polvere di brillantini su tutto il corpo, persino sul seno. Mi costringevo anche ad impormi di sembrare più come loro, visto che nessuno sarebbe mai arrivato, proprio in quel momento, a tirarmi fuori da lì.
Perciò, quando la terza canzone finì, infilai dei tacchi vertiginosamente alti ed entrai in scena.
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Where the monsters hide
Romance«𝑁𝑜𝑛 𝑝𝑢𝑜𝑖 𝑠𝑐𝑎𝑝𝑝𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑒𝑚𝑝𝑟𝑒.» Ava Moore non sa che cosa sia una casa, né una famiglia. Non più. Sono ormai cinque anni che scappa dal suo passato e da ciò che è successo una fredda notte d'inverno. Qualcuno la segue, qua...