10 - Addio, New York.

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Ancora una volta, la pressione mirata esercitata dalle sue dita attorno ai miei capezzoli mi provocò scariche elettriche in tutto il corpo.

«Ti prego, io...» mugolai, sembrando in difetto.

La sua mano si staccò dal mio fianco e si strinse improvvisamente intorno alla mia gola.

Torceva e stringeva. Ripetutamente. Brutale.

Ogni parte del mio corpo chiedeva pietà, eppure la mia voce non era in alcun modo capace di uscire dalla mia bocca per esprimermi.

«Sì, fiorellino» la presa si fece ancora più feroce, «continua pure a pregare. A quanto pare ricordi ancora come farmi eccitare.»

A quel punto iniziai a dimenarmi, ma, con una mano ben ancorata attorno al mio collo, lui mi tirò a sé facilmente e mi strattonò con violenza, per poi sbattermi di proposito testa, spalle e schiena contro il muro.

Le mie mani si posarono di riflesso contro il suo petto, più ampio e duro di quanto ricordassi, ed esercitarono un'inutile costante pressione per cercare di respirare.

«Opporsi non servirà a nulla, dovresti conoscermi ormai.»

Sembrava di cercare di muovere un blocco di cemento. Non ero abbastanza forte e il panico che mi stava assalendo alla bocca dello stomaco non stava affatto aiutando.

Ad un tratto, sentii le dita dal mio seno scendere lentamente fino alle cosce, raggiungere il bordo del vestito e sollevarlo.

Cercai subito di fermarlo. Gli afferrai un polso e strattonai, intanto lui non demordeva e risalì fino a sfiorarmi l'interno delle gambe. Arrivò alla cucitura delle mie mutandine ed io capii che ormai era troppo tardi. Lui avrebbe ottenuto ciò che voleva, prima che io potessi anche solo provare a scappare e poi si sarebbe di certo liberato di me.

Perciò, chiusi gli occhi, cercando di non pensarci, ma così facendo finii soltanto per rivivere quella scena attraverso i miei ricordi.

La stretta delle sue mani attorno al mio collo sembrava farsi sempre più salda. Mentre era chinato su di me, sentivo il suo fiato scaldarmi le guance e quasi speravo di perdere i sensi per non dover essere partecipe di quello spettacolo, ma la sua intenzione era tutt'altra.

"Ah..." esalai, annaspando in cerca d'aria.

Perciò, a quel punto, allentò la presa.

"Sveglia, fiorellino" la sua voce mi scavò un buco nel cuore, "non vorrai perderti tutto il divertimento."

Annaspai ancora, sentendo un bruciore crescere al basso ventre. Due lacrime scivolarono fuori dai miei occhi, scendendo lateralmente fino a raggiungere i miei capelli, sparsi sul cuscino.

Ormai mancava poco, potevo sentirlo. Probabilmente anche lui lo percepì, poiché allentò ancora di più la presa, liberò una mano e si portò le dita alle labbra per leccarsele. Dopodiché, fece scivolare quella stessa mano tra le mie cosce e iniziò a massaggiarmi dolosamente il clitoride.

"Sei così stretta..." gemette, intanto che continuava a spingersi dentro.

La sua voce si fece più ansimante, ad ogni singola parola che pronunciava.

Quando anche l'altra mano abbandonò la mia gola, per scendere a tormentare il mio seno, potei finalmente voltare la testa da un lato e privarmi di quell'assurda vista.

Pochi secondi dopo, le spinte divennero rapide e nette, finché stremato Javier non venne dentro di me, rilasciando fino all'ultima goccia del suo lezzo seme.

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