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Il giorno successivo la situazione non è migliore. Ethan ha fatto qualche strana magia su di me, da quando è uscito da quell'aula non riesco a pensare ad altro che a lui. Penso al suo profumo, mi è sembrata una di quelle fragranze da ricchi, probabilmente Sauvage della Dior, o forse è solo un misto tra dopobarba e i suoi ormoni, fatto sta che è irresistibile. Penso alle sue mani, come avvolgevano bene quel casco, come lo stringevano lasciando ben in evidenza le vene. Poi penso a quegli strani simboli impressi per sempre sulla sua pelle, li vorrei sfiorare, toccare, accarezzare, tracciarne il contorno con la lingua. Sulle sue braccia erano ben evidenti i muscoli, che molto probabilmente si estendevano per tutto il resto del corpo; non ho ho visto il petto, ma sono sicuro sia da mozzare il fiato.

Ethan fa uscire una parte di me che non pensavo ci fosse. Io desideravo il prof Harris, ma ora è come se non mi sentissi più attratto. Stamattina l'ho visto nei corridoi della scuola, mi ha sorriso, come fa sempre, mi ha fermato, mi ha parlato del corso, mi ha chiesto come mi fossi trovato, mi ha dato attenzioni insomma. Eppure quella sensazione che di solito provavo, quel mal di stomaco, quel fastidio in realtà piacevole che mi attanagliava, quella soddisfazione nell'essere considerato da lui, non c'era.

Strano.

Neanche adesso, che sono seduto sulla mia scrivania a fare gli esercizi di matematica, la sua materia, riesco a pensare al mio prof, la mente è occupata da altro, da qualcun altro.

La porta della mia stanza viene aperta, ovviamente è Nate, l'unico altro essere umano che vive in questa casa. È vestito piuttosto bene: ha dei cargo bianchi, una t-shirt nera e una camicia bianca a maniche corte tenuta aperta, le air force anch'esse bianche e qualche bracciale e collana che non riesco a vedere da dove sono.

-Io esco.- tiene la mano sulla maniglia della porta e lo vedo piuttosto attivo, forse è un ritardo e deve sbrigarsi, tipico di Nate, ci mette ore ed ore a prepararsi.

-Non sono tua mamma, non devi avvertirmi.- rispondo, prima di buttare gli occhi di nuovo sul mio quaderno, devo ancora finire i compiti, mi sto distraendo troppo, e lui non aiuta.

Butta gli occhi al cielo e si calma, si avvicina a me, si poggia con la schiena al muro vicino alla mia scrivania, e mi fissa a braccia incrociate.

-Sai che è sabato sera?-

Annuisco velocemente, mentre continuo ciò che sto facendo, non curante del mio amico che mi ha chiuso il libro. Poco importa, tanto i dati li ho già copiati, devo solo eseguire.

Capisco dove vuole andare a parare, ma faccio finta di niente, sperando che mi lasci stare.

-Perché non- lo blocco subito.

-Non uscirò con te e i tuoi amici, mi dispiace.-

Già ieri mi ha costretto a vederli alla partita, e poi ci ho perfino dovuto parlare. Quando sono uscito dal corso Nate mi stava aspettando con Amelia e alcuni suoi amici, e mi ha trattenuto in una conversazione troppo lunga per i miei gusti, in cui ho dovuto sentire commenti non proprio opportuni su alcune ragazze tra gli spalti e sugli avversari, che non hanno chiamato con appellativi molto rispettosi. Poi il mio amico si chiede perché odio i cestisti.

Nate però non è conosciuto per essere uno che molla facilmente, specialmente con me, si mette nelle orecchie per giorni pur di convincermi a fare qualcosa, non a caso la settimana prima di una partita mi sforzo di starlo poco a sentire, ma è impossibile.

-Dai, giuro che ti divertirai!-

Scuoto la testa, nemmeno gli rispondo, preferisco passare al prossimo esercizio, fortunatamente ha mollato il mio libro, altrimenti avrei dovuto rimuoverlo con la forza, e non ci sarei riuscito.

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