5° - L'INIZIO

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Il cilindro ceruleo si dissolse e un corpo slanciato, avvolto da una lucente armatura dorata, si avvicinò alla porta in ferro della casa di Aurora.

La fata bussò e attese.

Non udì alcuna risposta.

Riprovò, un po' più forte. Appoggiò l'orecchio alla porta esterna con lo sguardo concentrato e il respiro leggero per non fare rumore.

Ad un tratto, qualcosa attirò la sua attenzione e alzò gli occhi. Due scuri si spalancarono all'unisono e da dietro spuntò un viso assonnato.

«Buongiorno, Aurora. Sono le undici e mezza.» comunicò Cheracal, serio.

Lei lo scrutò dietro una fitta coltre di ciglia ancora appiccicate tra loro. Rimase in silenzio e accecata dalla luce del mattino inoltrato. Tutto a un tratto, la fata spalancò gli occhi.

«Le undici e mezza?! Per tutti i Saggi del Consiglio!»

Sparì dalla vista di Cheracal, ma poco dopo ricomparve alla finestra.

«Comunque... buongiorno, maestro. Arrivo subito, mi scusi!»

Aurora scomparve di nuovo e sul viso di Cheracal apparve un sorriso divertito.

Si sedette sui gradini dinanzi al portone del fienile e appoggiò la schiena. Posò lo sguardo sulla casa di Aurora davanti a lui e ne ascoltò i rumori mattutini che la rendevano viva. Sentì Aurora camminare frenetica in camera sua e aprire l'anta di un qualcosa. Un armadio, forse?

Avvertì l'acqua del rubinetto nel bagno, poi dei passi veloci lungo delle scale, probabilmente. Il rumore secco della maniglia di una finestra che si girò, un tintinnio di chiavi. La punta delle sue orecchie vibrò quando capì che sia la porta in legno che in quella in ferro stavano per aprirsi.

«Mastro Cheracal.»

La voce un po' rauca di Aurora raggiunse i suoi timpani fini. La guardò restando seduto sui gradini del fienile. Lei si spostò i ricci e si schiarì la voce.

«La prego, si accomodi pure» Cheracal la raggiunse, «Mi scusi ancora per il ritardo, non ho sentito la sveglia.»

«Non si preoccupi, è stata una nottata particolare per lei. Comprendo.» Cheracal varcò la soglia dell'abitazione con un sorriso rassicurante e i nervi tesi di Aurora sembrarono mollare la presa, facendola sentire meno in colpa.

«Vuole un po' di caffè?» Lei prese in mano la caffettiera e la scosse un poco. Un invito silenzioso a bere qualcosa insieme per farsi perdonare.

«Caffè? Cos'è?» Cheracal la osservò curioso.

La sua allieva sbatté più volte le palpebre. «Non l'ha mai assaggiato, maestro? Sul serio?»

«No, su Iridia non c'è.» ridacchiò lui.

«Allora deve per forza provare questa invenzione umana!»

Lui le regalò un sorriso sincero e la osservò mentre metteva un po' di acqua in uno strano aggeggio di metallo; lei versò alcuni cucchiaini di polvere color ebano prendendola da un barattolo in ceramica.

«Che cos'è quell'affare?» L'indice del maestro si allungò verso il fornello.

Aurora lo guardò in tralice e un sorriso sincero spuntò sul suo viso.

«È la moka e serve per fare il caffè. Me l'ha regalata l'umano da cui ho comprato la casa. Detto sinceramente, non so se sia nuova... quel tipo era un po' strano.»

Il volto di Cheracal si trasformò in una smorfia. Lei rise.

«Non si preoccupi, maestro, il caffè viene buonissimo.»

I DISCENDENTI E I SIGILLI DEL PORTALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora