Amelia Brooms

24 4 0
                                    

«Voglio diventare un cavaliere della principessa.» annunciai una sera a tavola, aspettando che la zuppa di cipolle si raffreddasse. Tutti mi guardarono senza parole a parte mio fratello minore. Nei suoi occhi vidi orgoglio allo stato puro. Io e lui avevamo sviluppato un'alleanza che alla famiglia era sconosciuta: ci sostenevamo a vicenda, lui, ad esempio, mi faceva indossare i suoi vestiti quando dovevo travestirmi, mentre mia madre continuava a insistere sul fatto che io dovessi avere di più la testa sulle spalle e seguire le regole che la società imponeva.

Non sono mai stata come gli altri. Ero sempre quella diversa, quella strana, perché una ragazza in questo regno non può lavorare i campi come i propri fratelli e deve solo leggere, cucire, rammendare toppe qua e là e accudire la famiglia. Le donne, in questo regno, devono stare al loro posto e avrei voluto tanto sapere quale fosse il mio, perché più lo cercavo più sentivo di perdermi lungo la strada. Sono cresciuta coltivando patate in autunno e cogliendo carote a inizio estate, sotto al sole rovente o con la neve che mi faceva intorpidire le dita dei piedi e bagnava l'orlo della gonna usurata. La mia famiglia me lo permetteva, ma la società no, così ho imparato a travestirmi durante i giorni del mercato. Quando serviva aiuto ero la prima che mio padre chiamava. Mia madre non aveva mai nemmeno osato sporcare sue le ciabatte di legno con il fango dei campi, invece io ne ero entusiasta. Infilare le dita tra le foglie, sentire il profumo dell'orto era ciò che mi rendeva felice, fino a un giorno che ricorderò per tutta la vita. Il giorno in cui capii cosa volessi realmente dalla mia vita.

Stavo infilando le mie lunghe dita sottili nella terra per raccogliere l'insalata, nascosta sotto ai vestiti troppo grandi di mio fratello minore, quando sentii un rumore di zoccoli al galoppo. Sistemai il berretto in testa per nascondere meglio i miei lunghi capelli, rossi come il fuoco che arde nel nostro camino nelle giornate più fredde, e osai sbirciare chi stesse passando lungo la strada con tanta fretta. Il purosangue nero come il carbone conduceva un uomo con i calzoni bordeaux e una giacca color del mare profondo che sogno di vedere, attraversata da qualche riga bianca e dorata sulle spalle. Al petto notai qualcosa di scintillante e al fianco era sistemata una spada. Era uno spettacolo. Non l'uomo, per carità, lui era abbastanza bruttino. Mi riferisco alla spada. Il manico dorato lavorato nei minimi dettagli risplendeva quasi abbagliandomi e il mio fiato accelerò.

Da grande voglio essere come lui pensai, ammirando la fodera dell'arma. E quello, lo sapeva il mio cuore, non era un capriccio di una bambina povera che si nasconde tra i campi. Quello era il desiderio di un'anima fuori posto in una società che non l'accettava. E così sfidai il mio destino.

Ogni notte lavoravo a maglia e cucivo tutto ciò che avrei dovuto fare il giorno seguente e quando finivo queste mansioni ammiravo l'orizzonte da sopra il mio letto di paglia. Facevo vagare l'immaginazione alla luce della luna tra avventure di cui leggevo nei libri e storie d'amore che sentivo narrare dalla mia nonnina a cui ero molto legata. Dormivo pochissimo: mi svegliavo prima dell'alba con un obiettivo chiaro nella mente e nel cuore, non potendo arrestare la mia voglia di raggiungerlo mi destavo piena d'eccitazione, sperando che ogni giorno fosse quello decisivo in cui avrei potuto finalmente convertire in realtà il mio sogno.

Quando il sole era alto in cielo, invece, passavo tutto il tempo nei campi, cercando di sfidare la mia forza. Ero una ragazza esile e debole, le mie gambe magre sembravano pelle e ossa, sulla schiena era molto evidente la colonna vertebrale e l'età dello sviluppo ritardò di diversi anni per me. Alcune amiche, al di là dei recinti, a quattordici anni erano già ragazze con le forme a posto, pronte a una vita da brave figlie in casa per tutte le mansioni e in futuro da mogli diligenti. Io invece a quattordici anni sembravo ancora una bambina, se non per i lineamenti del viso. Quelli li ho ereditati da mio padre e di conseguenza il mio volto mi dava qualche anno in più. Dopodiché la gente poneva attenzione sul mio petto e restava senza parole, immaginando un seno abbondante e trovando, invece, un abito troppo largo, persino sulle spalle, che lasciava un vuoto anomalo. Non che ora la situazione sia molto diversa. Sono cresciuta, il viso è quello di una donna, ma non ho mai acquisito le "forme giuste" di una ragazza per bene.

I Cavalieri della reginaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora