1° - CALMA APPARENTE

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30 aprile 2018


La stanza da letto era avvolta dall'oscurità, impregnata di aria pesante e fumo della notte appena passata. Un esile fascio di luce penetrò da un vecchio scuro ancora da riparare e si scontrò sul vetro della finestra coperto dalla tenda. Si udì un colpo di tosse da uno dei due letti singoli della camera; un corpo si girò sotto le coperte, si stiracchiò e sbadigliò. La figura levò le lenzuola con un gesto deciso e si sedette sul materasso, poi si stropicciò gli occhi che gridavano di essere lavati. Appena la pupilla si adattò alla scarsa luce della stanza, la mano agguantò il fazzoletto sul comodino e, dopo un'energica soffiata di naso, lasciò una macchia nerastra sul tessuto liso. Prese una bottiglia di vetro tra le mani e la avvolse in un denso vortice di fumo, facendola appannare. L'acqua che conteneva, in poco tempo sfiorò il bollore e la figura la tracannò tutta d'un sorso. Odiava bere acqua fredda.

Si passò la lingua sulle labbra e si alzò, scacciando gli ultimi residui di sonnolenza. Barcollò e picchiò il mignolo contro il comodino.

«Porca put...» soffocò l'imprecazione quando notò che sua cugina stava ancora dormendo nel letto di fianco, nonostante il baccano che aveva causato prima. Si chiese come fosse possibile.

Vabbè, tanto meglio.

Zoppicando per il dolore, si avvicinò alla finestra. La aprì e spalancò con impeto gli scuri della camera da letto; un venticello fresco accarezzò il suo viso e si strinse in un abbraccio, colto di sorpresa dallo sbuffo di freddo. La luce del mattino si riversò nella stanza, illuminando ogni angolo. Aurora, con un gemito, si coprì gli occhi con una mano, cercando rifugio dai raggi abbaglianti del sole.

«Tommaso, ma... che ore sono?» mugolò lei, ancora intontita, mentre si strofinava gli occhi.

«Boh, non mi faccio mica questi problemi.» Tommaso fece spallucce e aprì anche l'altra finestra della camera. Aurora afferrò il cuscino e lo premette sul viso, cercando disperatamente un po' di oscurità.

«Dai, dai» la incitò Tommaso con entusiasmo, «Abbiamo dormito un sacco.»

«Ma che dici» lo contraddisse Aurora, mugugnando, «per colpa tua che russi e sbuffi vapori fumanti come una ciminiera, ho dormito quattro ore. Forse.»

Tommaso sospirò.

«Che ci posso fare? Sono una fata di fuoco.» Con uno schiocco di dita fece sparire sia le coperte che il cuscino dal letto di Aurora.

«Perché rompi così tanto le palle, oh» sbottò lei, «Lasciami dormire.» Aurora si raggomitolò in posizione fetale, nascondendo gli occhi dietro le sue grandi ali piumate.

«Va bene... vorrà dire che mi berrò tutto il latte che c'è in casa.» Tommaso, con aria giocosa, sgattaiolò fuori dalla stanza e si precipitò in cucina.

Aurora, nonostante le minacce scherzose di suo cugino, non si mosse di un centimetro, ancora stordita dalla mancanza di sonno.

«Ci sono due litri e mezzo di latte, non riuscirai mai a berli tutti.» sbiascicò.

Suo cugino non poteva sentirla da pian terreno, infatti si rese conto che, le parole che aveva appena pronunciato, fossero per lo più una rassicurazione per sé stessa che un avvertimento per Tommaso. Si sdraiò supina spalancando le ali e, pian piano, aprì gli occhi abituandoli alla luce del mattino. Si sedette sul suo giaciglio nudo e abbassò lo sguardo sulle ciabatte; le indossò svogliatamente e, quando alzò lo sguardo, incrociò il mazzo di papaveri e frumento che aveva completato di dipingere sul muro la sera precedente. Un sincero sorriso di soddisfazione colorò il suo viso, tanto da spingerla ad abbandonare il materasso. Si avvicinò alla parete con passo lento, lasciando che le dita sfiorassero le pennellate di tempera acrilica. Le sue mani seguirono le venature dei fusti di papavero, mentre lo sguardo scrutava attentamente ogni dettaglio. Le imperfezioni non sfuggirono agli occhi minuziosi di Aurora: un bordo non ben definito, una foglia dipinta con una prospettiva errata. Un sospiro le sfuggì e si morse il labbro inferiore. Ormai il danno era fatto, ma forse non era così grave come temeva. Quello era il suo primo murales, non poteva pretendere la precisione di un professionista da parte sua. Aurora scosse il capo, come per scacciare la pignoleria che stava riempiendo la sua mente; ignorò la sua vocina interiore che, fastidiosa, pronunciava autocritiche poco costruttive. Si avvicinò alla finestra gettando uno sguardo all'esterno e il suo animo inquieto si calmò quando vide la catena del Monte Cusna illuminata dalle prime luci del mattino. Le alte montagne imbiancate osservavano con invidia le valli sottostanti sfuggite dai rigori dell'inverno, già verdeggianti e pullulanti di vita. Gli uccellini, frenetici, zampettavano sui rami della grande quercia vicino all'abitazione; alcune cinciarelle stavano costruendo il nido tra le crepe del muro in sasso del fienile dinanzi a casa, mentre delle lucertole erano immobili come statue sulle piagne dell'aia per godersi il tiepido sole mattutino. Poco più in là si poteva sentire il fruscio dell'acqua di un fosso, mentre nella vallata di fronte si udiva già il rombo di un trattore. C'era talmente silenzio che si poteva percepire tutto, anche i passi saltellanti di un merlo sulle foglie secche nella foresta di fianco a casa.

I DISCENDENTI E I SIGILLI DEL PORTALEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora