Three for the lip piercing

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• Axel •


Non mi ero reso conto di quante cose possono cambiare in soli cinque anni, finché non mi ritrovai seduto accanto a Viktor Solheim per la colazione. Stavamo mangiando cerali sotto marca, un po' spugnosi per colpa del tempo, e il latte d'avena sapeva di vomito di lumaca. Nel complesso Viktor sembrava lo stesso. Portava sempre i capelli tagliati corti ai lati, era ancora l'armadio di muscoli che avevo conosciuto, ma adesso quei muscoli annegavano nel nero dell'inchiostro.

Mia sorella e i suoi coinquilini gestivano un negozio di tatuaggi in centro città, era il lavoro perfetto per Alice; lei era cresciuta con il blocco da disegno fra le mani. Viktor... non riuscivo a immaginarlo. Era strano, cazzo, soprattutto quel piercing che gli circondava il labbro inferiore. Un sottile cerchietto d'argento che rifletteva la luce ogni volta che muoveva la bocca e-

«Mi stai fissando,» disse d'improvviso e io mi strozzai con i fottuti cereali.

Tossii nel pugno chiuso, cercai di mandar giù, ma il cuore mi era saltato in gola per l'imbarazzo.

«Non ti stavo... fissando!»

Viktor alzò un sopracciglio. Le sue labbra si mossero a formare un sorriso e il piercing si mosse con loro.

«Ero sovrappensiero, non ti stavo guardando, davvero.»

«Okay.»

Non mi credeva e non mi credevo nemmeno io.

Cazzo, perché doveva essere tutto così bizzarro? Non eravamo mai stati amici, a mala pena potevamo dire di conoscerci, ma dopo le partite ci eravamo visti nei pub intorno allo stadio per passare le serata. C'era sempre stato un tacito rispetto tra noi, ci salutavamo e poi ognuno andava per la propria strada, fine. Ora ci dovevo vivere insieme, era un amico e un collega della mia gemella. Sembravano passate cento vite da quando giocavamo a football l'uno contro l'altro. Eppure, quando sbattevo le palpebre mi sembrava quasi di vederlo ancora: lo stadio, le urla dei tifosi, Viktor che mi mandava giù come se non pesassi nulla.

«A cosa pensi kjekken?» mi chiese mentre masticava l'ultima manciata di cereali.

«Che significa? Kje... kken?»

Mi aveva sempre chiamato così, anche quando mi aiutava a rialzarmi da terra dopo un placcaggio.

«Idiota,» rispose con un sorriso tutto denti; i suoi occhi grigi erano metallo fuso.

«Simpatico quanto un palo nel culo.»

Bene, non esattamente la miglior risposta da dare a un ragazzo gay.

Cazzo, che idiota che sono!

Viktor colse la palla al balzo. Un ghigno malefico gli si dipinse sul volto e poi chiuse gli occhi, quasi a voler assaporare il disagio che colmò l'aria.

«Nessuno si è mai lamentato del mio di palo nel culo, però.»

Sarei voluto sprofondare.

No! Non ero pronto alla versione gay delle battute sporche, non ero pronto a nulla di tutto ciò. Men che meno a immaginare il palo di Viktor nel culo di qualcun altro. Un brivido mi corse sulle spalle e sulla schiena; io non pensavo al sesso... non ci pensavo mai, quindi non dovevo nemmeno pensare al sesso gay. No, no, no.

«Stai arrossendo, kjekken?»

Viktor avvicinò il viso al mio.

«No!»

«No cosa?»

Alice!

E subito dopo di lei c'era Micky. Entrambe indossavano ancora i pigiami, ai piedi avevano le stesse pantofole rosa confetto, e i loro volti gonfi di sonno mi dicevano quanto avrebbero preferito essere a letto in quel momento.

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