ᴀᴘᴘᴜɴᴛᴏ 5: ɴᴏɴ ꜱᴏɴᴏ ǫᴜᴇꜱᴛᴏ

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"Di me e te. Penso che stanotte sia stato.. bello".

Simò è stata la notte più bella della vita mia, avrebbe voluto rispondere Manuel, ma la bocca era aperta e le parole gli morirono in gola. Con un nodo, come se la sua coscienza avesse inglobato la sua gola tra le mani e la stringesse a tal punto da mozzargli il respiro.

Ambedue le mani stringevano i passanti dei suoi jeans scuri, gli occhi marroni e liquidi fermi in quelli da cerbiatto di Simone, che lo guardavano con tanta intensità costringendolo ad abbassare lo sguardo.

Manuel era in panico. Cercava di evitare lo sguardo di Simone, di non farsi addolcire dalla voce di miele di Simone che gli rendeva difficile anche respirare, tanto da voltarsi di spalle e avvicinarsi alla porta del garage, osservando la luce fioca che entrava dalle vetrate. Non doveva cedere, anzi, non poteva.

Respirava a fatica, affannava come se stesse correndo la maratona di New York, come stesse fuggendo via dai malintenzionati di cui una volta rubò la piazza di spaccio.

Le mani sudavano, come la sua fronte che per fortuna era nascosta da quella cascata di ricci disordinati, che gli facevano da scudo.
Aveva lo sguardo puntato sulle sue converse, osservandone ogni macchia per calmare il cuore che batteva all'impazzata.

"Io penso che forse era meglio se non succedeva".

Silenzio.
Assordante silenzio, tra tutte le parole che avrebbe potuto usare per esprimere quello che stava provando, aveva scelto quelle sbagliate, per l'ennesima volta quando si parlava di sentimenti.
Trovò il coraggio di voltarsi verso Simone dopo aver pronunciato quelle parole, nascondendosi dietro di esse e guardando Simone, che con le mani a reggere il casco, aveva le spalle chiuse come se si stesse proteggendo dalla catastrofe imminente che si sarebbe abbattuta su di loro.

«Sarebbe meglio che non ti arrabbiassi
Chi alza la voce ha poco, poi, da dire».

E le parole fluivano da entrambe le bocche, che ormai da una parte erano stanche di cercare qualsiasi scusa pur di non affrontare la realtà e dall'altra erano totalmente incapaci di ragionare davanti al rifiuto di quello che per lui simboleggiava il primo amore.

Labbra e bocche che la sera prima erano entrate in contatto, scambiandosi i sapori, respirando l'una per l'altra.

E più Simone giustificava le sue parole, il desiderio di comprendere il motivo che aveva spinto Manuel a fare l'amore con lui sotto le luci rosse del cantiere, più Manuel si ritraeva, indietreggiava e camminava lungo l'aria del garage lontana da Simone. Cercava di scappare da quel turbine di emozioni che provava all'altezza del petto ogni volta che aveva il corvino nelle vicinanze.

Che non era l'alcol a parlare, non era l'alcol a reagire a quel «Non ti lascio perché ti voglio bene» la sera precedente. Erano le sensazioni. La sensazione di casa all'altezza del petto al solo sentire il profumo del più piccolo nelle vicinanze, come la sua presenza.

Ma erano due teste calde, due caratteri forti che si scontravano fin troppe volte.
E Manuel, conosciuto soprattutto per la sua nomea da più stronzo e più etero di tutta la scuola, decise di sfruttare la corazza che si era costruito negli anni, sputando veleno verso colui che definiva il suo migliore amico.

"M'hai rotto il cazzo con sta storia. Io non so frocio come te, mi piacciono le donne, mi piace Chicca, mi piace Alice.. tu per me manco esisti".

Ed ecco che arrivò la catastrofe.
La catastrofe si era infranta su loro due, avvolgendoli in quel fuoco di paglia che avevano creato le parole di Manuel.
Arrivando silenziosa alle orecchie di tutti, ma assordante per le loro.

Manuel e Simone, erano l'uno di fronte all'altro, con i respiri affannati come se avessero corso lungo il deserto arido, con le bocche secche che tremavano, come tremavano le loro mani. Gli occhi che affondavano in quelli gemelli, che ardevano tanto il fuoco che entrambi avevano dentro e che si stavano sputando in faccia a vicenda, come se fossero due draghi pronti per combattere per la sopravvivenza.

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