ᴄᴀʀᴏ ᴀᴍᴏʀᴇ ʟᴏɴᴛᴀɴɪꜱꜱɪᴍᴏ

152 12 2
                                    

(ATTENZIONE: sequel di Proibito, che trovate in questa raccolta, bacini)

L'aeroporto di Roma era pieno di un viavai di persone, ognuna con la propria storia, il proprio viaggio. C'era chi attendeva una persona cara, chi con un mazzo di rose stretto tra le mani, chi con un cane al guinzaglio che scodinzolava felice di aspettare il suo padrone.
C'era chi trascinava grandi valigie pronti per un viaggio insieme ai loro amici, chi magari partiva per lavoro e chi, come Manuel, scappava via dall'unico posto che in quel momento sembrava stargli stretto.

Manuel camminava tra di loro con il cuore appesantito dalla decisione che aveva preso.  Aveva scelto di partire con suo padre, di lasciarsi tutto alle spalle, cercando di trovare un po' di pace a migliaia di chilometri di distanza e Tokyo sembrava una fuga perfetta, lontana da tutto ciò che lo soffocava, da tutto ciò che non riusciva a gestire. Eppure, ogni passo verso l'aereo sembrava trascinarlo in un abisso di tristezza.

«E chissà quando mi rivedrai, amore lontanissimo
Non ci lasceremo mai più».

Entrò nella prima classe di quell'aereo, arrivando ai posti segnati sui biglietti, sedendosi accanto al padre.  Manuel aveva le cuffie e il telefono tra le mani e dopo qualche minuto abbondante, l'aereo decollò. Un volo diretto dall'altra parte del mondo, con lui che una volta aveva paura, anzi il terrore, di quel mezzo di trasporto che a tratti gli sembrava infernale.

Si ricordò di quando partirono per Amsterdam per la gita scolastica e aveva avuto così tanta paura in quelle due ore, che al ritorno chiese addirittura di essere sedato ad un povero Simone che fu costretto a stargli accanto e tenergli la mano, per tranquillizzarlo alle piccole turbolenze.
Sì, decisamente melodrammatico ed esagerato, lo riconobbe anche lui quando atterrò sano e salvo, baciando quasi il pavimento, sicuramente pieno di germi e batteri, dell'aeroporto.

Eppure si trovava su quel volo di dodici ore, nei posti anteriori e nella prima classe, quella che mai avrebbe pensato di potersi permettere.  Dove tutto era ordinato, monocolore, con grandi sedili di pelle decisamente più comodi degli aerei low cost che lui ricorda.

A quel pensiero accennò un leggero sorriso pensando alle gambe lunghe di Simone che quasi faticavano a starci nello spazio tra un sedile e quello davanti.

Ovviamente Manuè, sei durato meno di mezzo minuto prima de pensà de novo a Simone tuo, fu la sua voce interiore a parlare, quella che spesso scacciava via con un grugnito infastidito, perché aveva sempre ragione.

Passò la prima ora a guardare fuori dal finestrino, che gli aveva ceduto Nicola seduto al suo fianco, dove parlarono del suo stato d'animo e di quello che lo aspettava a Tokyo.
Poi Nicola si era messo al suo pc, smanettando con numeri, statistiche e Manuel aveva spento il suo cervello già dopo cinque minuti a tutte quelle nozioni che per lui erano arabo puro.

A Simone piacerebbe sicuramente tutta quella matematica, pensò Manuel guardando il padre svolgere quei calcoli sulla calcolatrice accanto a lui.

Aridaje, Manuè, de novo.

Manuel si ritrovò a sbuffare contro sé stesso e decise di spegnere il cervello, così prese le cuffie dallo zainetto e le aveva infilate, collegate al suo telefono e aveva fatto partire una playlist. Non quella qualsiasi, ma quella che condivideva con Simone.
Quella piena di canzoni vecchio stampo che metteva lui insieme a quelle indie, mentre Simone metteva o canzoni inglesi o quelle del suo artista preferito: Marco Mengoni.

E dopo qualche canzone di Battisti, una di Calcutta, partì Caro amore lontanissimo di Mengoni.

Un sorriso amaro incurvò le labbra screpolate di Manuel, appoggiando la testa contro il sedile e socchiudendo gli occhi per concentrarsi su quelle dolci note, sulla voce tranquillizzante di Marco e quel pensiero di Simone che gli accarezzava il viso, come se ci fosse davvero lui accanto.

PROIBITO Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora